Giacomo Vivanti ed Erica Salomone hanno scritto il libro L’apprendimento nell’autismo, con l’obiettivo di descrivere come alcuni aspetti del funzionamento autistico abbiano importanti ricadute sullo stile di apprendimento dei bambini con autismo. Nell’articolo è riportata l’intervista a Giacomo Vivanti.
Giacomo Vivanti è Assistant Professor al Drexel Autism Institute di Philadelphia dove prosegue la sua carriera di clinico e ricercatore nell’ambito dei disturbi dello spettro autistico (DSA).
Erica Salomone è Research Fellow presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino e Visiting Researcher presso l’Institute of Psychiatry, Psychology & Neuroscience del King’s College London ed anche lei si occupa di diagnosi e intervento per i disturbi dello spettro autistico.
Insieme hanno scritto il libro L’apprendimento nell’autismo per Erickson che ha l’obiettivo di descrivere come alcuni aspetti cognitivi e comportamentali, caratterizzanti il funzionamento autistico, abbiano importanti ricadute sullo stile di apprendimento dei bambini autistici che dovrebbero quindi confrontarsi con proposte educative diverse da quelle pensate per la popolazione neurotipica. È un libro che ho letto con molto piacere e ho avuto la fortuna di poter parlare direttamente con uno degli autori.
L’intervista a Giacomo Vivanti, autore del libro L’apprendimento nell’ autismo
Intervistatrice: Grazie Giacomo per avermi concesso il tuo tempo per questa intervista. Questo libro mi pare avere un grande pregio: descrivere l’autismo in termini di differenze piuttosto che di deficit rispetto al funzionamento neurotipico. Che ricadute ha in termini di intervento rivolto all’insegnamento di abilità questo punto di partenza?
Giacomo Vivanti: Pensare al bambino con autismo come ad un bambino che impara in modo diverso, anziché ad un bambino che impara “di meno”, crea un cambiamento di prospettiva che spinge all’azione. Per esempio, quando il bambino sembra non imparare, pensare in questo modo può spingere il terapista o l’insegnante a passare da una prospettiva del tipo “il bambino non impara perché essendo autistico ha meno capacità di apprendimento e non ci posso fare niente”, ad una prospettiva del tipo “se il bambino non sta imparando, sono io che sto insegnando con delle modalità che non sono quelle giuste per questo bambino, quindi devo sforzarmi per trovare quelle giuste”.
Intervistatrice: nel libro descrivete le caratteristiche che accomunano molti autistici, pur sottolineando la necessità di aver ben presente che tipo di realtà “vede” quel bambino e di conseguenza quale stile di apprendimento lo caratterizza, prima di pensare di potergli insegnare qualcosa. Ho l’impressione che i professionisti, almeno qui in Italia, non dedichino a questa fase preliminare il giusto interesse. Perché secondo te?
Giacomo Vivanti: Credo che ci sia una difficoltà ad assimilare i dati che vengono dalla ricerca scientifica nella pratica dei professionisti e dei centri di riabilitazione, che spesso seguono dei protocolli rigidi e legati all’orientamento teorico della loro disciplina o scuola di provenienza. Questo avviene ovunque, c’è una distanza di almeno un decennio tra ciò che viene documentato nella ricerca scientifica e ciò che entra a far parte della pratica clinica ed educative nei servizi.
Intervistatrice: Lavorare con bambini molto piccoli dà la possibilità di indirizzare la loro attenzione verso stimoli che altrimenti tenderebbero ad ignorare. È ragionevole pensare che ciò li possa rendere in seguito più “autonomi” nell’apprendimento?
Giacomo Vivanti: E’ plausibile che un bambino la cui attenzione e’ catturata spontaneamente dalle azioni, emozioni e le parole degli altri, diventi sempre più autonomo nella capacità di incorporare nuove conoscenze relative al mondo sociale. Per questo l’attenzione sociale, l’attenzione condivisa e altri “pilastri” dell’apprendimento sociale come l’imitazione sono un target fondamentale per l’intervento precoce – il bambino, facendo attenzione a quello che fanno e che dicono le persone intorno a lui, può acquisire autonomamente nuovi comportamenti che lo aiuteranno a creare nuove opportunità di apprendimento e a navigare la complessità del mondo sociale in modo sempre più autonomo.
Intervistatrice: Parallelamente allo sviluppo di competenze che possano favorire l’apprendimento sociale, esiste la possibilità di permettere al bambino di sfruttare alcune sue caratteristiche cognitive e comportamentali autistiche (penso per esempio agli interessi assorbenti e alla ripetitività) affinché impari qualcosa di utile per il suo sviluppo o sono da considerarsi sempre da ostacolo?
Giacomo Vivanti: L’obiettivo dell’intervento non è quello di curare la diversità ma di facilitare l’apprendimento di abilità che aiuteranno il bambino a godere delle stesse opportunità dei suoi coetanei. A seconda dei casi, alcune caratteristiche dell’ autismo possono essere di ostacolo o di aiuto per questo processo. Per esempio, nel caso un bambino che passa la giornata a guardare un ventilatore, questo comportamento ripetitivo avrà probabilmente un impatto negativo sul suo sviluppo. Invece se un bambino ha un interesse ripetitivo per i dinosauri, questo interesse può essere una chiave per creare opportunità di socializzazione (visite al museo con i coetanei, attenzione condivisa verso libri e cartoni, scambio di figurine etc.) e magari può diventare una carriera professionale, come nel caso di Temple Grandin, una persona con autismo il cui interesse ripetitivo per gli animali ha aperto la strada ad una brillante carriera accademica. Quindi clinici ed educatori devono valutare di volta in volta quando una specifica caratteristica dell’ autismo è di aiuto o di ostacolo alla piena realizzazione del potenziale del bambino, considerando la gravità e l’impatto sulle opportunità di apprendimento e socializzazione.
Ancora grazie al dott. Vivanti per le sue risposte.