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Educazione sessuale ed affettiva a scuola: Italia ed Europa a confronto

L' educazione sessuale dovrebbe includere l'educazione emotiva ed affettiva, per un'aspetto, quello della sessualità, che è parte integrante della salute e del benessere di ogni individuo. In Italia è consigliata ma non obbligatoria come altre materie scolastiche

Di Elena Tonazzolli, Marta Venturini

Pubblicato il 19 Ott. 2018

Aggiornato il 27 Giu. 2019 11:45

La sessualità include molti aspetti che vanno oltre il mero comportamento sessuale. Educazione affettiva ed emotiva dovrebbero accompagnare e completare l’educazione sessuale.

Elena Tonazzolli e Marta Venturini – Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Bolzano

 

La sessualità è un aspetto centrale dell’essere umano lungo tutto l’arco della vita e comprende il sesso, le identità e i ruoli di genere, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione. La sessualità viene sperimentata ed espressa in pensieri, fantasie, desideri, convinzioni, atteggiamenti, valori, comportamenti, pratiche, ruoli e relazioni. Sebbene la sessualità possa includere tutte queste dimensioni, non tutte sono sempre esperite o espresse. La sessualità è influenzata dall’interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, economici, politici, etici, giuridici, storici, religiosi e spirituali.

Quando si vuole educare alla sessualità quindi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non ci si deve confondere con l’educazione riguardante il solo “comportamento sessuale”, ma si devono comprendere molte aree (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).

L’educazione affettiva ed emotiva dovrebbe accompagnare e completare l’ educazione sessuale. Le molteplici emozioni che esperiamo quotidianamente sono rappresentate dai desideri, dalle simpatie/antipatie, dagli innamoramenti e dagli amori che ci mettono in gioco. Risulta a nostro avviso di fondamentale importanza estendere l’educazione alla funzione relazionale della sessualità, che è rappresentata dall’impegno a stabilire un rapporto di ascolto di noi stessi e dalla capacità di riconoscere gli “altri” come persone, imparando il rispetto per l’altro/a sia nella dimensione dell’amicizia e dell’intimità, sia nell’esperienza dell’amore e dello scambio sessuale (Giommi, 2003).

Educazione sessuale: cos’è?

La definizione fornita dagli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa è la seguente:

Educazione sessuale significa apprendere relativamente agli aspetti cognitivi, emotivi, sociali, relazionali e fisici della sessualità. L’educazione sessuale inizia precocemente nell’infanzia e continua durante l’adolescenza e la vita adulta e mira a sostenere e proteggere lo sviluppo sessuale. Gradualmente essa aumenta l’empowerment di bambini e ragazzi, fornendo loro informazioni, competenze e valori positivi per comprendere la propria sessualità e goderne, intrattenere relazioni sicure e gratificanti, comportandosi responsabilmente rispetto a salute e benessere sessuale propri e altrui.

Tutti gli individui, durante lo sviluppo, hanno diritto ad accedere all’ educazione sessuale adeguata alla loro età come affermato dai diritti umani ratificati a livello internazionale in particolare dal diritto all’accesso a informazioni adeguate relative alla salute (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).

Educazione sessuale secondo una concezione olistica

Gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa suggeriscono una concezione olistica dell’ educazione sessuale, che comprende non solo la semplice prevenzione dei problemi di salute, ma si focalizza anche sulla sessualità come elemento positivo (anziché principalmente “pericoloso”) del potenziale umano e come fonte di soddisfazione e arricchimento nelle relazioni intime. Tradizionalmente l’educazione sessuale si è concentrata sui potenziali rischi della sessualità, come le gravidanze indesiderate e le infezioni sessualmente trasmesse (IST). Un tale focus negativo suscita spesso delle paure in bambini e ragazzi e, per di più, non risponde al loro bisogno di essere informati e di acquisire competenze; ancora, fin troppo spesso il focus negativo semplicemente non è di alcuna rilevanza per la vita di bambini e ragazzi. Un approccio olistico, basato sul concetto di sessualità come un’area del potenziale umano, aiuta a far maturare in bambini e ragazzi quelle competenze che li renderanno capaci di determinare autonomamente la propria sessualità e le proprie relazioni nelle varie fasi dello sviluppo. L’ educazione sessuale fa anche parte dell’educazione più generale e influenza lo sviluppo della personalità del bambino. La natura preventiva dell’educazione sessuale non solo contribuisce a evitare possibili conseguenze negative legate della sessualità, ma può anche migliorare la qualità della vita, la salute ed il benessere, contribuendo, così, a promuovere la salute generale (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).

Educazione sessuale “informale”

Nel corso della crescita, gradualmente, bambini e adolescenti acquisiscono conoscenze e si formano immagini, valori, atteggiamenti e competenze riguardanti il corpo umano, le relazioni intime e la sessualità. Le principali fonti di apprendimento, in particolare nelle fasi più precoci dello sviluppo, sono quelle informali, tra le quali troviamo i genitori, che sono di importanza fondamentale. Solitamente il ruolo dei professionisti, che siano di area medica, pedagogica, sociale o psicologica, non è molto pronunciato in questo processo, poiché quasi sempre si ricerca un aiuto professionale solo in presenza di una problematica. Tra le fonti di informazione non manca internet, che se da un lato è un diffuso metodo per soddisfare velocemente le proprie curiosità, dall’altro può portare i giovani ad imbattersi in informazioni frammentarie e scorrette. Già negli anni ‘90 viene trattato il tema del rischio legato alla ricerca di informazioni riguardo ad argomenti che interessano ai giovani (Bertinato et al., 1995). Il rischio, nell’entrare in contatto con fonti non attendibili, è che i giovani vengano influenzati negativamente dalle stesse, con conseguente disagio. Riteniamo che questa affermazione sia molto attuale: anche altri autori, come Alberto Pellai, hanno gettato luce sulle conseguenze della ricerca di informazioni su internet e social network (Pellai, 2015). Come sostengono Giommi e Perrotta (1992)

I genitori e gli adulti hanno spesso scelto il silenzio su questo argomento, senza considerare che il silenzio è esso stesso un modo di comunicare, che, proprio per il fatto che “di sessualità non si può parlare”, crea censure e tabù e condiziona in senso negativo i processi di crescita. Approfittando del silenzio degli adulti, prendono voce, al contrario, i cento messaggi del mondo esterno che facilmente passa contenuti e informazioni sbagliate, paurose e straordinarie.

Accanto all’educazione informale è importante la presenza di un’educazione formalizzata le cui fonti principali sono: la scuola, i libri, i pieghevoli, i volantini, i siti internet educativi, i programmi educativi e le campagne promozionali per radio e televisione ed infine i servizi (sanitari). Educazione informale e formalizzata non sono in contrasto, l’una è complementare all’altra e viceversa e la scuola può svolgere un ruolo importante per l’educazione formalizzata, pur non essendo il principale medium o fonte di informazione dei ragazzi (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).

Educazione sessuale nelle scuole

Tuttavia, introdurre l’educazione sessuale nelle scuole non è sempre facile: molto spesso si incontrano resistenze basate principalmente su paure ed idee erronee. Emerge spesso il timore di affrontare l’argomento prematuramente, anche se come afferma Fabio Veglia:

Domandarsi se è troppo presto, significa quasi sempre arrivare a parlarne troppo tardi (Veglia 2004).

Anche dal documento “Piano Nazionale di interventi contro HIV e AIDS” del 2017 emerge la percezione di criticità nell’affrontare l’argomento sessualità a scuola, a causa di punti di vista che spesso entrano in conflitto con le proposte e le ostacolano. A nostro avviso però sarebbe importante considerare quanto affermato dall’Istituto Superiore di Sanità, ovvero che la scuola, essendo il luogo più frequentato da bambini e ragazzi, può essere il teatro ideale per dibattere questi argomenti e divulgare i modelli comportamentali sani. Essa può avere la funzione da mediatrice tra famiglie, mass media e servizi sanitari, con l’obiettivo di favorire scelte coscienti convertibili in modelli culturali da seguire (Bertinato, Poli, Caffarelli, & Mirandola, 1995).

Secondo i già citati Standard per l’ educazione sessuale in Europa dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA pubblicati nel 2010 sarebbe importante inserire l’ educazione sessuale come materia curricolare e considerarla materia d’esame. L’obiettivo di questo cambiamento è dare sufficiente attenzione ed importanza agli argomenti proposti, favorendo la motivazione degli studenti. Inoltre i programmi di educazione sessuale dovrebbero essere trattati in maniera multidisciplinare, ovvero da più insegnanti sotto diversi punti di vista, e non dovrebbero essere facoltativi per gli alunni.

Educazione sessuale: un processo di apprendimento che dura tutta la vita

L’OMS suggerisce che l’educazione affettiva e sessuale è un percorso continuativo e si basa sul concetto che lo sviluppo della sessualità è un processo che dura tutta la vita. L’ educazione sessuale non è un evento singolo, bensì è basata su un progetto, e risponde alle mutevoli situazioni di vita degli allievi. Un concetto strettamente correlato è quello di “adeguatezza rispetto all’età”: gli stessi argomenti si ripresentano nel tempo e le informazioni relative sono fornite secondo l’età e lo stadio evolutivo dello studente. Proprio per questo è auspicabile introdurre l’educazione affettiva e sessuale già dalla scuola primaria, adattando i contenuti e gli argomenti all’età dei ragazzi. Questo concetto è stato promosso anche da due autori italiani, Roberta Giommi e Marcello Perrotta, che con i loro libri, già più di 20 anni fa, hanno divulgato informazioni nel campo dell’ educazione sessuale. Il “Programma di educazione sessuale”, realizzato pensando alle diverse fasce d’età dei bambini, tiene in considerazione le curiosità degli stessi con l’obiettivo di inserire la sessualità nel progetto di vita degli individui, favorendone il benessere (Giommi & Perrotta, 1992).

In Europa l’età d’inizio dell’ educazione sessuale è molto varia. Secondo il rapporto SAFE si va dall’età di 5 anni in Portogallo ai 14 anni di Spagna, Italia e Cipro (The SAFE Project, 2006). Nel leggere questi dati va tenuta in considerazione la variabilità dei programmi educativi proposti e della differente definizione di educazione sessuale. Laddove inizia ufficialmente nella scuola secondaria, solitamente è utilizzata una definizione di educazione sessuale molto più ristretta, in termini di “contatti sessuali”, mentre nei paesi dove inizia prima, la definizione e i programmi vengono estesi e comprendono non solo gli aspetti fisici e relazionali della sessualità e dei contatti sessuali, ma anche una gamma di altri aspetti come l’amicizia o i sentimenti di sicurezza, protezione e attrazione. (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010)

Alla luce di questi dati, risulta importante interrogarsi e valutare l’efficacia dei programmi di educazione sessuale che vengono proposti solo nella scuola secondaria, senza essere stati introdotti o preceduti da programmi di educazione sessuale ed affettiva durante gli anni della scuola primaria.

I bambini già dalle prime classi della primaria, arrivano a scuola con una serie di preconoscenze anche sulla sessualità, ed è proprio in questo luogo che dovrebbero poter trovare risposte ai propri quesiti e l’opportunità di un confronto produttivo con adulti e pari, al fine di favorire la ristrutturazione delle personali conoscenze anche in questo ambito.

Adolescenti e sessualità in Italia: alcuni dati

Dai dati presenti nel Report Nazionale Dati HBSC Italia del 2014, emerge che a livello nazionale, il 28% dei maschi di 15 anni dichiara di aver avuto un rapporto sessuale completo, mentre la percentuale è più bassa tra le femmine (21%). Riguardo ai metodi contraccettivi che i ragazzi dichiarano di aver utilizzato durante l’ultimo rapporto sessuale emerge da questi dati come la maggior parte degli adolescenti di 15 anni che hanno già avuto un rapporto completo riferisca l’utilizzo del preservativo (oltre il 70% dei maschi e il 66,5% delle femmine), seguito dall’interruzione del rapporto, dichiarato da più del 50% delle ragazze e dal 37% dei coetanei maschi. Complessivamente, circa l’11% riferisce l’uso della pillola e poco meno del 12% altri metodi (conteggio dei giorni fertili o altri metodi naturali) (Health Behavior in School Aged Children, 2014).

Da questi numeri si evince che, seppur una buona percentuale di giovani utilizza come metodo contraccettivo un metodo “barriera” come il preservativo (che protegge inoltre dalle infezioni sessualmente trasmesse), molti ancora ricorrono all’utilizzo dell’interruzione del rapporto, nonostante la scarsa efficacia di tale metodo. Tale dato va certamente tenuto presente nella progettazione e nella proposta di un programma di educazione sessuale a scuola.

In Italia, inoltre, malgrado il tasso di natalità sia uno dei più bassi all’interno dell’UE, e l’età della madre al primo figlio sia tra le più alte, il numero di gravidanze in età adolescenziale (14-19) rimane alto rispetto ad altri Paesi. Secondo i dati ISTAT si è verificata una diminuzione del 39% nel ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, rispetto al 2005, passando dal 7,1 % al 4,4% nel 2016 (Istituto nazionale di statistica, 2017). Questo dato è incoraggiante ma non significa che non si debba investire in progetti di prevenzione rispetto a pratiche che possiamo considerare di “emergenza”.

Uno spunto di riflessione può essere offerto dal confronto tra il periodo storico attuale con gli anni ‘90. Nel lavoro, precedentemente citato, di Bertinato e collaboratori (1995), si legge come l’epidemia nel nostro Paese fosse ancora in critica espansione. Ciò ha fornito le basi per motivare a prevenire quanto più possibile il contagio, in un’ottica di educazione alla salute. Gli autori affermano che, per essere efficace, la prevenzione debba essere caratterizzata non solo da informazione, ma anche educazione. Per questa ragione, sottolineano, dovrebbero essere formati e coinvolti gli insegnanti della scuola dell’obbligo. Questo articolo cita il fatto che studenti e famiglie si fossero dimostrati molto disponibili a ricevere informazioni in materia di prevenzione dell’AIDS. Gli autori del PNAIDS 2017 pongono l’attenzione sul fatto che, a dispetto dell’interesse che i giovani dimostrano per l’utilizzo di internet e social network, si rileva una scarsa tendenza degli stessi ad approfondire, con questi mezzi o all’interno di discussioni con gli amici, le informazioni riguardo a HIV/AIDS ed infezioni sessualmente trasmesse (Ministero della Salute, 2017). Questo potrebbe suggerire che l’argomento non sia più ritenuto interessante come invece poteva esserlo circa 20 anni fa. La soluzione indicata, per quanto riguarda l’abbassamento del rischio di contagio, è che vengano inseriti programmi di educazione sessuale e alla salute nelle attività scolastiche curricolari.

Educazione sessuale all’estero

Da una prospettiva storica generale, i programmi di educazione sessuale possono essere raggruppati fondamentalmente in tre categorie:

  • programmi di tipo 1, che si focalizzano principalmente o esclusivamente sull’astinenza dai rapporti sessuali prematrimoniali, conosciuti come programmi “how to say no” (“come dire no”) o “abstinence only” (“solo astinenza”);
  • programmi di tipo 2, che comprendono l’astinenza come una scelta possibile ma dedicano anche attenzione alla contraccezione e alle pratiche sessuali sicure, tali programmi sono spesso indicati come “educazione sessuale estensiva” rispetto all’educazione sessuale “solo astinenza”;
  • programmi di tipo 3 che comprendono gli elementi del programma di tipo 2 ma li collocano nella più ampia prospettiva della crescita e dell’evoluzione personale (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).

Negli Stati Uniti d’America spesso viene promossa l’astinenza come solo metodo contraccettivo, mentre in Europa occidentale sembra predominare il terzo tipo di programmi. Tuttavia, da uno studio comparato sui risultati di programmi di tipo 1 e 2 è emerso che, per gli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni, i programmi “solo astinenza” non hanno alcun effetto positivo sui comportamenti sessuali o sul rischio gravidanza in adolescenza. Inoltre tale studio dimostra che tra gli studenti che ricevono insegnamenti di educazione sessuale, non aumenta la percentuale di frequenza di attività sessuale né di malattie sessualmente trasmesse. È risultato tuttavia che lo stesso gruppo aveva un tasso di gravidanze inferiore rispetto a coloro i quali non partecipavano ad alcun programma di educazione sessuale (Kohler, Manhart, & Lafferty, 2008).

A differenza di quanto è emerso per gli Stati Uniti, in Europa l’educazione sessuale è in primo luogo rivolta alla crescita personale. Nell’Europa occidentale la sessualità non è percepita principalmente come un problema o un pericolo, bensì come una preziosa fonte di arricchimento per la persona.

In Europa l’educazione sessuale come materia scolastica curricolare ha una storia di oltre mezzo secolo. È nata ufficialmente in Svezia, dove divenne obbligatoria in tutte le scuole nel 1955.

A partire dagli anni ‘70 del secolo scorso molti altri paesi dell’Europa occidentale introdussero l’educazione sessuale che, come emerge dal report “Sexuality Education in Europe”, dal 2003 è materia obbligatoria in 19 Stati membri (The SAFE Project, 2006). Solamente in pochi Stati tra quelli appartenenti alla vecchia Unione Europea, specialmente nell’Europa meridionale, l’ educazione sessuale non è ancora stata introdotta nelle scuole.

Nel cercare studi riguardanti l’efficacia dei programmi di educazione sessuale nelle scuole europee e conoscenze scientifiche in merito si incontrano diverse difficoltà. La maggior parte delle pubblicazioni sono redatte nelle lingue nazionali e risultano dunque poco accessibili. (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).

Tra la letteratura recente troviamo un interessante articolo, pubblicato nel 2017, che riporta i risultati di uno studio che ha coinvolto 3781 studenti di età compresa tra i 15 e i 16 anni, residenti in Galles (UK). Gli autori hanno preso in analisi i dati di 59 scuole raccolti attraverso questionari online che riguardavano l’ambiente scolastico e la salute sessuale dei ragazzi. Le domande riguardanti la salute sessuale erano solo 3 ed indagavano se la persona avesse mai avuto rapporti sessuali, a quale età risalisse il primo rapporto ed infine se durante l’ultimo rapporto avessero utilizzato il preservativo. Per quanto riguarda l’ambiente scolastico, le domande erano le seguenti:

Chi si occupa di insegnare educazione sessuale e alle relazioni? È presente, nella tua scuola, uno sportello di ascolto specifico per dare consigli legati alla salute sessuale? La tua scuola offre un servizio di distribuzione gratuita di preservativi?

Dallo studio è emersa un’interessante associazione tra migliori risultati di salute sessuale (tra questi, l’uso del preservativo) e la presenza di personale non docente come formatore per i percorsi di educazione sessuale e alle relazioni. Inoltre, l’uso del preservativo all’ultimo rapporto è risultato associato alla presenza dello sportello relativo alla salute sessuale ma non alla distribuzione gratuita di preservativi. Un’ipotetica spiegazione della maggiore efficacia offerta dal personale non docente è che la presenza di un estraneo modifichi le dinamiche del gruppo-classe, nel quale ogni partecipante dovrebbe auspicabilmente sentirsi al sicuro e che sono molto importanti perché il programma vada a buon fine (Young, Long, Hallingberg, Fletcher, Hewitt, Murphy and Moore, 2017).

Tali risultati possono offrire spunti interessanti nella progettazione di programmi di educazione sessuale anche per il nostro Paese.

Programmi di educazione sessuale in Italia

L’Italia, come accennato in precedenza, rientra tra i paesi dove l’ educazione sessuale viene introdotta più tardi. I programmi di prevenzione proposti dalle aziende sanitarie sono rivolti a ragazzi di età compresa tra i 13 e i 14 anni. Al momento attuale tali programmi non sono obbligatori e la scelta di aderirvi rimane dei singoli Istituti, determinando disomogeneità nell’educazione sul territorio nazionale. Il rapporto sull’educazione sessuale nelle scuole dell’Unione Europea (The SAFE Project, 2006) dedica un paragrafo al nostro Paese. Vi si legge che molte proposte di Legge per introdurre l’educazione sessuale obbligatoria a scuola sono state respinte, probabilmente a causa dell’influenza delle posizioni della Chiesa Cattolica. Viene inoltre descritto che l’argomento, se trattato, è dedicato agli alunni di età compresa tra i 14 e i 19 anni e trova solitamente lo spazio di una sola lezione all’anno. Gli autori del rapporto sottolineano come, in mancanza di leggi che uniformino l’offerta educativa, non è possibile avere dati ufficiali sull’applicazione dei programmi di educazione sessuale.

Alcuni più recenti piani regionali di prevenzione contengono obiettivi che fanno pensare ad un tipo di educazione sessuale olistica e prevedono interventi e contenuti da proporre già nella scuola primaria. Una proposta interessante viene, ad esempio, dalla Provincia Autonoma di Bolzano che, con il progetto “Educazione socio affettiva e sessuale” per classi quinte della scuola primaria e terze della secondaria di primo grado sembra molto in linea con gli obiettivi dell’OMS. Il Dipartimento della Prevenzione della Provincia rileva che, nel 2017, il 25% delle scuole ha deciso di aderire all’iniziativa (Regele, Borsoi, 2017).

Una nostra collega ha descritto la propria esperienza come conduttrice di un progetto di educazione sessuale proposto ad alcune classi quinte della scuola primaria. Dal suo lavoro emerge, in linea con ciò che abbiamo precedentemente trattato, che la scuola può fornire strumenti di integrazione tra le conoscenze che i bambini già possiedono, quelle che hanno discusso in famiglia, e quelle portate dagli esperti (Congedo, 2018). Pensiamo che sia interessante il fatto che fossero previsti due momenti di discussione con i genitori, uno iniziale e l’altro al termine del progetto. Questi incontri, come riporta l’autrice, sono stati utili in quanto i genitori si sono confrontati tra loro, scambiandosi esperienze e condividendo strategie efficaci.

Conclusioni

Alla luce di quanto emerge da questa ricerca sui programmi di educazione sessuale all’estero ed in Italia possiamo fare alcune considerazioni.

In primo luogo dall’esperienza estera emerge la necessità di proporre alle scuole programmi che si basino su un’educazione sessuale di tipo olistico, che accanto all’informazione prevedano spazi di riflessione e sviluppo delle competenze affettivo-emotive. L’esperienza di alcuni stati esteri, dove l’educazione sessuale viene introdotta già dalla scuola primaria come materia curricolare, potrebbero ispirare l’organizzazione e la progettazione di una formazione educativa scolastica anche in Italia. Il fatto che in alcune regioni italiane siano proposti progetti fa ben sperare che, in futuro, l’introduzione di programmi di educazione sessuale a scuola possa essere anticipata rispetto a quanto attualmente avviene.

Per capire quanto quello che finora viene proposto nelle scuole del nostro Paese sia utile, servirebbero più studi sull’efficacia dei programmi attualmente realizzati. Questo potrebbe aiutare a capire anche come poter personalizzare una proposta formativa, in modo che si possa adattare alla cultura del nostro Paese.

Come già citato, condividiamo la proposta degli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa e le linee guida OMS sostenendo che i progetti di educazione sessuale, se visti come integrazione a più ampi percorsi di educazione all’affettività, adeguati alle età dei destinatari, possano fornire strumenti molto utili allo sviluppo della persona.

A nostro avviso, è importante considerare gli effetti positivi che un’educazione all’affettività e alla sessualità può avere anche su comportamenti e situazioni a rischio, quali bullismo, cyberbullismo e omofobia. Infatti attualmente vengono spesso esclusi dai programmi di educazione affettiva e sessuale argomenti importanti per il benessere psicologico, come ad esempio l’orientamento sessuale, le questioni di genere e dei ruoli (Ganci, 2015). Come sostenuto in questo articolo, essere consapevoli che esistono diversi orientamenti sessuali e conoscere persone con esperienze diverse dalla nostra può avere un effetto normalizzante ed è una delle strategie utilizzabili all’interno di un’efficace educazione all’affettività e sessualità ad ampio raggio.

In conclusione, offrire ai bambini ed ai ragazzi l’opportunità di partecipare a programmi di educazione sessuale può permettere loro di maturare consapevolmente un progetto di vita che tenga conto del benessere anche sessuale ed affettivo.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bertinato, L., Poli, S., Caffarelli, E., Mirandola, M., & Greco, D. (1995). L'educazione alla salute e la prevenzione delle infezioni da HIV nella scuola. Annali dell'Istituto superiore di sanità, 31(3), 307-312.
  • Congedo, V. (2018). Dove si fa l’amore? E in che momento della giornata? - L’educazione sessuale e affettiva all’ultimo anno della scuola primaria.
  • Ganci, A. (2015). La discriminazione omofobica a scuola: caratteristiche e mezzi di contrasto.
  • Giommi, R. (2003). Educazione emotiva, affettiva e sessuale. D’Anna: Messina – Firenze.
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  • The SAFE Project. (2006). Sexuality education in Europe. Disponibile da: https://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/sexuality-education-ineurope
  • Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA. (2010). Standard per l’Educazione Sessuale in Europa. Disponibile da: www.fissonline.it/pdf/STANDARDOMS.pdf
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