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Il comportamento alimentare negli atleti: tra normalità e patologia

Gli sportivi potrebbero seguire uno stile alimentare troppo rigido e questo potrebbe causare disturbi alimentari, quali anoressia, vigoressia, ortoressia.

Di Martina Croci

Pubblicato il 14 Apr. 2017

Aggiornato il 02 Set. 2019 15:54

Nel mondo degli sportivi talvolta lo schema alimentare viene applicato in modo disfunzionale e inflessibile per ottenere, in ottica perfezionistica, un’ottima performance oppure per mantenere un’immagine corporea perfetta. I disturbi alimentari negli sportivi (in particolare si intende anoressia e bulimia) sono problematiche che spesso vengono confuse con atteggiamenti di coerenza con la tipologia di attività sportiva svolta dall’atleta e spesso sfuggono all’occhio “non esperto”, salvo presentarsi con evidenti sintomatologie legate al peso o alla forma del corpo.

Martina Croci, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

 

L’alimentazione degli sportivi: assumere il giusto apporto calorico

Inseguire un modello alimentare ad hoc o cercare di alimentarsi in modo sano ed equilibrato? Sono ormai note l’attenzione e la cura che gli sportivi dedicano alla loro alimentazione, ma quando uno stile di vita alimentare diventa problematico?

Una corretta alimentazione nella vita di ogni sportivo, e non solo, è di fondamentale importanza siccome permette, attraverso l’assunzione di alimenti in modo sano e bilanciato, di ottenere un benessere fisico ottimale adatto ad ogni prestazione fisica svolta. Tutto ciò che noi introduciamo nel nostro organismo serve, nello stesso momento, come carburante (le calorie sono la quantità di energia contenuta in ogni alimento), come protezione (le vitamine, le fibre, i minerali e gli antiossidanti giocano un ruolo difensivo), come regolazione termica (l’acqua contenuta nei cibi e nelle bevande aiuta il nostro corpo a mantenere la temperatura nel suo stato ottimale) ed infine le proteine con i loro amminoacidi essenziali permettono il continuo rinnovamento dei tessuti. Il nostro organismo ha bisogno di una miscela di macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi) con dei rapporti percentuali precisi per funzionare al meglio in ogni circostanza. L’apporto calorico, derivante dalla miscela dei diversi macronutrienti, più opportuno per qualsiasi essere umano, è composto, all’incirca, dal 50% di carboidrati, dal 30% di grassi ed infine dal 20% di proteine.

Nel caso particolare delle diete seguite dagli sportivi non ritroviamo un pattern specifico di alimentazione creata ad hoc per raggiungere un’ottima performance, tuttavia sarebbe auspicabile conoscere i principi alla base di una corretta alimentazione, sana e bilanciata, da adottare in relazione agli sforzi fisici da sostenere; la percentuale di macronutrienti assunta dagli sportivi può variare in base alla disciplina svolta, alla durata e all’intensità dello sforzo fisico (ad esempio se si tratta di giorni di allenamento oppure di competizione), tuttavia non esiste una “ricetta” universale per raggiungere un buon risultato, ma questo è dato da un equilibrio dei nutrienti assunti che varia in base all’obiettivo specifico da raggiungere di volta in volta, senza perdere di vista la corretta alimentazione che ognuno di noi, sportivi e non, dovrebbe mantenere.

I muscoli degli atleti consumano una combinazione di carboidrati e lipidi che variano in base alla durata e all’intensità dell’allenamento effettuato. I carboidrati solitamente, nelle diete adottate dagli atleti, sono utilizzati per mantenere un equilibrio dei livelli di glicogeno, ossia dei depositi composti da molecole di glucosio collocate prevalentemente nei muscoli e nel fegato. In particolare durante l’esercizio fisico si utilizzano alimenti ricchi di fruttosio o maltodestrine, contenuti prevalentemente nei cereali, allo scopo di prevenire l’esaurimento del glicogeno muscolare; infine, dopo lo sforzo, i carboidrati ad alto indice glicemico, come le bevande zuccherate e i dolci, servono per ricostruire il glicogeno muscolare che è stato esaurito dall’organismo durante l’allenamento. Assumere carboidrati dopo aver effettuato un allenamento intenso è fondamentale per ristabilire una sorta di omeostasi dei livelli di glucosio dato che vi è periodo di tempo post – allenamento (circa mezz’ora dopo lo sforzo fisico) chiamato finestra anabolica in cui i muscoli dell’atleta sono più ricettivi, quindi assumendo carboidrati in questo intervallo di tempo si velocizza il recupero del proprio stato ottimale (Aragon & Schoenfeld, 2013; Maughan & Shirreffs, 2012).

Il mondo degli esperti nella nutrizione sportiva raccomanda di consumare almeno cinque pasti durante l’arco della giornata (colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena). Questo schema alimentare, tuttavia, non è possibile applicarlo in modo rigido a tutti gli sportivi ma è necessario modificarlo ed adattarlo alla specifica disciplina che ogni atleta svolge, in quanto il modello dell’assunzione dei pasti e dei macronutrienti nell’arco della giornata dipende fortemente dalla durata, dall’intensità e dall’orario dello svolgimento dell’attività sportiva, questo, come precedentemente accennato, proprio perché non esiste un paradigma alimentare ad hoc per l’atleta ma è necessario modulare l’apporto calorico e la percentuale dei macronutrienti in relazione agli sforzi fisici da sostenere in ogni peculiare circostanza e agli obiettivi che l’atleta si pone di raggiungere.

I disturbi alimentari negli sportivi

Nel mondo degli sportivi talvolta lo schema alimentare viene applicato in modo disfunzionale e inflessibile per ottenere, in ottica perfezionistica, un’ottima performance oppure per mantenere un’immagine corporea perfetta. I disturbi alimentari negli sportivi (in particolare si intende anoressia e bulimia) sono problematiche che spesso vengono confuse con atteggiamenti di coerenza con la tipologia di attività sportiva svolta dall’atleta e spesso sfuggono all’occhio “non esperto”, salvo presentarsi con evidenti sintomatologie legate al peso o alla forma del corpo.

Ci sono diverse ragioni per le quali si possa pensare che gli atleti siano più a rischio di sviluppare una problematica alimentare: in primo luogo gli atleti sono esposti a una pressione socioculturale maggiore rispetto alla popolazione, sull’essere conformi ad un ideale di forma corporea ben precisa; questo accade soprattutto negli sport in cui è richiesta la magrezza per ragioni di performance o apparenza, come ad esempio la danza, la ginnastica artistica. In secondo luogo molto spesso gli atleti vengono descritti come perfezionisti, orientati all’obiettivo, competitivi e preoccupati dalla buona riuscita della performance: queste caratteristiche sono altresì caratteristiche personologiche peculiari frequentemente associate ad individui che soffrono di disturbi alimentari. In terzo luogo l’esordio dei disturbi alimentari risale all’adolescenza o alla prima età adulta, periodo in cui inizia anche la partecipazione a competizioni degli sportivi.

Dai diversi studi condotti emerge una vulnerabilità maggiore degli atleti ad incorrere in problematiche legate all’alimentazione, soprattutto nella popolazione femminile, tuttavia pare non emergere un’assoluta prevalenza di disturbi alimentari (classificati nel DSM IV-TR) negli sportivi ma solo una maggiore esposizione ai fattori di rischio, i quali spesso vengono considerati come funzionali alla performance sportiva oppure alla forma corporea richiesta ma possono portare con più facilità all’inflessibilità e alla disfunzionalità degli atteggiamenti alimentari che possono configurarsi come vero e proprio disturbo alimentare (Byrne & McLean, 2001; El Ghoch, Soave, Calugi, & Dalle Grave, 2013).

Vi sono diverse tipologie di sport che sono maggiormente esposte al rischio di esordire con un disturbo alimentare, ad esempio, sport cosiddetti estetici (ad esempio la danza, il nuoto sincronizzato e la ginnastica artistica), sport che prevedono una categoria relativa al peso (come il pugilato e le arti marziali, in questo caso è stata individuato come disturbo del comportamento alimentare più frequente la bulimia, più soggetta alle oscillazioni, ma tra tutte quella meno riconoscibile), sport che necessitano di strutture minute e peso corporeo basso (come ad esempio nel ciclismo e nell’equitazione), sport che mettono in evidenza la massa muscolare (più frequente la dismorfofobia nel body building) ed infine gli sport che prevedono un abbigliamento che mette in evidenza la forma fisica (nuoto, pallavolo). Gli studi condotti sui disturbi alimentari nello sport non sono privi di criticità a livello metodologico, in quanto vi è molta variabilità tra le diverse discipline sportive e alle diagnosi effettuate (Byrne & McLean, 2001; El Ghoch et al., 2013; Kong & Harris, 2015).

Tra gli sportivi possono emergere solo disturbi del comportamento alimentare categorizzati dalla comunità scientifica oppure esistono diverse sfaccettature degli stessi, che possono portare ugualmente ad una sofferenza psicologica o possono rappresentarne “l’anticamera”?

Nel mondo degli sportivi vi può essere una maggiore diffusione dei disturbi alimentari (DCA) clinicamente diagnosticati, probabilmente proprio per una sovrapposizione di peculiari caratteristiche tipiche di pazienti affetti da Disturbi  del Comportamento Alimentare e peculiarità personologiche proprie degli sportivi. I disturbi alimentari non si limitano, in senso stretto, alle categorie descritte dell’attuale Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, ma esistono diverse sfumature degli stessi che rispecchiano, nondimeno, una sofferenza della persona; tra queste sfaccettature, non ancora categorizzate nel DSM 5, troviamo, ad esempio, l’ortoressia, l’anoressia atletica e la vigoressia, più tipicamente maschile.

Ortoressia, anoressia atletica e vigoressia sono comportamenti alimentari molto frequenti tra gli atleti che, tuttavia, possono portare lo sportivo ad una sofferenza psicologica considerevole. Nella sfera degli sportivi è possibile incorrere in casi più evidenti di Disturbi del Comportamento Alimentare oppure possiamo ritrovare dei comportamenti degni di attenzione clinica, seppure non diagnosticabili principalmente come anoressia e/o bulimia nervosa; tuttavia queste sfumature possono rappresentare i prodromi dell’esordio di un Disturbo del Comportamento Alimentare oppure un comportamento alimentare problematico a sè stante.

Gli sportivi prestano molta attenzione e cura al proprio stile di vita alimentare, proprio perché è il loro carburante necessario per un’ottima performance, è la chiave di lettura per ottenere una perfetta forma fisica e gioca un ruolo fondamentale per assicurarsi un buon recupero fisico dopo l’allenamento per ricostruire le fibre muscolari e mantenere in equilibrio i nutrienti presenti nel proprio organismo. Spesso gli atleti, così attenti alla propria alimentazione, possono esasperare la ricerca dell’alimentazione perfetta e farla diventare una vera e propria ossessione ed in questo caso si può parlare di ortoressia: l’atleta che soffre di ortoressia sviluppa una vera e propria fobia per i cibi considerati “pericolosi”, la preoccupazione di assumere cibi sbagliati e/o dannosi prevale sulle altre aree della propria vita (affettiva, relazionale e lavorativa) al punto che si assiste ad un vero irrigidimento del pensiero legato unicamente alla sfera alimentare. L’ortoressia, in particolare, tra gli sportivi, può sfociare in un’eccessiva selezione dei cibi assunti, senza tener presente che una buona alimentazione, funzionale anche alla propria performance, è caratterizzata dalla varietà degli alimenti assunti (Dunn & Bratman, 2016).

Se l’ortoressia è considerata come un’eccessiva attenzione ad un’alimentazione sana, l’anoressia atletica è stata definita per distinguerla dall’anoressia nervosa; l’anoressia atletica è caratterizzata da una restrizione alimentare più tipicamente associata all’allenamento, alla performance sportiva e alla propria forma corporea, invece, l’anoressia nervosa è contraddistinta da un timore di incrementare il proprio peso corporeo e da una marcata alterazione della percezione della propria immagine corporea; in alcuni casi, pazienti affetti da anoressia nervosa possono utilizzare l’esercizio fisico per compensare l’apporto calorico assunto, da loro considerato eccessivo (Dalle Grave, 2009).

L’anoressia atletica

Il concetto di anoressia atletica è stato introdotto per la prima volta, negli anni ’90 da Jorunn Sundgot – Borgen, medico sportivo specializzata in problematiche legate all’alimentazione (J Sundgot-Borgen, 1994). In molti sport, vi è la tendenza a raggiungere un peso corporeo eccessivamente basso, dato l’errato convincimento che questo sia un fattore fondamentale per il miglioramento delle performance. Ne consegue che molte atlete possono andare incontro a disturbi alimentari, pur non soddisfacendo i criteri specifici e diagnostici dell’anoressia nervosa, al fine di riuscire a mantenere un basso peso corporeo e una prestazione ottimale (Sudi et al., 2004).

L’anoressia atletica, negli studi condotti da Sundgot – Borgen e Torstveit, viene inclusa tra i disturbi del comportamento alimentare, poiché si tratta di un pattern di alimentazione anomalo che può portare a seri disturbi alimentari clinici, pur mantenendo una propria singolarità (J. Sundgot-Borgen & Torstveit, 2010; Jorunn Sundgot-Borgen & Torstveit, 2004). L’anoressia atletica presenta la riduzione della massa corporea (comprendente sia la massa grassa che quella magra) e ciò avviene per migliorare la prestazione e non per un’eccessiva preoccupazione come tipicamente accade nelle pazienti che soffrono di anoressia nervosa. Nell’anoressia atletica l’attuazione di diete o di allenamenti eccessivi è spesso raccomandata dagli allenatori al fine di raggiungere un equilibrio dei macronutrienti consono alla durata temporale e all’intensità dell’esercizio fisico richiesto da ogni disciplina sportiva. Nell’anoressia nervosa la perdita di peso è legata esclusivamente ad una dispercezione della propria immagine corporea ed ad una volontà di ridurre il proprio peso corporeo, nell’anoressia atletica, invece, la perdita di peso è sia legata alla diminuzione degli apporti calorici assunti, ma anche al volume e all’intensità dell’allenamento; nei casi in cui le atlete dovessero mantenere un peso molto basso per tutto l’anno (tipicamente il loro peso corporeo subisce delle oscillazioni) aumenterebbe il rischio di sviluppare disturbi alimentari degni di attenzione clinica. Infine l’anoressia atletica spesso non è più rilevabile dopo la cessazione della carriera sportiva, in quanto la poca energia introdotta per compensare quella spesa durante l’esercizio fisico è solitamente temporanea (Sudi et al., 2004).

Ortoressia e anoressia atletica sono condizioni alimentari tipiche del genere femminile, come, d’altro canto, anche la prevalenza dei disturbi alimentari è maggiore nelle donne con valori intorno allo 0,4% per l’anoressia nervosa e intorno al 2% per la bulimia nervosa ed in entrambe le condizioni la prevalenza nel sesso maschile è di circa un decimo rispetto al sesso femminile (Association, 2013; Bratland-Sanda & Sundgot-Borgen, 2013).

I disturbi del comportamento alimentare negli uomini

Negli ultimi anni, anche la percentuale di Disturbi alimentari negli uomini è in aumento, ma in che modo le problematiche alimentari interessano maggiormente il genere maschile?

Per quanto riguarda ragazzi e giovani uomini, è stato descritto un disturbo, dalla sintomatologia apparentemente opposta all’anoressia nervosa, che è la vigoressia. L’uomo che soffre di vigoressia è ossessionato dall’idea di essere esile e poco sviluppato fisicamente e, nonostante abbia spesso una muscolatura ipertrofica, non è soddisfatto a causa della distorsione dell’immagine corporea. L’autostima si basa quasi esclusivamente sul peso corporeo e sulle forme fisiche, che in quanto riferiti a dei modelli irraggiungibili, richiedono un livello estremo di perfezionismo. Come si evince i meccanismi sottostanti al sintomo esplicito si possono considerare i medesimi tra vigoressia ed anoressia nervosa.

Più nel dettaglio, la vigoressia, non è semplicemente il trascorrere ore ed ore in palestra, avere cura del proprio fisico, ma è la continua e ossessiva preoccupazione per quanto riguarda la propria massa muscolare anche a discapito della propria salute fisica. Tra le principali caratteristiche della vigoressia vi è un iperinvestimento sul proprio corpo, la ricerca della perfezione fisica, l’eccessiva focalizzazione visiva sul corpo, sui singoli muscoli o sul peso corporeo, tutto ciò accompagnato da una marcata insoddisfazione per il proprio fisico nonostante l’enorme sforzo che è stato fatto per raggiungere l’obiettivo prefissato con il timore di regredire rispetto ai progressi fatti riguardo alle proprie dimensioni fisiche.

Nelle persone che soffrono di vigoressia spesso vi è la tendenza a consumare cibi ipocalorici e/o abusare di integratori alimentari; i vigoressici sono più inclini all’utilizzo di sostanze illecite, come ad esempio il doping, proprio per una spasmodica ricerca della perfezione del proprio fisico ed il doping ha proprio la funzione di stimolare l’ipertrofia e velocizzare il recupero muscolare che permette al soggetto di allenarsi più spesso e aumentare l’intensità dello sforzo (questo fenomeno si riscontra soprattutto nel body building) (Mosley, 2009).

In conclusione non esiste un regime alimentare che può attuare indistintamente ogni atleta al fine di raggiungere una perfetta prestazione o un’ottimale forma corporea, tuttavia, è sempre consigliabile mantenere un’alimentazione equilibrata, sana e bilanciata composta da tutti i macronutrienti necessari per il nostro organismo, i quali possono variare in base alla durata e all’intensità dell’esercizio fisico peculiare per ogni disciplina sportiva svolta dall’atleta. Tra gli sportivi vi potrebbe essere una maggior prevalenza di disturbi del comportamento alimentare, tuttavia possono essere presenti anche delle sfumature degli stessi che possono rappresentare un fattore di rischio rispetto all’esordio di un Disturbo del Comportamento Alimentare, oppure una sofferenza psicologica a sè stante. Infine sarebbe importante non confondere una sintomatologia clinica da una coerenza alimentare dell’atleta finalizzata al raggiungimento di una forma fisica perfetta oppure di una prestazione ottimale nella propria disciplina sportiva (Bar, Cassin, & Dionne, 2015).

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