Primo di una trilogia che Paul Williams ha iniziato a comporre nel 2010, “ Il quinto principio ” racconta la storia dell’infanzia del piccolo Paul, dalla nascita alle scuole elementari. Il racconto è inevitabilmente dell’adulto, o meglio di un Paul adulto che guarda al bambino cercando di descriverne i pensieri, le emozioni, le reazioni più intime. Il testo è breve ma fondamentale per ogni lettore o terapeuta che abbia desiderio di capire gli effetti devastanti del trauma infantile sulla mente di un bambino.
“Mia madre aveva un sesto senso per colpirci quando eravamo spiazzati o
ci sentivamo tranquilli o ci eravamo divertiti lontano da lei. […]
Sembrava che l’obiettivo della aggressioni fosse di umiliarci e noi eravamo umiliati, ma c’era qualcos’altro. Capii che questo qualcos’altro era l’odio per i bisogni e i sentimenti dei bambini […].
A 4 anni capii che non dovevo più chiederle niente e che dovevo rendermi invisibile.”
(da “ Il quinto principio ” di Paul Williams, 2014).
Il quinto principio: la storia dell’infanzia del piccolo Paul con gli occhi del Paul adulto
Il lavoro terapeutico dell’adulto – e del Paul Williams psicanalista – chiarifica alcuni passaggi del racconto e permette al lettore di mantenere uno sguardo “metacognitivo” sugli eventi raccontati, che certamente il Paul bambino non avrebbe potuto avere. In questo emerge una grande differenza espressiva rispetto a “Feccia”, il secondo romanzo della trilogia, in cui è l’adolescente a parlare direttamente e a bucare il foglio con parole, pensieri ed emozioni poco o quasi per nulla mediati dall’adulto.
Nonostante il maggior distacco, “ Il quinto principio ” riesce con forza a trasmettere il contatto profondo con quel bambino, con i suoi pensieri e con la sua innata capacità di sopravvivere all’impensabile, offrendo alla coscienza del lettore una brusca sveglia rispetto all’urgenza di intervenire precocemente sulle storie di abuso, maltrattamento e trascuratezza infantile, con tutti i mezzi terapeutici a nostra disposizione.
La forza del racconto muove dalle condizioni estreme in cui Paul ha dovuto vivere sin dalla nascita, trovando in piccoli gesti, strategie e fughe quotidiane, soluzioni essenziali alla sua resilienza. Come è ormai noto in letteratura, vivere un contesto perennemente minaccioso genera necessità ed emozioni differenti: un singolo – seppur grave – evento traumatico può infatti innescare paure, immagini intrusive, un senso di perdita e di fallimento tali da limitare la possibilità di esplorare alcuni spazi di vita prima affrontati senza timori. Quando però ci si trova esposti a molti traumi psicologici nel corso dell’infanzia (trauma cumulativo o complesso), la mente deve adattarsi a ripetute condizioni di minaccia alla vita, di grave trascuratezza e di rinuncia a bisogni primari universali: nutrimento, protezione, sicurezza. In queste condizioni, il cervello e la mente devono ri-organizzare completamente le risposte difensive e renderle più complesse, pervasive ed efficaci nell’affrontare un mondo perennemente imprevedibile e oscuro.
Un contesto familiare gravemente maltrattante e trascurante, genera nella mente di un bambino un paradosso senza soluzione o, come qualcuno la definirebbe, “paura senza sbocco” (Liotti, 2005): non posso restare perché potrei morire, non posso andare perché potrei morire.
L’alienazione dagli altri e da sé è dunque l’unico rifugio sicuro.
I principi guida del piccolo Paul
Da questa urgenza di sopravvivere, nascono i principi che Paul Williams descrive e che costituiscono una sintesi eccellente di quello che un terapeuta deve saper riconoscere quando si trova di fronte a storie di abuso e maltrattamento infantile. Alle sue parole la descrizione dei principi guida del piccolo Paul:
“La vergogna fu l’origine del mio Primo Principio di vita: Tutto ciò che facevo o dicevo era sbagliato.
Questo Principio era alla base del Secondo, del Terzo e del Quarto,
che elaborai a 4 anni per affrontare le conseguenze del Primo.
Il Secondo Principio diceva: Non credo a quello che dicono. La verità è l’opposto di quel che dicono.
Il Terzo Principio era: La rabbia mi terrà in vita.
Il Quarto Principio era: Se lavorerò il doppio degli altri, sarò in grado di vivere un vita che sarà molto simile a una normale.”
Ogni Principio è necessario alla sopravvivenza, ma allo stesso tempo finisce per creare teorie sul mondo, credenze fisse, pensieri automatici, schemi di comportamento e reazioni emotive che resteranno nell’adulto anche molti anni dopo la fine delle torture emotive compiute dai genitori. Su questi frammenti residui dell’esperienza infantile, il lavoro terapeutico può esercitare il suo profondo potere trasformativo e migliorare il futuro di chi ha combattuto sin da piccolissimo una battaglia impari, ingiusta e non evitabile.
Il Primo principio è la risposta migliore possibile all’umiliazione e alla violenza fisica vissuta con i genitori: se è Paul ad essere sbagliato, se è sua la colpa di tutto, allora può fare qualcosa per essere più bravo e sottrarsi agli insulti e alle percosse. “E’ più facile essere un bambino cattivo con dei genitori buoni, che un bambino buono con dei genitori cattivi” (Jim Knipe, 2018). Nel secondo caso Paul non avrebbe infatti nessuna possibilità di prevedere le loro reazioni, nel primo caso invece resta a lui una piccola illusione di controllo e di speranza nel poter cambiare le cose.
Il Secondo principio descrive il cuore del trauma infantile: il tema di sfiducia verso gli altri è l’elemento più doloroso e persistente nelle vittime di traumi relazionali; ogni essere umano diventa potenziale fonte di pericolo e imprevedibilità, quindi vivere “in trincea” come soldati appare come una valida soluzione per proteggersi, anche rinunciando all’intimità e al calore degli altri, se necessario.
Il Terzo Principio segue in linea diretta il Secondo: la rabbia è un’emozione più tollerabile della tristezza e del dolore dell’abbandono. Nelle vittime di traumatizzazione cronica la vulnerabilità non è un’opzione e non può essere mai mostrata. In quest’ottica non è difficile comprendere come sentirsi arrabbiati, reattivi e pronti a combattere (fight) sia indubbiamente un’emozione più sicura in cui stare, rispetto alla vergogna, alla disperazione, alla colpa, alla solitudine, o persino alla gioia.
Il Quarto principio è una strategia di adattamento ai continui attacchi all’autostima: le doverizzazioni, l’auto-sacrificio, gli standard alti, il perfezionismo, la sottomissione agli altri. Il senso pervasivo di inadeguatezza nelle vittime di trauma può diventare cronico e investire ogni area della vita, facendo accrescere l’idea che il successo e l’accettazione siano possibili solo a condizione di estrema efficienza, competenza e capacità. La paralisi sarebbe inevitabile, dunque il quarto principio nella sua durezza offre a Paul una soluzione per uscire dal guscio e tentare – nonostante tutto – la strada tutta in salita del confronto con gli altri.
E il Quinto principio? ..Lascio alla lettura del testo la soluzione che porterà Paul a capovolgere la sua traiettoria esistenziale e a smantellare un pezzo alla volta la vergogna e il terrore della sua infanzia.