La vigoressia o bigoressia (dall’aggettivo inglese big) o dismorfia muscolare, una sorta di dipendenza patologica dall’esercizio fisico, si verifica nel momento in cui si pratica sport superando i limiti normalmente posti dallo sforzo, dalla noia e dalla stanchezza (Velea, 2016). Questa dipendenza nasce da una preoccupazione ossessiva per l’aspetto fisico e dal desiderio di modificarlo aspirando alla perfezione.
Paola Bertotti, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI BOLZANO
Nonostante ovunque si legga e si senta di quanto lo sport sia importante per la salute fisica e mentale dell’individuo, obiettivo di questo articolo è illustrare che, come in tutte le cose, anche in questo caso ci può essere l’altro lato della medaglia.
Come primo passo, sembra essenziale definire i termini e fare le dovute distinzioni fra:
– SPORT, definito come attività competitiva svolta all’interno di un sistema di regole e finalizzata alla ricerca di prestazione;
– ESERCIZIO FISICO, con significato di attività fisica strutturata, che mira a benefici per la salute;
– ATTIVITÀ FISICA (O MOTORIA), che comprende qualunque tipo di movimento che determini dispendio energetico;
– EDUCAZIONE FISICA E MOTORIA, che è l’attività svolta in ambito scolastico, con finalità sia specifiche, sia educative trasversali (Biddle & Mutrie, 2008).
Queste definizioni sono utili per capire come, ciò che noi chiamiamo genericamente (e per praticità) “sport”, abbia in realtà varie dimensioni e come il dare più importanza all’una o all’altra di esse dipenda dal tipo di interesse che ciascuno investe e dalle aspettative che ha. Cinque ore di nuoto settimanali per ragioni di salute o quaranta ore di allenamento per partecipare alle Olimpiadi non comportano le stesse aspettative, né gli stessi effetti: una differenza quantitativa, che diventa qualitativa e mette in discussione i “benefici” dell’attività motoria (Queval, 2016).
Lo sport (in tutte le sue dimensioni), infatti, può diventare una vera e propria ossessione e trasformarsi in dipendenza.
Vigoressia: definizione e diagnosi
La vigoressia o bigoressia (dall’aggettivo inglese big) o dismorfia muscolare, una sorta di dipendenza patologica dall’esercizio fisico, si verifica nel momento in cui si pratica sport superando i limiti normalmente posti dallo sforzo, dalla noia e dalla stanchezza (Velea, 2016). Questa dipendenza nasce da una preoccupazione ossessiva per l’aspetto fisico e dal desiderio di modificarlo aspirando alla perfezione, tanto che alcuni autori parlano di “complesso di Adone” (Velea, 2016), dalla celebre figura mitologica simbolo della giovanile bellezza maschile. Sembra essere, quindi, una nuova forma di disturbo della percezione della propria immagine corporea.
La vigoressia viene anche definita come anoressia inversa, in quanto, apparentemente, i sintomi sono opposti a quelli dell’anoressia nervosa: la paziente anoressica si vede sempre grassa pur essendo magrissima, mentre il vigoressico (in prevalenza di sesso maschile) si vede sempre magro e non abbastanza muscoloso anche quando ha raggiunto un fisico molto atletico (Ferrari e Ruberto, 2012).
Questa patologia sembra collocarsi a cavallo fra i Disturbi dell’Alimentazione, i Disturbi da Dismorfismo Corporeo e i Disturbi Ossessivo-Compulsivi (Ferrari e Ruberto, 2012), ma recentemente è stata inserita nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5) sotto la categoria “Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo” (Vernola, 2016).
La caratteristica principale di questo disturbo è una forte insoddisfazione e preoccupazione nei confronti del proprio fisico, che è visto come asciutto e poco muscoloso e quindi bisognoso di continuo esercizio. Il doversi continuamente esercitare può diventare una vera e propria mania e trasformarsi, di conseguenza, in una dipendenza, la quale comporta, come tutte le addiction, un cambiamento radicale nelle abitudini quotidiane.
Le persone che soffrono di questa patologia cambiano radicalmente la loro visione dello sport, modificando aspettative e tempo dedicato ad esso. L’esercizio diventa una priorità assoluta con conseguenze spesso drastiche nella vita sociale: sia nei rapporti affettivi, sia nella vita lavorativa, che vengono messi in secondo piano o addirittura abbandonati. Qualsiasi altra attività del tempo libero che non sia legata alla disciplina praticata viene trascurata e, solitamente, viene anche adottato un abbigliamento conforme alle esigenze della pratica sportiva (Velea, 2016).
La persona affetta da dismorfia muscolare trasforma inoltre le sue abitudine alimentari, prediligendo una dieta molto rigida e salutista, nella quale sono incluse grandi quantità di alimenti iperproteici, importanti per lo sviluppo muscolare, mentre sono quasi completamente evitati i cibi ricchi di grassi e carboidrati (Amabili, 2013). L’alimentazione risulta quindi limitata ed ossessiva, danneggiata talvolta da uno strappo alla regola, considerato un’eccezione e accompagnato da un gran senso di colpa, che la persona combatterà facendo ore e ore di esercizio fisico (Spinetta e Passoni, 2015). Al tempo stesso però, è molto frequente l’uso (e l’abuso) di integratori e sostanze anabolizzanti che risultano, nella mente del malato, fondamentali per aumentare la massa muscolare, per migliorare le proprie forme fisiche e per poter andare oltre i limiti fisici posti dalla natura umana (Amabili, 2013).
Nonostante tutte queste modificazioni nelle abitudini e nonostante la smisurata quantità di esercizio fisico svolto, il vigoressico vedrà sempre il suo corpo come troppo magro e troppo poco muscoloso (Stagi, 2008). Di conseguenza, cercherà di evitare o si sentirà in imbarazzo in tutte quelle situazioni, anche intime, in cui si troverebbe a dover, in qualche modo, esporre la propria fisicità.
In genere, la vigoressia interessa uomini giovani adulti di età compresa tra i 15 e i 23 anni circa, che praticano quei tipi di sport in cui lo scopo degli allenamenti è proprio quello di aumentare la propria muscolatura e la propria forza, come il football americano, il wrestling e, soprattutto, il body-building. La prevalenza del disturbo è calcolata intorno a 100,000 persone nel mondo e nelle palestre si aggira attorno al 10% dei frequentatori, anche se in realtà, con grande probabilità, la sua presenza è sottostimata, dal momento che non è sempre semplice riconoscere chi ne è affetto (Ferrari e Ruberto, 2012).
Questa difficoltà è dovuta al fatto che spesso queste persone hanno apparentemente un aspetto molto salutare. Alcuni segnali d’allarme o fattori di rischio possono essere: il forte desiderio di voler aumentare la propria massa muscolare, il continuare ad allenarsi anche in presenza di infortuni alle articolazioni o ai muscoli, la partecipazione a gare di bodybuilding, l’eccessivo guardarsi e controllarsi allo specchio, il vivere momenti di vergogna, depressione o senso di colpa quando non è possibile allenarsi o si è obbligati a sgarrare la dieta, l’uso o la dipendenza da steroidi anabolizzanti, una storia di bullismo in età giovanile legata, soprattutto, all’essere gracile o di aspetto debole, precedenti disturbi alimentari (Griffiths et al., 2015).
Rispetto ad altre dipendenze o ad altri tipi di disturbi alimentari, la vigoressia è più difficile da individuare proprio perché, ad un primo sguardo, le persone che ne soffrono sembrano prendersi molta cura di se stessi, svolgendo molta attività fisica e rispettando una dieta salutare. Come si diceva introducendo questo articolo, lo sport è visto indiscriminatamente come uno strumento positivo ai fini del benessere, permettendo di stare in forma fisicamente, di prevenire malattie di vario genere e di scaricare lo stress quotidiano.
La vigoressia e l’influenza dei media
Il dilagare di questo tipo di disturbi è sostenuto sempre più spesso dai media, che mostrano ideali di bellezza (per le ragazze) e di forza (per i ragazzi) irraggiungibili e inesistenti, nonché dai social network, luoghi ideali di condivisione, più o meno anonima, delle proprie abitudini sportive e alimentari.
Facebook, per cominciare con il social network più famoso degli ultimi tempi, permette di far parte di gruppi in cui l’attività fisica è vista, negli intenti degli ideatori, come un modo per stare meglio con se stessi, per aumentare la propria autostima e per ridurre l’obesità e il rischio delle malattie connesse ad essa. A tale scopo vengono messi a disposizione diversi programmi di workout per tutte le esigenze, dai principianti ai più “palestrati”. Gli allenamenti si spostano, quindi, dalla palestra al salotto di casa nostra, rendendo l’individuazione di soggetti potenzialmente a rischio ancora più difficile. Infatti, se, da un lato, il mostrare la possibilità di muoversi ed allenarsi anche da casa può essere molto utile per sdoganare l’idea che lo sport vada fatto solo in un determinato contesto, in determinate ore e con determinati attrezzi, dall’altro, si va incontro al rischio di creare una popolazione di “malati di sport” poco individuabile e poco studiabile.
Simile discorso può essere fatto per un altro famosissimo social network, Instagram, nel quale è possibile mostrare, attraverso immagini, i propri progressi dal punto di vista muscolare, nascondendosi dietro fantasiosi pseudonimi. Anche in questo caso il limite fra attività fisica come strumento di benessere e sport come dipendenza non è facilmente delineabile. Così come non è facile intuire dove si colloca la linea di confine fra un’alimentazione sana e variegata e un’alimentazione “malata”, nella quale le proteine vengono assunte (spesso in maniera incontrollata) tramite polveri proteiche inserite nelle ricette più classiche: dai frappè alle torte, dal cappuccino ai pancakes.
Risulta evidente come la vigoressia sia una problematica sempre più attuale e, di conseguenza, da esplorare attraverso studi e ricerche che dovrebbero tenere in considerazione innanzitutto le tre variabili suggerite dalle autrici Dalla Ragione e Scopetta (2009): evitamento sociale, a causa dell’aspetto corporeo di cui la persona vigoressica si vergogna e che non vuole mostrare; tempo dedicato all’attività sportiva; dieta seguita con lo scopo di migliorare l’aspetto fisico, includendo l’uso di integratori.
Inoltre ritengo sia utile indagare anche l’influenza dei mass media e dei social network nell’aumentare e sostenere disturbi di questo genere.