La terapia cognitiva comportamentale dell’ insonnia (Cognitive-Behaviour Therapy for Insomnia – CBT-I) è la terapia non farmacologica più indicata per favorire la riduzione dei sintomi dell’ insonnia cronica. La terapia cognitivo comportamentale migliora il sonno nel 75-80% dei soggetti con insonnia e favorisce nel 90% dei casi la riduzione o l’eliminazione dell’uso di farmaci ipnoinducenti. Si tratta di un intervento psicologico strutturato che integra diverse tecniche di significativa efficacia secondo le moderne ricerche sperimentali e, diversamente dai trattamenti farmacologici, non ha effetti collaterali e mantiene il miglioramento dei sintomi nel tempo.
L’ insonnia come sindrome da sforzo di addormentamento (“sleep effort syndrome”)
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’ insonnia come un disturbo dell’addormentamento e della continuità del sonno oppure come un sonno non ristoratore presente per almeno tre notti alla settimana, associati a sensazioni di fatica, stanchezza o inefficienza diurna (WHO, 1992).
Quando l’ insonnia ha una durata inferiore a un mese è definita acuta e generalmente è considerata transitoria perché è causata da fattori precipitanti ben definiti come eventi di vita stressanti, patologie algiche acute o uso di sostanze (Perlis et al., 2012).
La terapia cognitivo comportamentale è particolarmente indicata per il trattamento dell’ insonnia cronica, che è invece caratterizzata da sintomi che perdurano per più di un mese, tipicamente per sei mesi o più (Perlis et al., 2012).
Secondo il Modello dei tre fattori di Spielman e colleghi (1987a) l’ insonnia tende a cronicizzarsi in relazione alla combinazione di più fattori predisponenti, precipitanti e perpetuanti.
I fattori predisponenti comprendono fattori biologici (elevati livelli di arousal), psicologici (tendenza ad essere eccessivamente rimuginativi) e sociali (abitudini di sonno del compagno di letto, pressione sociale o orari lavorativi).
I fattori precipitanti comprendono tutti gli eventi di vita che possono scatenare un quadro d’ insonnia acuta. Alcuni esempi sono l’insorgenza di una malattia medica o psichiatrica, eventi vitali stressanti, modificazioni nello stile di vita o nel lavoro.
Infine i fattori perpetuanti comprendono le credenze negative sul proprio sonno, la paura e l’ansia rispetto al pensiero di non riuscire a dormire e quei comportamenti disfunzionali messi in atto per compensare l’ insonnia ma che non fanno altro che mantenere il problema. Ad esempio l’uso di alcool, effettuare sonnellini o estendere il tempo trascorso a letto. Ognuna di queste strategie può avere un effetto positivo a breve termine ma ha effetti negativi a lungo termine.
L’alcool può aiutare nella fase di addormentamento ma favorisce il rischio che si verifichino risvegli mattutini precoci. La tendenza ai sonnellini durante il giorno può incrementare il quantitativo di sonno ottenuto durante le 24 h ma potrebbe favorire un sonno superficiale durante la notte. Estendere le ore di sonno potrebbe incrementare le opportunità di dormire ma allo stesso tempo incrementa il tempo che si trascorre a letto in uno stato di veglia e ciò può favorire un sonno frammentato e un’ insonnia favorita da condizionamenti ambientali (Perlis et al., 2012).
Molte persone imparano a convivere con le conseguenze dell’ insonnia applicando tali “strategie di compensazione”, comportamenti che al momento possono sembrare benefici ma che a lungo termine favoriscono il mantenimento del disturbo. Ognuno di questi comportamenti rappresenta lo sforzo da parte degli insonni di incrementare le possibilità di dormire ma sembrerebbe che sia proprio tale sforzo a mantenere l’ insonnia.
La cosiddetta “sleep effort syndrome” (la sindrome da sforzo di addormentamento) è causata dalla preoccupazione per il sonno, cui seguono tutti i comportamenti disfunzionali con cui si cerca di controllare il sonno stesso, come cercare di dormire ad ogni costo (Morin & Espie, 2003). Il sonno è un processo fisiologico involontario, per cui tutti i tentativi di tenerlo sotto controllo non fanno che peggiorare i quadri d’ insonnia, determinando una disregolazione dell’omeostasi del sonno. Ciò favorisce un peggioramento della continuità del sonno determinando un allungamento della Latenza di Sonno (tempo di addormentamento) e un incremento del Tempo di Veglia Infrasonno (Perlis et al., 2012).
Per tale motivo la terapia cognitivo comportamentale si rivela così efficace con i soggetti insonni, in quanto non mira unicamente a favorire un aumento del tempo totale di sonno o a ridurre la latenza del tempo di addormentamento, ma piuttosto permette di modificare le credenze errate sul sonno e i comportamenti disfunzionali associati che fungono da fattore di mantenimento del disturbo stesso.
La terapia cognitivo comportamentale in dettaglio
I protocolli di trattamento della terapia cognitivo comportamentale descritti in letteratura (Perlis et al., 2012, 2015) si svolgono nell’ambito di 6-8 sedute che prevedono una fase di Valutazione Iniziale, in cui si valutano mediante questionari alcune caratteristiche psicologiche e comportamentali della persona che soffre di insonnia e la si sottopone a esami strumentali come la polisonnografia, la fase di Terapia cognitivo comportamentale vera e propria ovvero l’utilizzo integrato di diverse tecniche (interventi psicoeducativi cognitivi e comportamentali) e una fase di Valutazione Finale dove si analizzano i guadagni della terapia cognitivo comportamentale e si discute sulla prevenzione delle ricadute.
Le sedute hanno la durata di 30-90 minuti in base alla fase del trattamento della terapia cognitivo comportamentale e possono essere svolte in gruppo individualmente o combinando i due approcci.
È consigliabile iniziare con i primi 2 o 3 incontri individuali, dedicare invece le sedute intermedie ad un approccio di gruppo e infine le ultime fasi della terapia cognitivo comportamentale nuovamente ad un approccio individuale.
Valutazione Iniziale
Alcune delle scale di autovalutazione dei disturbi del sonno che possono essere somministrate sono le seguenti:
Insomnia Severity Index (ISI), che valuta la gravità dell’ insonnia (Morin, 1993).
Sleep Hygiene Practice Scale (SHPS), che valuta l’indice di igiene del sonno (Lacks, 1987).
Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI), che valuta l’indice della qualità del sonno ovvero la gravità globale dei disturbi del sonno (Buysse et al., 1989).
Epworth Spleepiness Scale (ESS), che valuta la sonnolenza diurna (Johns, 1991).
Dysfunctional beliefs and Attitudes about Sleep (DBAS), che valuta la presenza di credenze disfunzionali sul riposo notturno (Coradeschi et al., 2000).
In questa fase è fondamentale eseguire anche una registrazione poligrafica dinamica del sonno (polisonnografia) della durata di 24 o 48 ore. La polisonnografia (PSG) infatti fornisce una misurazione obiettiva dei disturbi del sonno e quantitativa dell’attività cerebrale e somatica durante il sonno non ottenibile con altre tecniche di studio del sonno.
Inizio della terapia cognitivo comportamentale
Nell’ambito della prima seduta di terapia cognitivo comportamentale, il terapeuta presenterà al paziente i risultati della polisonnografia e dei test di autovalutazione somministrati in precedenza.
Successivamente verrà raccolta la storia clinica del paziente che sarà poi istruito alla compilazione dei diari del sonno, in modo da registrare i propri sintomi per un periodo di una o due settimane. Al paziente verrà applicato inoltre un actigrafo al polso da indossare nel medesimo periodo, uno strumento che, attraverso la registrazione dell’attività motoria, può individuare se il paziente è in fase di veglia o di sonno. È importante confrontare queste due diverse tipologie di registrazione perché l’actigrafo offre una visione obiettiva della continuità del sonno che paragonata alla descrizione soggettiva del paziente (diari del sonno) consente di individuare la presenza del Disturbo da Mispercezione del Sonno (una condizione in cui il soggetto pensa di non dormire).
Attraverso l’uso di un diario del sonno (o dell’actigrafo) si possono valutare tutte le variabili di continuità del sonno come la Latenza del Sonno (LS), il Numero di Risvegli Notturni (NR), il Tempo di Veglia Infrasonno (TVI) e il Tempo Totale di Sonno (TTS), che consentono al clinico di avere una misura quotidiana della severità dell’ insonnia del paziente e di identificare quei comportamenti che la mantengono (Perlis et al., 2012).
Durante questa prima seduta, sarà necessario effettuare un inquadramento diagnostico più ampio che tenda a valutare anche la presenza di disturbi d’ansia e dell’umore o di altri disturbi psicologici che possono determinare i problemi del sonno. Il terapeuta, se lo riterrà necessario, potrà somministrare ulteriori test utili alla valutazione dell’ansia e della depressione o della personalità.
Alcuni dei test utilizzati per valutare la presenza di disturbi d’ansia e dell’umore o di altri disturbi psicologici sono:
Beck Depression Inventory (BDI), che valuta la presenza di disturbi depressivi (Beck et al., 1961).
State Trait Anxiety Inventory (STAI) che valuta la presenza di disturbi d’ansia (Spielberger, Gorsuch, Lushene, Vagg, & Jacobs, 1983).
Millon Clinical Multiaxial Inventory- III (MCMI-III), che indaga i profili di personalità (Millon, 1997).
Symptom Checklist-90-R (SCL-90-R), che valuta un ampio spettro di problemi psicologici e di sintomi psicopatologici (Derogatis, 1994).
Infine il clinico descriverà in dettaglio il protocollo, la metodologia della terapia cognitivo comportamentale e il programma relativo.
Nelle sedute successive mantenendo un atteggiamento collaborativo ed empatico, terapeuta e paziente lavoreranno insieme applicando differenti tecniche, seguendo l’ordine qui descritto, integrandole man mano che si procede, o anche riservando particolare importanza ad alcune piuttosto che ad altre al fine di individualizzare l’intervento.
In questa sede sono riportate le tecniche più utilizzate descritte in letteratura:
Tecnica del controllo dello stimolo
La Tecnica del Controllo dello Stimolo (SCT) è indicata per il trattamento dell’ insonnia acuta e cronica (Perlis et al., 2015).
Il razionale della SCT, descritta per la prima volta da Bootzin (1972), deriva dalle teorie dell’apprendimento in cui l’addormentamento viene concettualizzato come un comportamento strumentale all’ottenimento di un rinforzo positivo (ad esempio il sonno) (Bootzin, 1977; Bootzin et Nicassio, 1978). Segnali esterni e interni all’individuo associati all’addormentamento diventano stimoli discriminativi per l’ottenimento di un rinforzo (Blampied et Bootzin, 2012). Di conseguenza le difficoltà nell’addormentamento potrebbero essere legate a un inadeguato controllo di tali stimoli (Perlis et al, 2015).
Risultano importanti inoltre fattori legati al condizionamento pavloviano secondo cui risposte emozionali si possono associare a determinate situazioni stimolo. Il letto e la camera possono così diventare segnali che elicitano stress e frustrazione legata ai tentativi fallimentari di prendere sonno (Bootzin et Nicassio, 1978).
D’altro canto stimoli interni come l’iperattività cognitiva, l’ansia anticipatoria e l’arousal psicofisiologico, possono divenire essi stessi segnali per un ulteriore incremento del livello di attivazione e quindi esacerbare le difficoltà del sonno (Bootzin e Epstein, 2000).
Obiettivo primario di questa seduta è quello di descrivere al paziente l’approccio SCT, la sua efficacia e fornirgli una panoramica del programma.
In questa seduta è prevista anche una componente psicoeducativa in cui si spiega al paziente la teoria del modello dell’ insonnia e le sue caratteristiche.
Sarà inoltre presentata al paziente una lista d’istruzioni previste dalla SCT e ognuna di queste sarà discussa insieme al terapeuta. Si tratta di istruzioni comportamentali (non sempre di facile intuizione per i non esperti in materia) che la persona che soffre di insonnia quasi certamente non rispetta, soprattutto perché non conosce le conseguenze delle strategie compensatorie che al contrario ha sempre messo in atto e che nel qui e ora apportano un beneficio. Difatti le istruzioni suggeriscono di andare a letto solo quando si avverte sonnolenza allo scopo di imparare gradualmente a riconoscere i segnali di sonnolenza che provengono dal corpo (senza andare a letto indipendentemente da ciò). Altra indicazione è quella di utilizzare il letto e la camera da letto solamente per dormire o per le attività sessuali, evitando altri tipi di attività, in modo da rafforzare l’associazione letto-camera e sonno e attenuare quella tra letto-camera e insonnia (per tale motivo ogni attività diversa va effettuata in un’altra camera). Se ci si accorge di non riuscire ad addormentarsi per più di 10-15 minuti è molto importante non rimanere nel letto. È quindi necessario alzarsi e recarsi in un’altra stanza e svolgere attività piacevoli come guardare un film o leggere un libro (non c’è alcun divieto a lasciarsi coinvolgere troppo nelle attività mentre si è svegli durante la notte, bisogna però fare attenzione al problema dell’esposizione alla luce che può provocare degli spostamenti di fase). Infine le ultime due istruzioni della SCT suggeriscono di impostare la sveglia mattutina sempre allo stesso orario indipendentemente da quanto si è riusciti a dormire la notte precedente (per regolarizzare il ritmo circadiano) e di non effettuare sonnellini durante il giorno (il razionale è quello di utilizzare la deprivazione di sonno legata alla notte precedente, per incrementare la spinta omeostatica al sonno e rendere più rapido l’addormentamento la notte successiva).
È evidente dunque come la SCT si proponga di rafforzare l’associazione tra letto, camera e il processo di addormentamento, indebolendo il legame tra tali stimoli ambientali e i comportamenti caratterizzati dall’elevazione dell’arousal. Obiettivo ulteriore risulta quello di ripristinare i ritmi sonno-veglia allo scopo di mantenere i miglioramenti ottenuti (Bootzin et al., 2010).
Tecnica della restrizione del sonno
La Tecnica della Restrizione del Sonno (SRT) è indicata per i disturbi dell’addormentamento e del mantenimento del sonno (Perlis et al., 2015).
La SRT ha lo scopo di restringere il tempo che il paziente trascorre a letto (TTL) aumentando la spinta omeostatica al sonno, attraverso uno stato di parziale deprivazione di sonno, regolarizzando e risincronizzando allo stesso tempo il ritmo sonno-veglia.
Il TTL dovrebbe così arrivare a coincidere con il Tempo Totale di Sonno (TTS).
Per raggiungere tale obiettivo il clinico lavora con il paziente per stabilire un orario specifico di risveglio mattutino e per spostare in avanti l’orario di recarsi a letto in modo da far coincidere il TTL con il TTS, misurato attraverso l’utilizzo dei diari del sonno.
Questa forma di lieve deprivazione di sonno favorisce una riduzione della Latenza di Sonno (LS) e un miglioramento del Tempo di Veglia Infrasonno (TVI).
Di fatto nelle prime fasi i pazienti hanno un tempo di sonno ridotto rispetto al proprio ma si tratta di un sonno più consolidato. Appena i dati misurati con i diari del sonno evidenziano un miglioramento dell’Efficienza di Sonno (EF >90%) si può gradualmente incrementare di 15 min il TTL (Spielman et al., 1987b).
La SRT agisce dunque migliorando la qualità e la continuità del sonno, riducendo la qualità di sonno superficiale e il tempo di addormentamento. Inoltre migliorano progressivamente anche i comportamenti e le credenze che tendono a perpetuare l’ insonnia. La RST agisce infine riducendo direttamente il cosidetto iperarousal che è uno dei fattori predisponenti l’ insonnia.
Igiene del sonno
L’educazione all’Igiene del Sonno è indicata in tutte le tipologie d’ insonnia e sembra avere un ruolo determinante nell’incrementare il Tempo Totale di Sonno (TTS). Viene prescritta per correggere una serie di comportamenti che possono influenzare la qualità e la quantità di sonno (Perlis et al., 2015).
Il primo passo di questo intervento è quello di consegnare ai pazienti una lista con le norme di Igiene del Sonno. Successivamente saranno discussi in gruppo i vari item fornendo per ciascuno la motivazione razionale all’utilizzo.
Si deve a Peter Hauri la codifica delle regole fondamentali di questa tecnica, il quale affermava che [blockquote style=”1″]l’educazione all’igiene del sonno ha l’obiettivo di informare il paziente su quelli che sono i comportamenti che caratterizzano lo stile di vita (alimentazione, attività fisica, uso di sostanze psicoattive) o i fattori ambientali (luce, rumore, temperatura) che possono interferire con il sonno o promuoverlo[/blockquote] (Hauri, 2004).
Tali regole hanno un significato preciso e dovrebbero aiutare il paziente a comprendere maggiormente i meccanismi che regolano il ritmo sonno-veglia (se necessario, in questa seduta il terapeuta fornirà ai pazienti informazioni sugli stadi del sonno, sulle loro caratteristiche e funzioni).
L’educazione all’igiene del sonno è maggiormente d’aiuto quando è calibrata sull’analisi comportamentale delle abitudini sonno-veglia di ogni singolo paziente. Una volta discusso sulla modalità di applicazione delle varie regole, i pazienti saranno dunque invitati a stilare una lista di cose da fare sulla base di quanto discusso (ad esempio comprare delle nuove coperte, cambiare le finestre ecc.) (Perlis et al., 2015).
Attraverso l’igiene del sonno si cerca non solo di ottimizzare i risultati della terapia cognitivo comportamentale dell’ insonnia ma anche di rendere il paziente meno vulnerabile alle ricadute.
Tecniche di rilassamento e mindfulness
Il Training di Rilassamento è indicato in pazienti che caratterizzano la loro insonnia come “incapacità a rilassarsi” e che lamentano elevati livelli di arousal cognitivo e somatico (Perlis et al., 2015). Tutte le tecniche che ricadono nella categoria “rilassamento” presentano come comune denominatore l’elicitazione di una “risposta di rilassamento” ovvero una condizione di calma sia fisiologica che esperienziale (Benson, 1975).
Le tecniche di rilassamento tendono a ridurre i livelli di attivazione somatica e cognitiva che interferiscono con il sonno. Non è importante il tipo di metodo utilizzato quanto la regolarità della pratica. Normalmente si consiglia di effettuare le pratiche di rilassamento almeno due volte nelle 24 ore: una seduta durante il giorno e una la sera prima di coricarsi.
Il rilassamento può essere applicato anche durante la notte se il paziente non riesce a riprendere sonno dopo un risveglio. Il paziente dovrebbe dedicare circa 5-10 minuti a ogni pratica di rilassamento (Perlis et al., 2015).
Il rilassamento può essere indotto fondamentalmente mediante le seguenti tecniche:
– La respirazione diaframmatica, utilizzata per indurre una forma di respirazione più lenta, profonda e meccanicamente determinata, proveniente dall’addome piuttosto che dal torace.
– Il rilassamento muscolare progressivo (PMR), utilizzato per diminuire la tensione muscolare, che prevede l’alternanza di contrazione e rilassamento dei vari gruppi muscolari (Jacobson, 1929). I pazienti vengono istruiti a confrontare le sensazioni che derivano dalla tensione muscolare a quelle del successivo rilassamento.
I soggetti vengono invitati a praticare una o entrambe le tecniche a domicilio, due volte al giorno, una durante la giornata e l’altra a letto prima dell’addormentamento.
La Mindfulness può essere particolarmente utile per trattare lo stress e le intense risposte emotive associate all’ insonnia cronica. La caratteristica principale della mindfulness è l’osservazione non giudicante dei pensieri, comportamenti, sensazioni fisiche ed emozioni che costituiscono l’esperienza presente del paziente. Gli esercizi di mindfulness si fondano sui principi dell’“accettazione” e del “lasciare andare” nel contesto delle risposte emotive negative dovute alle difficoltà di sonno.
Tale tecnica si basa essenzialmente sul raggiungimento della “consapevolezza” dei propri pensieri, delle proprie azioni e motivazioni. È una tecnica con cui si cerca di raggiungere la “concentrazione”, momento per momento, al fine di raggiungere un’accettazione di sé attraverso una maggiore consapevolezza della propria esperienza che comprende: sensazioni, percezioni, impulsi, emozioni, pensieri, parole, azioni e relazioni (Kabat-Zinn et al., 1992).
Nello specifico la tecnica è costituita da due componenti: la prima cerca di regolare l’attenzione così da focalizzarla sull’esperienza attuale (attenzione consapevole, intenzionale e non giudicante alla propria esperienza nel momento in cui essa viene vissuta), la seconda componente cerca di ottenere un orientamento esperienziale aperto all’“accettazione”.
Si tratta dunque di coltivare la capacità di accogliere i propri stati mentali, superare la tendenza all’evitamento esperienziale, caratterizzato da atteggiamenti di rifiuto nei confronti dei propri pensieri, emozioni e sensazioni fisiche. Più che una tecnica di rilassamento, questo approccio è considerato una forma di “training mentale” che riduce la vulnerabilità nella risposta allo stress (Perlis et al., 2012).
Tecnica dell’intenzione paradossale
La tecnica dell’Intenzione Paradossale (PI) è indicata per le forme di insonnia in cui vi sia una significativa preoccupazione per la perdita di sonno e le sue conseguenze diurne (Perlis et al. 2015). La PI si pone l’obiettivo di ridurre l’ansia da prestazione (l’incapacità dei cattivi dormitori di riuscire ad ottenere un buon sonno) e con essa il rimuginio e le preoccupazioni per il proprio riposo notturno.
L’utilizzo della PI nel trattamento dell’ insonnia si deve a Viktor Frankl (1955) e successivamente a Michael Ascher e colleghi (1978-1979).
Il punto di partenza è cercare di capire insieme ai pazienti cosa vuol dire avere un “sonno normale” ed essere un “buon dormitore”(Espie, 1991).
Servendosi dell’umorismo e dell’ironia, che sembrano avere un’azione decatastrofizzante, è utile spiegare ai pazienti che i cosiddetti “buoni dormitori” possono essere definiti come quelle persone che dormono in base alle proprie esigenze, che non pensano al sonno o ai suoi disturbi e che non sono preoccupati se non dormono. È fondamentale in questa fase far comprendere ai pazienti che il sonno, essendo un processo naturale, non può essere controllato dai propri pensieri (Espie, 1991).
I pazienti saranno dunque invitati a compilare delle scale di valutazione delle convinzioni sul sonno (ad esempio la Scala di Glasgow per lo sforzo di dormire), come se dovesse compilarla un buon dormitore (Broomfield & Espie, 2005).
La PI ha dunque lo scopo di sviluppare l’abilita di cambiare prospettiva rispetto al sonno, invitando il paziente ad entrare nei pensieri di un buon dormitore per immaginare cosa farebbe al suo posto. I pazienti dovrebbero essere quindi invitati a sospendere tutti quei comportamenti disfunzionali riguardo al sonno (come ad esempio sforzarsi di dormire) poiché perpetuano l’ insonnia stessa.
Terapia cognitiva per il trattamento dell’insonnia
La Terapia Cognitiva comportamentale è particolarmente indicata per i pazienti preoccupati delle potenziali conseguenze dell’ insonnia (credenze disfunzionali sul sonno) o che riferiscono la presenza di idee intrusive, ansia e eccessivo timore di non dormire (Perlis et al. 2012, 2015).
L’obiettivo della Terapia cognitivo comportamentale è quello di modificare le convinzioni, gli atteggiamenti, le aspettative e le attribuzioni relative al sonno nei pazienti insonni. Gli insonni sembrano possedere alcune distorsioni cognitive che contribuiscono ad alimentare e perpetuare l’ insonnia.
La premessa della terapia cognitivo comportamentale è che l’interpretazione di una data situazione (es. sonnolenza) può elicitare risposte emozionali di tonalità negativa (es. paura, ansia) che interferiscono con il sonno. Per esempio, quando una persona non riesce a dormire e inizia a temere le conseguenze diurne della mancanza di sonno si può creare un circolo vizioso che alimenta l’ insonnia stessa. Ciò può favorire la comparsa di emozioni a contenuto negativo come l’ansia o la paura che perpetuano a loro volta l’ insonnia.
Nell’ambito di questa seduta il terapeuta può mostrare al paziente lo schema del modello concettuale del mantenimento dell’ insonnia ideato da Morin nel 1993. Si tratta di un modello microanalitico dell’ insonnia cronica che dimostra come le credenze disfunzionali e le abitudini rispetto al sonno possono contribuire e perpetuare l’ insonnia (Morin 1993).
A questo punto il terapeuta, servendosi delle medesime procedure cliniche della Terapia Cognitiva comportamentale per i disturbi d’ansia e dell’umore (ad esempio lo strumento ABC), può guidare il paziente ad identificare e modificare le distorsioni cognitive e le credenze disfunzionali riguardo al sonno, tanto da interrompere il circolo vizioso che autoalimentandosi perpetua l’ insonnia (Morin , 1993, Morin & Espie, 2003).
Esperimenti comportamentali nell’ambito della terapia cognitivo comportamentale dell’insonnia
Gli Esperimenti Comportamentali hanno lo scopo di modificare le convinzioni disfunzionali riguardo al sonno, per cercare di sviluppare pensieri e comportamenti più funzionali, e di incrementare le conoscenze sui processi cognitivi e comportamentali che possono perpetuare l’ insonnia, per poterli modificare (Perlis et al. 2015).
Una volta identificati i processi di pensiero o le convinzioni errate, terapeuta e paziente potranno individuare insieme le modalità per costruire l’esperimento da condurre.
Ad esempio l’esperimento della “paura di sonno insufficiente”, in cui il paziente ha la credenza errata “per funzionare bene durante il giorno devo dormire almeno 8 ore, se dormo meno di 8 ore ci saranno delle serie conseguenze della mia salute e non riuscirò a fare niente”. In questo caso l’esperimento da effettuare è quello della restrizione del sonno, ovvero ridurre la durata del sonno del paziente durante la notte dell’esperimento in modo da fargli esperire che il giorno seguente, nonostante la sonnolenza, sarà in grado di svolgere tutte le sue attività. Di fatto l’obiettivo dell’esperimento è proprio quello di creare sperimentalmente una notte di sonno insufficiente (es. 6 ore e mezza) per valutare quali sono le conseguenze diurne e quali sono le modalità per affrontarle. In tal modo si riduce la dimensione catastrofica dei pensieri riguardo alle conseguenze diurne dell’ insonnia.
Valutazione Finale dopo la terapia cognitivo comportamentale
I principali obiettivi di questa seduta sono quelli di verificare insieme al paziente i guadagni clinici della terapia cognitivo comportamentale, individuare le strategie per mantenerli e discutere sulla prevenzione delle ricadute.