E’ plausibile quindi riconoscere un nesso tra alimentazione vegetariana e specifiche preferenze sessuali: oggigiorno si parla del fenomeno definito vegan-sexuality per descrivere la preferenza di alcuni vegani ad impegnarsi in rapporti sessuali e relazioni intime solo con altri vegani.
Gabrieli Anna Azzurra e Fregni Eleonora – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena
Introduzione: la diffusione dell’ alimentazione vegetariana
L’ alimentazione da diversi anni sta assumendo un ruolo sempre più importante nella vita degli italiani, configurandosi come una vera e propria filosofia del cibo all’interno di uno stile di vita sano spesso contrapposto ad un’esistenza frenetica. Si assiste alla nascita di diverse discipline alimentari a partire da interrogativi legati a questioni etiche e morali rispetto al ciclo di vita degli animali e alla diversa salubrità degli alimenti per il corpo umano.
Secondo le rilevazioni dell’Eurispes, l’Istituto privato di Studi Politici, Economici e Sociali con sede a Roma, negli ultimi quattro anni in Italia il numero di chi segue un’ alimentazione vegetariana è variato dai 4,9% del 2013 a oltre il 8%, di cui l’1% vegano, nel 2016.
Tale dato in forte crescita è diventato oggetto di interesse da parte delle Istituzioni oltre che le grandi multinazionali che di fatto hanno modificato il mercato proponendo sempre più prodotti a base vegetale. Secondo il comunicato ANSA del 16 aprile 2014, nell’autunno dello stesso anno è stata lanciata la prima rete italiana di farmacisti in grado di dare consigli a chi segue questi regimi alimentari. Pharmavegana è il nome del progetto che prevede la presenza, nelle farmacie contrassegnate da apposito bollino, di un professionista specializzato per consigliare farmaci e integratori “eticamente corretti”; non solo quindi cosa evitare ma anche come integrare l’alimentazione di chi ha scelto di escludere carne e pesce o, nel caso dei vegani anche latte, uova e derivati.
All’interno del grande gruppo dei vegetariani occorre fare una distinzione difatti ci sono i semi-vegetariani che mangiano tutto ad eccezione delle carni rosse, quelli che escludono le carni animali tranne pesce e quelli che escludono tutte le carni.
I motivi che spingono alla scelta di un’ alimentazione vegetariana rispetto a quello più tradizionale,che prevede il consumo di carne, possono variare da questioni salutiste (vegetariani salutisti-VS) a quelle più prettamente etiche ed ambientali (vegetariani morali- VM).
Ma quali sono i processi cognitivi che conducono all’esclusione della carne dalla propria alimentazione?
Recenti studi (Fessler, Arguello, Mekdara & Macias, 2003) hanno indagato il ruolo delle emozioni, in particolare il disgusto, nel complicato processo di ragionamento che conduce alla scelta di uno specifico stile alimentare. Alcuni studiosi (Bastian, Loughnam, Haslam & Radke, 2012) invece si sono soffermati sui meccanismi utilizzati per superare il “paradosso della carne”, ovvero la preoccupazione per il benessere degli animali in contrapposizione alle abitudini culinarie carnivore.
Infine alcune ricerche (Potts & Parry, 2010) si sono interessate all’emergente fenomeno della vegan-sexuality, quindi come la scelta di un determinato stile alimentare può influenzare anche le preferenze in un contesto così intimo come la sessualità.
Il disgusto e la scelta di adottare un’ alimentazione vegetariana
Gli studiosi comportamentali sono stati spesso interessati alla relazione tra credenze morali ed emozioni. La visione tradizionalista dello sviluppo del ragionamento morale (Lasley, 1996) dimostra che la posizione morale viene adottata a partire da processi cognitivi e le emozioni sono quindi una conseguenza, mentre secondo le nuove correnti (Cosmides & Tooby, 2000) sono le emozioni stesse che producono i ragionamenti cognitivi.
Le persone che adottano un’ alimetazione vegetariana per motivi morali (VM) si distinguono da chi adotta delle motivazioni salutiste (VS) in virtù di differenti giustificazioni di esclusione della carne dai loro regimi alimentari. I VS evitano la carne perché reputata malsana e spesso cancerogena (comunicato OMS n°240 del 26 ottobre 2015) mentre VM la escludono per questioni legate a crudeltà, degrado e politiche. Per i VM il non cibarsi di carne è un imperativo morale e, a differenza dei VS, sono sconvolti dal consumo di carne altrui (Rozin et al,1997). Confrontando i VM e i VS, Jabs et all.(1998) riferiscono che i VM trovano la carne più disgustosa . Il disgusto è un’emozione che trae origine da un tipo di repulsione ideologica legata al cibo ma che mediante l’evoluzione culturale, è applicato ad una grande varietà di oggetti, persone o eventi reputate immorali (disgusto socio-morale- Haidt, Koller & Dias,1993). Rozin et all (1997) affermano, in linea con gli approcci tradizionali, che i VM trovano la carne più disgustosa in quanto hanno adottato una posizione anti-carne per motivi filosofici ed etici; successivamente (consciamente o inconsciamente) collegano il cibarsi di carne con forti emozioni che forniscono un ulteriore forza motivazionale alle loro posizioni. In breve, gli autori sostengono che il concetto di consumo di carne come immorale crea sia un opportunità sia un incentivo per definire la carne stessa disgustosa.
Il contatto con o l’esposizione ad animali (ex. scarafaggi), morte e corpi coinvolti in violenze sono tre dei maggiori elementi in grado di elicitare disgusto (Fiddes,1991). I moderni metodi di trasformazione, confezionamento, cottura e presentazione della carne rimuovono o mascherano l’idea che la carne sia una parte interna di una creatura una volta vivente. Spesso il primo passo verso l’adozione di un’ alimentazione vegetariana è l’evitamento di alcuni tipi di carne. Nonostante il VM eviti qualsiasi tipo di carne, nella popolazione occidentale l’esclusione della carne inizia da quella rossa e prosegue con le altre. Il sangue è un potente stimolo di disgusto e difatti chi non mangia carne rossa sembra essere disgustata dalla presenza di sangue (Kubberod et all, 2002). Nella carne di maiale, pollame e pesce appare come se i tessuti fossero stati drenati dal sangue, il processo di trasformazione altera artificialmente il potere evocativo della carne.
Sebbene il moderno mercato della carne riduca gli stimoli che suscitano disgusto, tali caratteristiche permangono salienti nella carne rossa rispetto gli altri prodotti di origine animale, e quindi è plausibile pensare che la sequenza di carni da evitare nelle prime fasi di vegetarianismo potrebbe riflettere la relativa disponibilità di stimoli-disgusto.
Alcuni dati demografici evidenziano che in occidente le donne che seguono un’ alimentazione vegetariana sono più numerose rispetto agli uomini (Beardsworth & Bryman,1999), le donne mangiano molto meno carne rispetto agli uomini (Richardson, et all. ,1993) mentre Mooney e Walbourn (2001) dimostrano che le donne che evitano la carne esprimono significativamente maggiore disgusto rispetto a quelle che non mangiano carne.
Fessler et all. nel 2003, cercarono di determinare se il disgusto seguisse l’adozione di una posizione morale o se l’emozione è in realtà la spinta motivazionale al divenire vegetariani per principi morali.
Gli autori svilupparono un’indagine web a cui parteciparono 945 soggetti (326 uomini e 619 donne) divisa in due parti. Nella prima parte ai soggetti veniva chiesto di indicare la frequenza del consumo di determinate categorie di carne durante la settimana mentre nella seconda parte ai partecipanti che avevano sottolineato di non mangiare tre o più delle carni descritte, veniva chiesto di selezionare una o più delle seguenti ragioni: gusto, odore, aspetto, ragioni etiche, motivi ambientali o motivi di salute. Successivamente veniva somministrato il D-Scale (Haidt et al., 1994), strumento costruito per valutare la sensibilità al disgusto in otto contesti (cibo, animali, prodotti per il corpo, sesso, corpi coinvolti in violenze, morte, igiene e pensiero magico circa la contaminazione).
I risultati evidenziarono che coloro che evitavano la carne per ragioni etiche e ambientali non dimostravano una sensibilità maggiore al disgusto rispetto a quelli che evitavano la carne per motivi di salute o di gusto.
Quindi i risultati mettono in discussione la nuova prospettiva emergente, che si contrappone a quella più tradizionalista, in cui l’aderenza al vegetarianismo morale è visto come derivante da maggiori reazioni-disgusto alla carne. Pertanto si può concludere, in linea con le precedenti ricerche (Rozin et all. (1997), che il disgusto nei vegetariani morali sembra più una conseguenza, piuttosto che la causa, dell’adozione di una posizione morale.
Il Paradosso della carne
La carne è un elemento centrale delle diete di molte persone eppure quest’ultime amano anche gli animali e sono disturbate dal danno procurato a loro. Questa incoerenza tra un amore per gli animali e il piacere di mangiare la carne crea un fenomeno denominato “paradosso della carne” (Loughnan, Haslam, e Bastian, 2010). Per questo motivo, alle persone raramente piace pensare da dove proviene la carne, i processi che la portano nel nostro piatto o le qualità di vita degli animali dal quale è estratta (Vialles, 1994). I mangiatori di carne fanno di tutto per superare questa contraddizione tra le loro credenze e comportamenti.
Esplorare questo paradosso della carne è importante per tre motivi.
In primo luogo, fornisce una nuova prospettiva da cui osservare i processi psicologici di base associati all’azione morale di tutti i giorni. Mangiare carne è un comportamento moralmente significativo, eppure raramente è concettualizzato come una scelta morale. Potrebbe essere utile un’indagine per spiegare come i processi cognitivi e motivazionali possono oscurare la responsabilità morale. In secondo luogo, l’appetito è un potente forza che plasma gran parte del comportamento umano e, pertanto, può essere una potente componente del ragionamento motivato (Kunda, 1990) all’interno del dominio morale. In terzo luogo, le pratiche culinarie non sono le uniche fonti di piacere, ma sono anche importanti elementi di significato all’interno della cultura (Berndsen & van der Pligt, 2005). Le persone sono molto motivate a proteggere le loro pratiche culturali, per cui un’analisi rispetto al consumo di carne può fornire una conoscenza delle strategie che la gente mette in atto per mantenere i moralmente discutibili, ma cari, impegni culturali. Bastian et all. in una ricerca del 2012 si sono concentrati sui processi psicologici che facilitano le persone nella loro pratica culinaria di mangiare carne.
La gente spesso separa mentalmente la carne dagli animali (Hoogland,de Boer, e Boersema, 2005), in modo tale che possano mangiare costolette di maiale o bistecche di manzo senza pensare a maiali o mucche. Il disinvestimento mentale dell’origine della carne ha una funzione importante per i mangiatori di carne, riduce la dissonanza suscitata dal piacere di mangiare la carne e il danno che gli animali subiscono per produrla. Un altro modo per rendere meno fastidiosa la sofferenza legata agli alimenti di origine animale è negare che essi possiedono capacità morali rilevanti (Bilewicz, Imhoff, e Drogosz, 2011). Il possesso di capacità mentali costituisce la base per attribuire un valore morale, così negando queste capacità, come quella di soffrire e provare dolore, abbassa lo status morale di un animale. La negazione delle capacità mentali ad animali si configura quindi come un processo psicologico che agisce per facilitare l’effettiva abitudine di consumare carne in modo da mantenere le pratiche alimentari culturali.
Il pensiero che gli animali sentano dolore quando vengono macellati, o abbiano la capacità di pensare e di capire il loro destino, toccherebbe anche l’amante della carne più sfrenato. Nel suo recente libro Eating Animals, Jonathan Safran Foer (2009) promuove uno stile di vita e un’ alimentazione vegetariana evidenziando le capacità mentali di molti animali e la loro paura e dolore associate con la produzione industriale di carne. Riconoscere che gli animali hanno una mente li rende molto simili a noi in diverse prospettive morali, e questo assunto va in conflitto con la nostra abitudine di mangiare carne.
Le persone si riconoscono dei diritti morali in base al fatto di possedere una mente (Gray,Gray & Wegner, 2007) ed è proprio questo dato che ci offre il diritto ad un trattamento umano. Riconoscere che un animale ha una mente ma viene ucciso per produrre cibo può creare un conflitto morale per i mangiatori di carne. Tuttavia l’idea che gli animali abbiano capacità mentali attenuate rispetto agli esseri umani non è senza supporto. Le menti animali sono meno complesse della mente umana (Penn & Povinelli, 2007) e le laiche percezioni delle menti animali in generale concordano (Haslam, Kashima, Loughnan, Shi, e Suitner, 2008). Filosofi quali sant’Agostino, Cartesio e Kant hanno indicato queste differenze di capacità mentali per giustificare il minore status morale degli animali (Wennberg, 2003). Riconoscere la mancanza di una mente nell’animale è la chiave attraverso la quale le persone giustificano l’uso di animali a fini alimentari (Singer, 1990). Tuttavia, gli esseri umani sono relativamente imprecisi nell’attribuire delle capacità mentali agli animali (Mameli & Bortolotti, 2006), e infatti questa concessione potrebbe dipendere più da motivazioni soggettive che da fatti oggettivi (Marcu,Lyons & Hegarty, 2007).
Le persone quando sentono il bisogno di compagnia o di qualcuno che comprenda il loro comportamento, riconoscono le capacità cognitive degli animali (Epley, Waytz, Akalis, e Cacioppo, 2008). Mentre negare la mente agli animali riduce la preoccupazione per il loro benessere, giustificando il danno causato a loro nel processo di produzione di carne.
Secondo l’ action-based model of dissonance (Harmon-Jones, Harmon-Jones, Fearn, Sigelman, e Johnson, 2008), le persone sono motivate a ridurre i conflitti cognitivi che interferiscono con il comportamento effettivo (dissonanza). Negare menti animali rende il danno portato a loro meno fastidioso, facilitando il consumo di carne. La dissonanza può quindi fornire la comprensione dei processi attraverso i quali la gente diminuisce la responsabilità morale e mantiene le pratiche culinarie, evitando un’ alimentazione vegetariana.
Sebbene l’esperienza di dissonanza comporti stati affettivi negativi (Harmon-Jones, 2000), questo non è l’unico motivo per cui la gente potrebbe provare emozioni negative nel momento in cui mangia la carne.
L’effetto è centrale non solo per la nostra esperienza di alimentazione (Rozin, 1996), ma anche per le nostre convinzioni circa la moralità (Greene, Sommerville, Nystrom, Darley, & Cohen, 2001).
Come il disgusto viene reclutato nel processo morale che trasforma le nostre preferenze culinarie in un valore (Rozin, Markwith, & Stoess, 1997), allo stesso modo, vergogna e colpa sono regolarmente suscitate dalla percezione di trasgressioni morali (Tangney, Miller, Flicker, e Barlow, 1996); di conseguenza gli animali che possiedono qualità moralmente rilevanti possono innescare questi stati emotivi.
La protezione contro questi stati affettivi negativi è importante in quanto così facendo manteniamo pratiche culinarie che non sono solo fonti di piacere, ma sono anche importanti comportamenti significativi all’interno della cultura di appartenenza (Berndsen &van der Pligt, 2005). Negare al cibo animale capacità di percepire dolore e sofferenza o di comprensione può essere un elemento chiave nella riduzione degli stati affettivi negativi associati con il loro consumo, pertanto, questo processo sostiene il piacere e il significato culturale della pratica culinaria (Plous,2003).
Una nuova corrente: la vegan-sexuality
Potts e Parry nel 2010 esplorano il fenomeno definito vegan-sexuality per descrivere la preferenza di alcuni vegani ad impegnarsi in rapporti sessuali e relazioni intime solo con altri vegani. E’ plausibile quindi riconoscere un nesso tra alimentazione vegetariana e specifiche preferenze sessuali. La spiegazione del fenomeno della vegan-sexuality si inserisce lungo un continuum in cui da una parte vi è una forma di preferenza sessuale influenzata dal proprio stile alimentare con un aumento della probabilità di attrazione sessuale nei confronti di coloro che condividono credenze simili; dall’altra questa tendenza potrebbe configurarsi come una forte avversione sessuale per i corpi di coloro che consumano carne e altri prodotti animali.
Durante un sondaggio del New Zeland Centre for Human-Animal Study al fine di esplorare i punti di vista e le esperienze della popolazione schierata contro lo sfruttamento degli animali e la vivisezione, Potts e White (2007) focalizzano la loro attenzione sui commenti di alcune donne con alimentazione vegetariana /vegana che dichiarano di preferire una relazione solo con altre persone che non consumano carne o altri prodotti animali.
“Credo che siamo quello che mangiamo, per cui credo di fare molta fatica nel contatto di fluidi corporei, soprattutto sessuali”; “Non potrei essere in una relazione intima con chiunque mangi animali. I nostri mondi sono troppo distanti tra loro e la probabilità di riuscita del rapporto è molto bassa. Non riesco a pensare di baciare delle labbra che permettono di far passare pezzetti di animali morti”; questi solo alcuni dei commenti su cui i due autori si sono soffermati.
E’ importante sottolineare come la vegan-sexuality non è una forma innata o predeterminata di sessualità ma si conforma più come una preferenza/inclinazione nei confronti di chi ha adottato uno stile di vita etico.
In conclusione è probabile, come già evidenziato in precedenti ricerche (Fox & Ward, 2008), che coloro che scelgono uno stile di vita etico estendano tale impegno sia all’alimentazione sia all’importante sfera dei rapporti intimi e il fenomeno della vegan-sexuality ne è un chiaro esempio.
Conclusioni: cosa spinge a scegliere un’ alimentazione vegetariana
Abbiamo visto come le emozioni, quali il disgusto, vergogna e colpa siano strettamente legate al ragionamento cognitivo che conduce alla scelta di una alimentazione vegetariana. Sono state esplorate inoltre le strategie per superare il cosiddetto “paradosso della carne” che quindi permetterebbe alle stesse persone che amano gli animali di cibarsi di carne diminuendo l’impatto emotivo dell’immagine dei comuni metodi di macellazione e allevamento.
Tra le critiche mosse contro la scelta del vegetarianismo come principale stile alimentare, vi è stata quella di definirlo come elemento predisponente ad alcuni disturbi del comportamento alimentare a causa della percezione di perdita di controllo (Robinson-O’Brien et all. 2009). Numerose ricerche però hanno evidenziato come una alimentazione vegetariana possa essere utilizzata per camuffare un preesistente disturbo del comportamento alimentare (Curtis & Comer, 2006). Verosimilmente questo sarebbe anche il motivo per cui tale condotta è più diffusa tra gli adolescenti che presentano disturbi del comportamento alimentare, rispetto alla popolazione generale degli adolescenti (Perry, McGuire, Newmark-Sztainer & Story, 2001).
In conclusione, è emerso, come filo conduttore di tale scelta alimentare, lo sviluppo di uno sguardo più attento a ciò che ci circonda. Centrale nell’adozione di tali comportamenti è il concetto di amore, per sé stessi nel caso dei Vegetariani Salutisti e nei confronti degli animali e dell’ambiente per i Vegetariani Morali. Tale concetto rimane presente anche se in difetto (mancanza d’amore per sé stessi) nel caso in cui tali comportamenti alimentari siano funzionali al mascheramento di disturbi alimentari latenti.
Alla luce di quanto precedentemente descritto, tale fenomeno in larga espansione avrebbe bisogno di una maggiore attenzione da parte degli istituti di ricerca al fine di indagare ancora più nel dettaglio le motivazioni oltre che le potenziali conseguenze e ripercussioni sulla popolazione.