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Una mente errante: il fenomeno del mind-wandering

Il fenomeno del mind-wandering indica la tendenza della mente a vagare e a spostare l'attenzione su altro e questo ha dei costi ma anche vantaggi.

Di Guest

Pubblicato il 12 Ott. 2017

Aggiornato il 14 Ott. 2020 15:26

Il mind-wandering riflette dunque la nostra tendenza e capacità a sganciare l’attenzione dalla percezione senza un’intenzione chiaramente definita; tale fenomeno è conosciuto in letteratura con il termine “disaccoppiamento percettivo” o “perceptual decoupling”.

Maria Giardina 

 

La mente errante e la tendenza a distrarsi

Dove vada la nostra mente, le ragioni della sua inarrestabilità e irrequietezza sono attualmente oggetto di studio e interesse delle più recenti ricerche scientifiche e dei più moderni approcci psicoterapici.

Sognare a occhi aperti, fantasticare, immaginare eventi futuri o rivivere momenti passati, parlare a se stessi o conversare con un “altro” immaginario sono solo alcuni esempi della ricchezza e dinamicità della nostra vita mentale. Una mente che vaga, definita dalla letteratura internazionale con termini quali mind-wandering, daydreaming, stimulus-indipendent thought,task-unrelated thought, zoning-out. Questi termini sottolineano la natura stessa del fenomeno: un evento comune e ordinario caratterizzato dalla tendenza a distrarci da ciò che si sta facendo e trascendere dalla realtà presente. Il focus attentivo si allontana dal qui e ora, dall’ambiente esterno circostante e da eventuali compiti a cui dovremmo, invece, dedicare e prestare attenzione (pensiamo ad esempio a quante volte la nostra mente vaga e si distrae durante momenti di studio o lavoro occupando se stessa con i temi e i contenuti più variegati).

Il mind-wandering riflette dunque la nostra tendenza e capacità a sganciare l’attenzione dalla percezione senza un’intenzione chiaramente definita; tale fenomeno è conosciuto in letteratura con il termine “disaccoppiamento percettivo” o “perceptual decoupling”. Nulla di strano o patologico ma, piuttosto, la vera essenza della mente e della coscienza umana: una coscienza dal contenuto perennemente mutevole, con un proprio ritmo ed una propria dinamicità. Una dinamicità oscillante tra un’attenzione diretta verso il mondo esterno circostante e un’attenzione auto-referenziale diretta verso il nostro mondo interiore. È questo ritmo oscillante che definisce e caratterizza la complessità e la ricchezza di ciò che siamo.

Conformemente alla nostra esperienza soggettiva, la letteratura sottolinea come il mind-wandering sia un fenomeno pressoché universale e occupi quasi la metà della nostra vita mentale durante lo stato di veglia. Nonostante la sua universalità e il suo carattere spontaneo e naturale, le ricerche evidenziano una serie consistente di effetti negativi che questa nostra tendenza eserciterebbe su di noi e sulle nostre capacità cognitive. Durante il mind-wandering le nostre risorse cognitive vengono utilizzate e assorbite dalla nostra stessa attività mentale, lontano dal mondo circostante e dalle richieste attentive del qui e ora.

I costi del mind-wandering

Molteplici sono i costi associati al mind-wandering studiati dalla letteratura. Difficoltà relative alla comprensione durante la lettura dovute a una codifica più superficiale del materiale scritto e delle informazioni in ingresso. Altri costi riguardano le difficoltà di attenzione sostenuta, ovvero la nostra capacità di sostenere e mantenere l’attenzione per periodi prolungati di tempo, necessaria per molti compiti di apprendimento quotidiano. Altri studi hanno mostrato come il mind-wandering abbia ripercussioni negative sulla nostra capacità di memoria di lavoro, un costrutto fortemente associato alle nostre stesse facoltà intellettive. Nonostante l’intelligenza sia comunemente considerata una misura stabile e immodificabile, studi recenti mostrano come training mentali volti a rafforzare le capacità di memoria di lavoro possano aumentare la nostra capacità di processare le informazioni, una capacità trasversale dunque che risulterebbe in un miglioramento delle performance a test di intelligenza fluida.

Inficiando dunque le capacità di attenzione, memoria di lavoro e apprendimento non sorprende che un’alta propensione al mind-wandering possa risultare in performance intellettive più scadenti. Gli effetti distruttivi del mind-wandering concernono non solo l’area più propriamente cognitiva ma influenzano negativamente anche le nostre emozioni; indipendentemente dal contenuto mentale (positivo o negativo), la nostra tendenza al mind-wandering ci porterebbe a essere meno felici. La relazione tra mind-wandering e abbassamento del tono dell’umore sembra essere forte e di tipo circolare: una mente vagante ci porta ad essere meno felici e, al contempo, un abbassamento del tono dell’umore conduce a una maggiore propensione a vagare con la mente. Questo fenomeno sembrerebbe essere responsabile di circoli viziosi alla base di una potenziale modificazione della vita mentale in senso psicopatologico, in particolare verso disturbi di tipo ansioso e/o depressivo.

Tra i diversi training mentali sviluppati nel corso degli anni, la mindfulness ha dimostrato di essere un valido strumento atto a potenziare capacità di attenzione e concentrazione, stabilizzando la mente e riducendo l’attività e gli effetti negativi del mind-wandering, tanto da essere soprannominata “l’antidoto” (Schooler et al., 2014).

Il valore funzione del mind-wandering

I quesiti che tuttavia sorgono spontanei in seguito alle considerazioni relative ai costi del mind-wandering sono i seguenti: il mind-wandering ha veramente in sé tale essenza distruttiva? Considerata la sua universalità e spontaneità avrà in sé del valore funzionale? Il nemico da contrastare sarebbe dunque la mente stessa?

In effetti, più recenti ricerche hanno messo in luce una mole sempre più consistente di evidenze che testimoniamo come il fenomeno del mind-wandering possa avere in sé proprietà positive, funzionali e adattive. Esso sembra essere legato alle nostre capacità di pianificazione futura, una pianificazione orientata ad un obiettivo ritenuto importante per gli scopi personali del soggetto. Gli studi suggeriscono come la tendenza a spaziare con la mente sia inoltre connessa con un aumento di creatività nell’individuo e con migliori prestazioni in compiti di problem-solving, in cui la soluzione non va ricercata tanto in procedure e strategie analitiche quanto piuttosto attraverso un insight creativo.

La nostra tendenza al zoning-out sembra inoltre fornire un altro vantaggio legato a una forma di “autostimolazione” che mettiamo in atto e che permette di alleviare il senso di noia che sperimentiamo durante l’esecuzione di compiti lunghi, meccanici o noiosi. Ciò è confermato dalla maggiore tendenza ad “assentarsi” con la mente proprio laddove il compito sia percepito come particolarmente tedioso; la possibilità di pensare ad altro, invece di “essere forzati” a rimanere nel qui e ora, lascia spesso alla persona la sensazione soggettiva che il tempo sia passato più velocemente. Un altro vantaggio del mind-wandering, strettamente legato al concetto di creatività, è quello di disabituazione, intesa come la tendenza a rispondere a un stimolo vecchio come se fosse nuovo; la propensione a distrarsi e vagare di tanto in tanto con la mente fornirebbe l’opportunità di ritornare sul compito con nuove e più produttive capacità attentive, “a mente fresca”.

Per ragioni simili, un metodo di studio basato sulla full-immersion o il cercare ostinatamente di risolvere un qualsivoglia problema o rompicapo senza concedersi momenti di pausa e distrazione non facilita né l’apprendimento né la risoluzione di un problema lasciando, invece, la sensazione soggettiva di essere “bloccati” sul compito e di non riuscire a procedere. Il mind-wandering, infine, potrebbe essere legato a una maggiore flessibilità dei nostri cicli attentivi fornendoci la possibilità di processare informazioni diverse (provenienti sia dall’ambiente esterno che interno: stimoli sensoriali, memorie passate, fantasie ecc.), muovendoci tra diversi flussi di pensiero e mantenendo un comportamento appropriato nel perseguimento di diversi scopi e obiettivi nello stesso momento.

Massimizzare i vantaggi e minimizzare i costi del mind-wandering

Considerati i costi e i benefici legati a questa nostra naturale ed inevitabile propensione a viaggiare con la mente, la domanda centrale diventa allora come massimizzare i vantaggi minimizzando i costi legati ad un’attività così potenzialmente dannosa e preziosa allo stesso tempo. La risposta potrebbe risiedere nel futuro sviluppo di training mentali che favoriscano una maggiore consapevolezza e, soprattutto, una modulazione del proprio stato e funzionamento mentale in base alla situazione e alle richieste ambientali: la capacità di mantenere il focus attentivo in momenti e situazioni richiedenti concentrazione, associata alla possibilità di spaziare e viaggiare con la mente laddove il contesto e il compito lo permettano e ne possano addirittura produttivamente beneficiare. Lo stesso programma mindfulness potrà forse un giorno rispondere a tale quesito e permettere il raggiungimento di questo prezioso equilibro.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Mooneyham, Benjamin W., and Jonathan W. Schooler. “The Costs and Benefits of Mind-wandering: A Review.” Canadian Journal of Experimental Psychology/Revue Canadienne de Psychologie Expérimentale 67, no. 1 (2013): 11.
  • Schooler, Jonathan W., Jonathan Smallwood, Kalina Christoff, Todd C. Handy, Erik D. Reichle, and Michael A. Sayette. “Meta-awareness, Perceptual Decoupling and the Wandering Mind.” Trends in Cognitive Sciences 15, no. 7 (2011): 319–326.
  • Schooler J, Mrazek MD, Franklin MS, Baird B, Mooneyham B, et al. (2014) The middle way: finding the balance between mindfulness and mind-wandering. In: Ross BH, editor. Psychology of Learning and Motivation (Volume 60). Academic Press.
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