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Prosopagnosia acquisita e congenita: tante facce nessun volto

Gli studi sulle conseguenze psicosociali della prosopagnosia indicano un profondo impatto sulla difficoltà nello stabilire e nel mantenere relazioni.

Di Francesca Fumagalli

Pubblicato il 20 Dic. 2017

Aggiornato il 03 Apr. 2019 13:51

Vi sono soggetti che presentano un’incapacità di riconoscimento di volti familiari su presentazione visiva: tale deficit selettivo è detto prosopagnosia. Nei casi più gravi il paziente non è in grado di identificare il volto del proprio partner e nemmeno la propria immagine riflessa in uno specchio

Francesca Maria Fumagalli – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano

 

… Dai cinque agli undici anni ho frequentato una piccola scuola di paese. La scuola contava cento bambini e nella mia classe eravamo in diciotto. Durante il penultimo anno l’insegnante mi chiese di restituire ai miei compagni i compiti in classe appena corretti: fui in grado di assegnare la corretta faccia ai nomi che leggevo solo in sei casi. Non avevo problemi con la ragazza dai capelli lunghi e rossi e con quella dai capelli biondi molto chiari. Tuttavia c’erano almeno sei ragazze della classe che mi sembravano totalmente identiche. Per i ragazzi era ancora peggio: tutti avevano capelli corti e biondi (“Il caso di Tiffany” – Rivolta, 2012).

Riconoscimento dei volti: cosa si intende con prosopagnosia?

I volti rappresentano uno stimolo fondamentale per l’interazione sociale, ci informano sull’identità del nostro interlocutore, ossia genere, età, razza; inoltre dal volto deduciamo indicazioni relative al tono dell’umore, all’attrattiva e l’approcciabilità di una persona.

Studi recenti hanno dimostrato come, nonostante gli esseri umani siano considerati esperti riconoscitori di volti, vi sono importanti differenze interindividuali nella capacità di elaborare l’identità dei volti (Palermo et al., 2016): vi sono i super-recognizer, soggetti estremamente abili nel riconoscimento dei volti e persone con scarse competenze di riconoscimento degli altri tramite il volto.

Vi sono soggetti che presentano un’incapacità di riconoscimento di volti familiari su presentazione visiva: tale deficit selettivo è detto prosopagnosia. Nei casi più gravi il paziente non è in grado di identificare il volto del proprio partner e nemmeno la propria immagine riflessa in uno specchio (Vallar & Papagno, 2007).

Mentre la patologia fu studiata approfonditamente già nel XVIII secolo, il termine prosopagnosia deriva dal greco prosopon (faccia) e a-gnosisi (senza conoscenza) e fu coniato nel 1947 dal neurologo tedesco Joachim Bodamer il quale descrisse alcuni casi tra cui quello di un giovane uomo di 24 anni che, in seguito a una ferita da arma da fuoco alla testa, aveva perso la capacità di riconoscere i volti. Ciononostante egli era in grado di identificare le persone utilizzando altre modalità sensoriali quali udito e tatto o indizi extra-facciali come andatura e taglio di capelli. I soggetti con prosopagnosia infatti non sono in grado di riconoscere più i volti delle persone care, perdendo talvolta anche la sensazione di familiarità per i visi conosciuti, ma individuano le persone note dalla voce o da qualche accessorio caratteristico, per esempio i capelli (Grossi & Trojano, 2002). In alcuni casi la difficoltà è limitata al riconoscimento di persone viste meno frequentemente in contesti inaspettati, per esempio quando si incontra un vicino al supermercato (Rivolta, 2014).

Esiste una convergenza tra studi sugli animali e sull’uomo che indicano come l’analisi dei volti sia mediata da meccanismi neurali dedicati e specifici, confermando l’ipotesi che i volti rappresentino stimoli “speciali” non solo a livello cognitivo ma anche neurale (Rivolta, 2012).

Secondo il modello neurale proposto da Haxby e colleghi (2000) il riconoscimento dei volti è mediato da diverse aree cerebrali; la prima area coinvolta è la Occipital Face Area (OFA), che rappresenta la porta d’ingresso del sistema visivo di analisi dei volti, in cui lo stimolo visivo è giudicato come “faccia” o “non faccia” e dove gli elementi costitutivi sono analizzati. Questa informazione è poi inoltrata al Superior Temporal Sulcus (STS) per l’analisi delle espressioni facciali e degli aspetti “variabili” del volto e verso la Fusiform Face Area (FFA), dove hanno luogo i processi olistici. Per ultimo, nel Anterior Temporal Face Patch (ATFP) avviene il riconoscimento dei volti familiari.

Prosopagnosia acquisita e prosopagnosia congenita

Si parla di prosopagnosia acquisita, acquired prosopagnosia (AP), quando una lesione cerebrale danneggia in un determinato soggetto l’abilità di riconoscere i volti noti. Tale deficit cognitivo può avere varie origini tra cui stroke sia di tipo ischemico che emorragico coinvolgete bilateralmente le aree occipito-temporali; tra le possibili diagnosi eziologiche si annoverano anche traumi cranio-encefalici, lobectomie finalizzate all’asportazione di focolai epilettogeni, disturbi degenerativi, avvelenamento da monossido di carbonio (Rivolta, 2012).

Negli ultimi 20 anni i ricercatori hanno focalizzato la propria attenzione su un’altra forma di prosopagnosia che si manifesta senza apparenti cause ed è nota come forma congenita o ereditaria (Rivolta, 2014). Tale tipologia di deficit nel riconoscimento dei volti noti, in inglese developmental prosopagnosia (DP), può essere descritta come un disturbo del neurosviluppo, conseguente pertanto dal fallimento nello sviluppo dei meccanismi cognitivi necessari per il riconoscimento dell’identità dei volti (Dalrymple & Palermo, 2016; Rivolta, Palermo & Schmalzl, 2013; Susilo & Duchaine, 2013). I soggetti con developmental prosopagnosia manifestano da sempre nella quotidianità severe difficoltà nel riconoscimento di volti noti, nonostante non presentino lesioni cerebrali note o rilevabili, abbiano normali abilità visive e intellettive (Bate, 2014; Behrmann & Avidan, 2005; Dalrymple & Palermo, 2016; Palermo & Duchaine, 2012; Rivolta, Palermo, & Schmalzl, 2013; Susilo & Duchaine, 2013). Si stima che tale forma congenita interessi circa il 2–2.9% della popolazione (Bowles et al., 2009; Kennerknecht et al., 2006). La developmental prosopagnosia è descritta come un deficit di memoria del viso e i casi di developmental prosopagnosia sono confermati usando compiti basati sulla memoria (Dalrymple & Palermo, 2016). Nella vita quotidiana, la condizione pregiudica principalmente la capacità di una persona di riconoscere i volti delle persone note, ma data la difficoltà nel creare test ad hoc per ogni singolo paziente (utilizzando volti noti a quel singolo soggetto), vengono tipicamente utilizzati test di riconoscimento di volti famosi, come il Macquarie Famous Face Test- 2008 (Palermo et al.,2011). Un altro metodo comune per misurare le capacità di apprendimento e memoria di volti in soggetti con developmental prosopagnosia è il Cambridge Face Memory Test (CFMT, Duchaine & Nakayama, 2006). In questo test standardizzato, i partecipanti studiano le immagini di sei maschi sconosciuti e viene successivamente valutata l’accuratezza di riconoscimento dei volti studiati in precedenza ma sottoposti a cambiamenti quali differenti punti di vista, diversa illuminazione o aggiunta di elementi visivi di interferenza (White et al., 2017).

Crescere affetti da prosopagnosia congenita: le conseguenze psico-sociali

Gli studi sulle conseguenze psicosociali di soggetti affetti da developmental prosopagnosia in adulti e bambini indicano che la presenza di una selettiva difficoltà nel riconoscimento di volti familiari può avere un profondo impatto sul funzionamento psicologico e sociale, creando le difficoltà nello stabilire e mantenere relazioni o nel partecipare alle attività sociali (Dalrymple & Palermo, 2016).

Molto precocemente i bambini fanno riferimento al volto per identificare i propri caregiver ed interagire con loro. Nell’infanzia, l’abilità di riconoscere i volti è importante per creare amicizie e per lo sviluppo delle capacità sociali. Con il maturare, tale competenza svolge un ruolo nella ricerca partner, nella costruzione di una carriera professionale e nel mantenimento delle relazioni sociali (Dalrymple et al., 2014). Interferendo nelle interazioni sociali, la presenza di prosopagnosia congenita potrebbe predisporre allo sviluppo di psicopatologie quali ansia sociale, caratterizzata da paura e conseguente evitamento di situazioni sociali che potrebbero essere potenziale causa di imbarazzo o umiliazione per il soggetto (Antony, 1997; Yardley et al., 2008).

Diaz (2008) presentò il caso di un bambino di 13 anni, Steve, affetto da prosopagnosia congenita. Egli utilizzava indizi visivi non legati al volto per l’identificazione delle persone a lui note, come elementi di abbigliamento o l’acconciatura. Tramite un’intervista semi-strutturata, il ragazzo riportò elevati livelli di preoccupazione inerenti le proprie competenze accademiche, le interazioni sociali e la propria sicurezza. L’autore concluse che i bambini affetti da proposopagnosia raramente sono in grado di creare gruppi di amicizie, poiché troppo difficili da sviluppare e mantenere (Diaz, 2008).

Yardley e collaboratori (2008) intervistarono 25 soggetti affetti da prosopagnosia congenita per analizzare se come difficoltà nel riconoscimento dell’identità dei volti possa impattare nel funzionamento psico-sociale dei soggetti che ne sono affetti. La maggior parte dei partecipanti riportarono esempi vividi di episodi imbarazzanti e spesso traumatici di errori, per esempio salutare sconosciuti confusi per persone note o evidenti fallimenti nel riconoscere persone familiari, ripresentandosi a riunioni di famiglia o al gruppo di amici. Una partecipante ha descritto il senso di panico causato dal pensiero di non essere in grado di riconoscere le sue amiche se perse in mezzo alla folla (Yardley et al., 2008). A lungo termine tali fallimenti possono portare ad attuare comportamenti di evitamento, come sfuggire ad incontri casuali ed evitare il contatto visivo con altre persone. In casi estremi, la presenza costante di uno stato d’ansia nel contesto sociale può esitare in isolamento sociale, riduzione dell’opportunità di impiego e perdita di fiducia in sé stessi (Dalrymple et al., 2014).

Nell’analizzare le conseguenze psicosociali del deficit in bambini con prosopoagnosia congenita sono state ipotizzate alcune tematiche principali: consapevolezza della difficoltà, utilizzo di strategie di coping, implicazioni sociali della difficoltà di identificazioni dei volti noti (Dalrymple et al., 2014). In particolare, è emerso come la maggior parte dei bambini sia consapevole delle proprie difficoltà o necessiti solo di una breve introduzione sul tema per poter parlarne approfonditamente. Le strategie di coping citate variavano notevolmente per quanto concerne il grado di complessità, dal chiedere sempre il nome all’ interlocutore, allo sfruttare informazioni provenienti dal contesto o utilizzare indizi “non volto”: memorizzare vestiti, colori dei capelli, oppure indizi più stabili come forma e dimensione del viso o indizi uditivi quali la voce. Un tema significativo identificato da Dalrymple e collaboratori (2014) riguarda il fatto che, nonostante per le altre persone gli episodi di mancati o erronei riconoscimenti possano risultate perfino buffi, per i soggetti prosopagnosici sono invece situazioni frustranti e emotivamente forti e intense. Vi sono quindi evidenze di un forte disagio e distress sperimentato dai soggetti con prosopagnosia congenita, con conseguenze importanti sul piano sociale e psicologico.

Interessante è inoltre capire, nel caso di bambini con prosopagnosia congenita, come tale difficoltà venga vissuta dai genitori: Dalrymple e collaboratori (2014) hanno evidenziato come tutti i genitori da loro intervistati abbiano espresso vissuti di sofferenza circa la scarsa conoscenza delle difficoltà dei propri figli e la mancanza di comprensione dell’impatto emotivo che tali difficoltà hanno sul bambino. I genitori hanno espresso inoltre ansia relativa a come le loro preoccupazioni e la situazione fosse vissuta dagli altri genitori e caregiver. Tale studio riguarda la situazione di bambini affetti da prosopagnosia congenita, interessante sarebbe vedere come evolvano le difficoltà di natura psicologica e sociale con l’età. Gli autori hanno ipotizzato infatti che tali conseguenze si facciano più severe in adolescenza (Dalrymple et al., 2014), un periodo di importante maturazione sia personale che relazionale, di ridefinizione di ruoli sociali e di significative transizioni scolastiche (Roeser, Eccles & Sameroff, 2000; Eccles et al., 1993).

Complessivamente, i risultati di numerosi studi suggeriscono come la prosopagnosia congenita possa avere gravi conseguenze psicologiche a breve e lungo termine. È necessario quindi incrementare le conoscenze circa la patologia e il suo impatto psicologico, in modo da fornire sostegni adeguati per la sperimentazione di interazioni sociali più facili e, specialmente nei casi di contesto evolutivo, aiutare i genitori a sostenere adeguatamente i propri figli (Dalrymple et al., 2014).

…Un giorno mio fratello stava giocando a casa con il suo amichetto Richard, che era anche nostro vicino. Una donna suonò alla porta e io, vedendola, credetti si trattasse della madre di Richard che era venuta a riprenderselo. Si trattava invece di una donna che abitava nella nostra via e che mi chiedeva se potevo fare la babysitter da lei questo weekend. Conoscevo entrambe queste donne da più di sei anni e non sono mai riuscita a distinguerle (Il caso di Tiffany – Rivolta, 2012).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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