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Mindfulness – Le origini e le caratteristiche

La mindfulness deriva dalla meditazione buddista e consiste nel prestare attenzione nel momento presente e in maniera non giudicante alla propria esperienza

Di Francesco Gallizio

Pubblicato il 19 Set. 2016

Jon Kabat-Zinn (2003), biologo molecolare statunitense e ideatore del programma per la riduzione dello stress basato sulla mindfulness (MBSR), definisce la mindfulness come la consapevolezza che emerge dal prestare attenzione di proposito, nel momento presente e in maniera non giudicante, allo scorrere dell’esperienza, momento dopo momento. Si tratta cioè di dirigere volontariamente la propria attenzione a quello che accade nel proprio corpo e intorno a sé, ascoltando accuratamente la propria esperienza e osservandola per quello che è, senza valutarla o criticarla.

Le origini della mindfulness

L’approccio della mindfulness deriva da un tipo di pratica meditativa buddista, la meditazione vipassana, ripulita di ogni sua componente mistica e adattata ad un training clinico. Il programma, di otto settimane, è basato su un apprendimento di tipo esperienziale praticato durante sedute di gruppo a cadenza settimanale e rafforzato da un impegnativo lavoro quotidiano, che viene prescritto per i restanti sei giorni della settimana. Esso porta i soggetti ad esperire un nuovo modo per entrare in contatto con ciò che accede dentro e fuori di se stessi. Si tratta di un training ad oggi ampiamente validato in letteratura, per la sua efficacia nel trattamento di svariate problematiche correlate allo stress, e diffuso ormai in tutto il mondo.

Ma torniamo un attimo alle origini, e dunque alla meditazione vipassana, descritta molto bene e in modo alquanto semplice nel testo di Henepola Gunaratana (1995), monaco buddista, autore di numerose pubblicazioni sul tema.
In effetti è interessante partire proprio da un capitolo abbastanza centrale del suo libro, per comprendere il legame tra la prima forma di meditazione e il training Mindfulness Based Stress Reduction e per dedurre i motivi della sua efficacia. Il capitolo in questione è “Consapevolezza e concentrazione”, e parla appunto della differenza tra concentrazione e consapevolezza, e del passaggio dalla prima alla seconda, durante il percorso di meditazione. Un cammino che comincia dal riportare continuamente l’attenzione ad un oggetto ed evolve verso l’osservazione non giudicante, momento per momento, di tutto ciò che percepiamo all’interno e all’esterno di noi stessi. Quest’ultima fase è appunto quella della consapevolezza; uno spazio in cui tutto accade, e in cui noi semplicemente osserviamo.

 

Le fasi del percorso di meditazione

In effetti il testo di Gunaratana spiega in modo molto dettagliato i passi essenziali del processo di evoluzione dell’individuo durante il percorso di meditazione. Partendo, dalla prima fase, che conduce ad un potenziamento della capacità di concentrazione, per arrivare infine alla padronanza della consapevolezza. Comprendiamo dunque che la concentrazione si allena ogni qualvolta, durante la meditazione sul respiro, alla comparsa di una distrazione, ne prendiamo nota e riportiamo l’attenzione al respiro. Questa semplice attività, che all’inizio può sembrare una forzatura, poi, se fatta in modo non giudicante e con gentilezza verso se stessi, porterà, in una fase più avanzata della pratica a portare questa stessa modalità di attenzione a pensieri e sentimenti, per esperire infine un nuovo modo di vivere il momento presente. Appunto con consapevolezza. Dunque la consapevolezza diviene uno spazio di osservazione non giudicante, non forzato, in cui osservare lo scorrere dell’esperienza momento per momento e lasciarla scorrere così come si presenta.

Dalla coltivazione di questo stato particolare di presenza a se stessi, nella vita quotidiana, è possibile imparare tanto. Prima di tutto lo stato di impermanenza di tutte le cose; suoni, emozioni e pensieri; qualsiasi evento ha un suo inizio, una sua naturale durata e una fine. Conoscenza questa che ci allontana da quelle reazioni impulsive quanto dannose di evitamento, rispetto ad emozioni e sensazioni negative, per portarci ad una maggiore accoglienza di tutto ciò che ci accade, al fine di poterlo vivere in modo sereno. Se c’è una preoccupazione dunque, essa merita di essere accolta ed osservata, per esserne consapevoli e trarne insegnamento.

Altro elemento sicuramente importante, che viene ad essere acquisito è la capacità di restare nel presente per assaporarlo in tutta la sua fragranza. In un capitolo precedente, infatti, su come affrontare le distrazioni, il testo di Gunaratana evidenzia il fatto che per nostra natura, in automatico, etichettiamo e giudichiamo qualsiasi cosa, senza più coglierne il valore originario. Quando ad esempio percepiamo un rumore, automaticamente ne deduciamo origine e conseguenze, senza renderci conto che tutto ciò lo stiamo solo immaginando. Dunque noi in realtà viviamo quell’evento originario, solo per un istante, in quel microsecondo in cui lo udiamo, per il resto del tempo lo viviamo solo nella nostra mente, nelle nostre congetture, e quindi perdiamo il contatto con la realtà per vivere in un mondo immaginario.

 

Il potere della consapevolezza

Ecco dunque il fulcro di tutto. Il potere della consapevolezza in questo senso sta nel vivere l’essenza delle cose senza utilizzo di preconcetti, ma percependole nelle loro caratteristiche fisiche basilari. Osservare l’esperienza sensoriale ed emotiva in questo modo ovviamente spinge verso qualcosa di molto diverso da rimuginii su pensieri patologici, fonte di ansia e preoccupazioni, che non fanno altro che allontanarci dalla soluzione del problema. Restare nel presente e prenderlo così com’è, nella sua realtà tangibile e non contaminata da pessimismo, non può che essere una liberazione per molte delle sofferenze umane. Questo richiama infatti molto da vicino la differenza tra reazione e risposta allo stress, di cui parla anche Kabat-Zinn (2013), dove la reazione è l’automatismo patologico, fatto di evitamenti e rimuginio, e la risposta è la soluzione consapevole, ponderata e più affine agli scopi dell’individuo. Lo sviluppo della consapevolezza permette di privilegiare sempre più spesso l’uso della risposta ponderata e funzionale, rispetto a quella impulsiva e dannosa.

La vera sfida però, sottolinea Gunaratana, non è quella di chiudersi in un tempio a meditare, ma estendere la consapevolezza alla vita quotidiana. Più avanti nel testo infatti l’autore evidenzia la possibilità di progredire nel cammino di meditazione, prendendo come oggetto di esercizio per la consapevolezza, prima l’azione del camminare vera e propria e successivamente qualsiasi attività quotidiana, provando quindi ad eseguirla in modo più lento e attento ad ogni componente motoria, allo scopo di estendere la consapevolezza alla vita quotidiana. Egli ci dice dunque che il fine ultimo della meditazione vipassana è la trasformazione radicale e permanente della nostra intera esperienza sensoriale e cognitiva. Un cambiamento della vita stessa o quantomeno del modo di vivere.

 

Il training Mindfulness Based Stress Reduction

Ma cosa ha accolto quindi Kabat-Zinn nel suo training Mindfulness Based Stress Reduction e cosa ha aggiunto, rispetto all’originaria pratica vipassana, per rendere funzionale e commestibile anche a noi occidentali questo cammino interiore così lontano dalla nostra cultura, tanto dal renderlo comprensibile in un programma clinico di otto settimane?

Il training di Jon Kabat-Zinn in effetti inizia con un esercizio simpatico, il famoso esercizio dell’uvetta, in cui si prescrive di dare attenzione ad un chicco d’uva secca (a volte neanche nominato come tale) come se fosse un oggetto mai visto; e dunque di osservarne ogni piccola caratteristica fisica con attenzione e interesse, fino ad assaporarlo con lo stesso approccio. Questo primo esercizio è utilissimo per cominciare ad addestrare quella che Gunaratana chiama “concentrazione” e fa intuire con semplicità gli atteggiamenti basilari da tenere anche durante le successive fasi di addestramento.

La seconda aggiunta di Kabat-Zinn è costituita dall’esplorazione del corpo (detta anche body scan); un esercizio in cui si richiede di porre attenzione, progressivamente ad ogni singola parte del corpo, partendo dalle dita dei piedi fino ad arrivare alla sommità del capo, e di restare con ogni sensazione percepita senza pretendere di cambiarla. Durante l’esercizio si introducono anche momenti di attenzione e utilizzo del respiro a fini rilassanti. Il body scan costituisce dunque un primo utile passo verso se stessi. Infatti, mentre il precedente prendeva come oggetto di attenzione un elemento esterno, questo è già più personale. Si comincia perciò ad indirizzare la concentrazione su se stessi e con l’utilizzo del respiro si fa in modo di avvicinarsi a questa cosa in modo più rilassato possibile.

Questa parte dell’addestramento trova il suo significato nella necessità di predisporre le menti occidentali ad un tipo particolare di attenzione, momento per momento e non giudicante, alle nostre esperienze sensoriali. Qualcosa che sarà molto utile con i successivi esercizi, che gradualmente andranno sempre più in profondità, a livello emotivo e cognitivo.

Sempre nella fase iniziale del MBSR si comincia già a praticare la meditazione focalizzata sul respiro; essenziale anche nella meditazione vipassana, e che progressivamente si concretizzerà nel fulcro della pratica: la “meditazione seduta”, che pone attenzione anche a suoni esterni, pensieri ed emozioni, senza lasciarsi prendere da essi, ma osservandoli come fossero eventi impersonali e senza porvi giudizio o limitazione. Dunque anche nel programma MBSR di Kabat-Zinn, come in quello della tradizionale meditazione vipassana, la vera crescita si concretizza in questa parta centrale, dove si assiste al passaggio dalla concentrazione alla consapevolezza, come direbbe Gunaratana.

A questa Kabat-Zinn aggiunge una fase dedicata allo yoga, utile a rafforzare ulteriormente la pratica sul corpo e ad indurre un senso di rigenerazione fisica, e dunque a restituire un feedback positivo al praticante. Successivamente vi si affianca la meditazione camminata e già dai primi incontri si raccomanda di provare a compiere più attività quotidiane con le stesse modalità attentive apprese negli incontri (pratica informale). Anche questi ultimi due elementi però non sono aggiunte di Kabat-Zinn, bensì erano già presenti, come abbiamo visto, nella pratica spiegata da Gunaratana. Essi sono utili, come detto, ad estendere quanto appreso durante le pratiche formali alla vita quotidiana.

 

Conclusioni

In sintesi, il training di Jon Kabat-Zinn si propone di avviare il praticante allo stesso tipo di meditazione della tradizione buddista vipassana, epurando quest’ultima dalla sua componente mistica e aggiungendo delle pratiche utili a comprenderne meglio atteggiamenti e modalità, e a rafforzarne quanto più possibile gli effetti sulla motivazione e sulla vita quotidiana.

Riassumendo, tali aggiunte riguardano essenzialmente l’esercizio dell’uvetta, il body scan e lo yoga; ma al centro di tutto rimane sempre quella che viene chiamata “meditazione seduta”, durante la quale si apprende gradualmente ad osservare qualsiasi evento, interno o esterno a se stessi, e a lasciarlo fluire liberamente. L’attitudine appresa da questo tipo di esercizio sarà quella che darà infatti il cambiamento vero e proprio, una volta generalizzata alla vita quotidiana.

 

L’efficacia del training della mindfulness

I risultati sono ormai di pubblico dominio. L’approccio basato sulla mindfulness per la riduzione dello stress è stato utilizzato come ausilio a svariati approcci terapeutici e ha dimostrato ampiamente la sua utilità in diversi campi dedicati al benessere dell’individuo. Come osserva Antonella Rainone (2012), psicoterapeuta e didatta alla scuola di psicoterapia cognitiva APC/SPC, la mindfulness, nella sua pratica di fermarsi a vivere il presente senza giudicare la propria esperienza psicofisica, risulta terapeutica per molti motivi. Essa infatti, secondo l’autrice, diminuisce la ruminazione e favorisce l’accettazione; elimina dunque pensieri e valutazioni negative; aumenta la capacità di decentramento (e quindi gli stati mentali sono trattati solo come tali e non come costitutivi dell’individuo) e diminuisce il cosiddetto “affect as information” (e dunque le emozioni non vengono più prese come fonte di informazione su tutto, ma ci si basa su fatti osservabili); funge da esposizione esperienziale rispetto agli stati emotivi che normalmente venivano evitati, modificando così i significati patogeni; infine offre la possibilità di ridurre gli automatismi, e dunque le strategie disfunzionali di soluzione, privilegiando una risposta più ponderata e consapevole dei propri scopi e possibilità. Tali cambiamenti nella vita di un individuo sono essenziali alla soluzione di svariate dinamiche che mantengono talvolta anche disturbi di grave entità.

Concludendo, la mindfulness sembra avere davvero un considerevole potere terapeutico; la sua radice, come abbiamo visto, origina da una tradizione molto antica che, come evidenzia Gunaratana, risale allo stesso Buddha. Ma non per questo essa, per essere funzionale, ha bisogno obbligatoriamente di insegnamenti religiosi. Alla base del successo della pratica c’è un’antica e nobile disciplina molto efficace, che ha attraversato millenni migliorandosi nella crescita interiore delle persone che l’hanno praticata e perfezionata nel tempo. Ma, come ha dimostrato Kabat-Zinn col suo training MBSR, alla base del suo successo c’è la pratica stessa e gli atteggiamenti con i quali la si affronta quotidianamente, non un Dio o un concetto religioso. Tutto quello che bisogna fare è praticare col giusto atteggiamento.

Chiudo dunque con una citazione dal suo testo fondamentale (“vivere momento per momento”, 2013): [blockquote style=”1″]Il buddismo non ha alcun Dio, cosa che lo rende una religione molto particolare. Ha invece un principio centrale, che si ritiene incarnato in maniera esemplare da una persona storica, detta il Buddha. Si racconta che un giorno un uomo si accostò al Buddha, che era ritenuto un grande saggio e maestro, e gli chiese: «Sei un dio?» Buddha rispose: «No. Sono sveglio.»[/blockquote]

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Gunaratana H.. La pratica della consapevolezza in parole semplici. Ubaldini Editore Roma, 1995.
  • Kabat-Zinn J.. Mindfulness-Based Interventions in Context: Past, Present, and Future. Clinical Psychology: Science and Practice 10: 144–156, 2003.
  • Kabat-Zinn J.. Vivere momento per momento, Tea Pratica, 2013.
  • Rainone A.. La mindfulness, il non fare, l'accettazione e il fare consapevole. Cognitivismo Clinico 9,2, 135-150, 2012. DOWNLOAD
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