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L’uomo sano – Ciottoli di Psicopatologia Generale Nr. 40

Due principi guidano oggi l'approccio alla psicoterapia: il primo è l'atteggiamento non giudicante, il secondo è il partire da una egodistonia del paziente per concordare insieme gli obiettivi terapeutici. Cosa significa ciò lo si comprende attraverso una riflessione sul sistema culturale in cui tali principi sono nati

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 19 Set. 2018

Come qualsiasi altra invenzione dell’uomo, anche la psicoterapia è un prodotto della cultura e ne risulta pertanto direttamente influenzata.

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE – L’uomo sano (Nr. 40)

 

Non esiste attività umana che sia culture-free per dirla con un linguaggio più adatto all’olio di palma, al lattosio e ai coloranti. Furbastra la cultura, pur influenzando ogni nostra espressione lo fa senza che ce ne rendiamo conto. È potente proprio perché la diamo per scontata. Non è oggetto del discorso ma la sua premessa, la luce che illumina la scena, non gli oggetti o l’azione che vi si svolge.

Anche la psicoterapia ne è da un lato un prodotto diretto e recente (appena 150 anni) e dall’altro un onesto servo idiota con l’aggravante di ritenersi intelligente. Se si escludono alcuni santoni che dichiaratamente vogliono insegnare a vivere ai propri pazienti trasformandoli in adepti e che sia secondo i dettami del pensiero positivo, del razionalismo o dell’etica evangelica della chiesa avventinzia del penultimo giorno tardo pomeriggio poco conta, gli altri, diciamo così quelli seri, tentano di evitare questo pericolo, vedremo come e in tal senso sono (siamo) i più pericolosi perché inconsapevoli e poco evidenti.

Cosa avviene in psicoterapia?

Per evitare il rischio GDQS (guru da quattro soldi) sono principalmente due gli argomenti e le strategie che si usano. Il primo è il cosiddetto atteggiamento non giudicante. Il secondo è il partire da una egodistonia del paziente fissando insieme a lui gli obiettivi.

Credo che, seppure vi si aspiri, ciò si realizzi solo in parte e dunque che non sia del tutto vero, come la presunta ateoricità dei vari DSM. Non è forse una premessa epistemologica irrinuciabile del cognitivismocostruttivismo che “non sono i fatti a costruire le teorie ma quest’utlime a organizzare e valutare i fatti stessi e dunque è impossibile prendere contatto con una realtà senza contemporaneamente valutarla”?

Ma prendiamo momentaneamente per buono questo intento e diamolo per realizzato soffermandoci invece sulle premesse culturali implicite che nasconde.

L’atteggiamento “non giudicante” tanto sbandierato non afferma in fondo con forza, per usare un ossimoro, un relativismo assoluto? per cui tutto va bene, tutto è ammissibile? Attenzione non sto affermando che questo sia sbagliato (peraltro è davvero la mia convinzione personale) dico solo che bisogna essere consapevoli che anch’esso è una premessa ideologica, non meno assoluta di tante altre e che non è l’unico modo di stare al mondo.

L’egodistonia e l’autodeterminazione degli obiettivi mettono al centro di tutto l’individuo, il suo benessere e il conseguente diritto ad autodeterminarsi per ottenerlo che potremmo definire “egocentrismo edonico”. Il messaggio che passa più o meno esplicitamente è “pensa a te, ai tuoi bisogni e desideri” (ricentramento su di sé) e “fai di tutto per realizzare il tuo benessere” (assertività), con l’unica attenzione di non essere guidati solo dal principio del piacere immediato ma di tener conto anche del principio di realtà, per perseguire un piacere che non sia solo a breve ma anche a medio e lungo termine. Di nuovo mi astengo da qualsiasi giudizio in proposito volendo limitarmi a suscitare consapevolezza che questo è un modello di uomo sano tipico della attuale cultura occidentale di matrice statunitense, in cui ognuno deve darsi da fare al massimo per costruire il proprio personale benessere; tralascio la banalità più superficiale che lo si pensa legato all’avere piuttosto che all’essere e raggiungibile piuttosto con il fare che con il sentire, in un ambiente di libero mercato del benessere in cui il fatto che ognuno persegua il proprio comporta un miglioramento complessivo per tutti. In tale clima di darwinismo sociale, l’agonismo spietato per la sopravvivenza del più forte ha preso il nome molto più presentabile su cui non si può non essere d’accordo di meritocrazia, che non ha più oppositori essendo considerata appunto una ovvietà che turba alcune anime belle solo quando arriva all’eutanasia dei meno performanti o alla impresentabile eugenetica mengeliana di cui è premessa. Ci vorrebbe un filosofo, uno storico e un sociologo per ragionare su questi temi. Mi basta sollevare un dubbio circa la presunta avolorialità della psicoterapia che a me sembra invece imbevuta di un egocentrismo edonistico che vede i legami con gli altri come meri strumenti di soddisfacimento dei propri bisogni per l’autonomia da perseguire con un fare finalizzato all’avere.

Il prossimo confronto non ci vedrà opposti agli psicoanalisti o ai sistemici, ne avremo conflitti in direzione per stabilire se prevarranno al comando quelli di prima seconda o terza ondata, standard o post razionalisti ma ci vedrà tutti riuniti sotto le insegne antiche e gloriose di San Sigismondo a tentare una strenua resistenza contro le truppe degli integralisti dell’ISIS alleati con i fantasmi dell’inquisizione; e il campo di battaglia non saranno congressi e riviste internazionali, né la posta in palio la bocciatura di severi referee ma, a scelta il filo della spada sul collo o il fuoco del rogo sulle chiappe.

Ma non scomponiamoci questi sono solo i fatti, e non è da essi che dipende come staremo ma dalla nostra opinione su essi. O no?

 

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