
Anche i paradigmi teorici che considerano la maggior parte delle azioni come governate da impulsi automatici e inconsci riconoscono che la coscienza possa avere una certa influenza tale da interrompere o prevenire azioni fortemente automatizzate (Baumeister, Masicampo & Vohs, 2011). Occorre una premessa: l’impatto di componenti neurochimiche o basate sulla relazione di attaccamento o sul condizionamento comportamentale su risposte automatizzate o coscienti non è escluso. Tuttavia l’interesse principale riguarda il modo in cui processi automatici e coscienti interagiscono nel governare il comportamento.
L’abbandono del controllo può derivare da una scelta consapevole?
Un altro aspetto interessante riguarda gli studi su come un comportamento apparentemente incontrollato (impulsivo o disregolato) possa essere l’oggetto di una scelta volontaria. In particolare, ci si riferisce a tutti i comportamenti come il consumo di alcool, sostanze stupefacenti ma anche immersione in attività come l’alimentazione o la sessualità che mostrano una componente gratificante e/o fortemente distraente (Caselli & Spada, 2015).
Molti approcci teorici considerano questi comportamenti come il risultato di una motivazione inconscia, di un apprendimento o frutto di uno sbilanciamento neurochimico di circuiti cerebrali. Tutte queste componenti hanno certamente un ruolo che spesso viene riconosciuto all’interno della vasta gamma di fattori predisponenti o moderatori del comportamento (Robinson & Berridge, 1993) oppure fattori che hanno un impatto diretto sulla decisione individuale. È meno chiaro quanto siano considerati dall’individuo all’interno del processo decisionale e quanto siano vincoli che governano la decisione al di là della volontà. Ma l’abbandono del controllo cosciente può essere una scelta consapevole?
Le sostanze psicoattive come modalità di autoregolazione volontaria per fuggire da stati di coscienza dolorosi
Diverse ricerche e parecchi modelli teorici mostrano come l’abbandono del controllo sia spesso un’attività consapevole guidata dallo scopo di ridurre stati interni di disagio oppure staccare la mente da pensieri fastidiosi e preoccupazioni (funzione autoregolatoria dell’uso di sostanze). Si tratterebbe quindi di abbandonare la coscienza per trovare sollievo e la sostanza sarebbe un mezzo utile anche se non necessario. La riduzione dello stato di coscienza non sembra necessariamente connesso all’atto o alle caratteristiche psicoattive della sostanza. Il picco di riduzione della tensione corporea avviene subito dopo la presa di decisione e prima dell’inizio del consumo della sostanza vero e proprio. Non sono tanto il cibo o l’alcool a ridurre la coscienza e la tensione, ma la scelta di concentrarsi sul cibo o sull’alcool o su un qualsivoglia oggetto desiderato e cercare di raggiungerlo.
Questo rivela come la strategia più comune e rapida per ridurre la coscienza sia restringere il fuoco dell’attenzione sull’immediato presente e su stimoli concreti dell’ambiente (Baumeister, 1990). Quindi è possibile abbandonare il controllo cosciente anche senza l’uso di sostanze psicoattive. Queste possono essere sostituite da attività assorbenti che catturano completamente l’attenzione. L’immersione in simili attività può essere quindi una scelta cosciente per fuggire da stati di coscienza dolorosi (Caselli et al., 2010; Heatherton & Baumeister, 1991; Hull, 1981). Concentrarsi su aspetti concreti è un modo rapido per evitare pensieri astratti, significati elaborati o autovalutazioni o implicazioni a lungo termine. La consapevolezza è ridotta ai movimenti, alle sensazioni del presente e a prefigurazioni desiderate e concrete. Questa prospettiva mentale che abbiamo definito rimuginio desiderante (Caselli & Spada, 2010, 2015) può anticipare il comportamento vero e proprio e nel breve termine essere anche una fonte di riduzione della tensione, una via cognitiva attraente per fuggire da preoccupazioni, minacce e pressioni.
Anche in questo caso i comportamenti apparentemente disregolati, impulsivi (automatici) possono essere modalità di autoregolazione volontaria che mirano a ridurre i livelli di coscienza.
L’alta autoconsapevolezza presente nei binge eaters
Messaggio pubblicitario Vediamo quello che accade nei binge eaters: persone che tendono ad effettuare frequenti abbuffate. Diversi studi hanno mostrato che il fattore predisponente di maggiore impatto è un’alta tendenza all’autoconsapevolezza (self-consciousness, Heatherton & Baumeister, 1991). L’episodio di binge eating si realizza con maggior frequenza nel momento in cui vi è un calo di consapevolezza in una persona mediamente eccessivamente consapevole. I binge eaters mostrano segni di alta autoconsapevolezza, soprattutto pubblica, vale a dire sono molto attenti al modo in cui possono apparire agli occhi degli altri. Questa forma di costante attenzione all’immagine pubblica è (1) faticosa e (2) aumenta l’esposizione a maggiori pensieri negativi (minacce per l’autostima) e possibili processi ruminativi. L’esito è una maggior vulnerabilità a emozioni negative come ansia e depressione, sia per il più frequente senso di minaccia, sia per la tendenza alla ruminazione, sia per la fatica mentale del controllo.
L’eccesso di autoconsapevolezza (e le sue controparti di ruminazione e controllo; Sassaroli e Ruggiero, 2003) e le sue conseguenze, motivano le persone a scegliere di abbandonare il controllo per (1) uscire dalla fatica dello sforzo autoconsapevole costante, (2) ridurre il malessere che si accompagna alla coscienza dei pensieri negativi e al perseverare della ruminazione mentale (Spada et al., 2015; Caselli & Spada, 2015).
I binge eaters possono cercare di rimuovere pensieri negativi dalla coscienza restringendo il fuoco attentivo. Questo ha una conseguenza principale: la rimozione delle inibizioni. In una condizione in cui la coscienza è tenuta a basso livello, diventa impossibile monitorare in modo adeguato il consumo di cibo e identificare quei segnali (e.g. sazietà, sollievo) che ci dicono che l’obiettivo è stato raggiunto o anche solo prendere in considerazione una serie di altre informazioni che potrebbero influenzare la nostra decisione (es. conseguenze negative a lungo termine come la colpa del giorno dopo). In conclusione è possibile che la perdita di controllo sia un comportamento almeno in parte determinato da un processo consapevole e volontario.
È piuttosto arduo sostenere che le persone siano motivate a danneggiarsi. Forse questa è una delle ragioni che storicamente ha condotto in auge una prospettiva di deficit per cui: le persone si danneggiano perché non hanno la capacità di autocontrollo sufficientemente sviluppata. Dare questa spiegazione dei comportamenti autodistruttivi non significa necessariamente attribuire all’ individuo una volontà inconscia di danneggiarsi. In questo senso due precisazioni sono d’obbligo: (1) la motivazione non è ferirsi o danneggiarsi ma tenere lontano dalla coscienza pensieri negativi, (2) la volontarietà è innanzitutto intesa come volontà di uscire dalla fatica imposta da uno stato di iper-coscienza prima di intenderla come volontà di ferirsi con gli impulsi che emergono una volta che abbandoniamo la coscienza.
Coscienza & Comportamento:
3 – I comportamenti impulsivi e disregolati derivano da una scelta volontaria?
4 – Come le convinzioni sul controllo influenzano il comportamento
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Coscienza e inconscio tra neuroscienze e cognitivismo
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