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Dopo la caduta dei confini: l’illusione di un mondo in-finito

In economia psichica il confine delimita il bordo della nostra identità. Dall'isteria all'anoressia, il confine assume un ruolo centrale nella patologia. 

Di Silvia Zidarich

Pubblicato il 06 Set. 2016

Aggiornato il 01 Ott. 2019 15:54

Il confine come concetto psicologico svolge una funzione fondamentale di costruzione e protezione dell’identità, spesso dimenticata da una società che non ha più il senso del limite. Un confronto tra due psicopatologie di ieri e di oggi può aiutarci a inquadrare com’è cambiata la sua funzione nel corso del tempo.

 

Nel 1989 cade il muro di Berlino. Con esso cadono molti dei pilastri che hanno puntellato, definito e oppresso, il secolo Novecento e la storia precedente. Cade perché le persone ne hanno abbastanza delle frontiere, e se ne liberano come di lacci fastidiosi. Esse si ritrovano improvvisamente a passeggiare tra i cocci dei confini di ieri, a contemplare al di là il ‘dolce naufragar nell’infinito‘. Ma è davvero così dolce?

 

 

Cos’è il confine

Il confine, in senso etimologico, indica il termine, il limite estremo che separa una proprietà di qualsiasi tipo, territoriale, linguistica, sociale, da un’altra.

In biologia esso diventa la membrana di passaggio tra interno ed esterno, regolatrice di omeostasi corporea. Tale funzione vitale viene mantenuta in ambito psicologico: lo psicoanalista Anzieu definisce tale membrana come ‘la prima invenzione della vita sia sul piano biologico che sul piano psichico‘. Per l’economia psichica, infatti, il confine è il concetto fondamentale che delimita il bordo della nostra identità, separando ‘ciò che è dentro‘ da ‘ciò che è fuori‘.

In senso speculare, ‘senza confini‘ significa, banalmente, illimitato. Ed è esattamente ciò a cui sembra aspirare l’umanità da un po’ di tempo in qua. L’insofferenza per le barriere di qualsivoglia genere è evidente nell’abbattimento reale delle frontiere geografiche e sociali, ma anche nelle tendenze di massa, negli slogan pubblicitari che incitano a sfidare i propri limiti, in sport estremi e pratiche giovanili all’insegna di un disprezzo euforico del rischio, o nelle pratiche mediche che sembrano spesso sottintendere una negazione dei limiti biologici della vita, della vecchiaia e della morte. Anche la storia della psicopatologia può fornire un’utile lettura del fenomeno: da sempre essendo plasmata da fattori sociali oltre che biologici, la sua evoluzione è il riflesso in negativo dell’evoluzione sociale contemporanea.

 

 

La psicopatologia di ieri: l’isteria come confine da spezzare

Ci sono differenze sostanziali tra la psicologia praticata da Freud e quella richiesta ai terapeuti contemporanei, e ciò dipende dalle diverse patologie portate dai pazienti di ieri e di oggi ai rispettivi lettini: in tale metamorfosi del disturbo mentale può giocare un ruolo esplicativo anche la diversa collocazione del confine psicologico, in un caso castrante, nell’altro troppo labile.

Il paziente di Freud si presentava alla sua porta oberato dal peso dei propri confini: si trattava perlopiù di donne dalla sessualità contratta e di uomini schiacciati dal peso di un padre dominante. Lo scrittore Kafka, impietoso illustratore del mal di vivere primo novecentesco, esprime attraverso i suoi personaggi un’autorità patriarcale capace di trasformare il figlio in uno scarafaggio; e poi ci furono le guerre, i totalitarismi, padri-padroni per eccellenza di una supremazia sconfinata e mortifera.

Il complesso di castrazione, grande explanans di Freud, rappresenta la metafora psichica di ciò che separa il possibile dal proibito, e che con ciò fa risolvere la fase edipica e nascere l’Inconscio rimosso; solo che se la rimozione è eccessiva, causa psicopatologia. La patologia con cui nasce la creatura psicoanalitica è l’isteria: essa rappresenta la ribellione del rimosso e la presenta nel corpo, nel quale ciò che è compresso dalla colpa preme contro i confini per uscirne, per espandersi ed assaporare la libertà. Ciò si traduce in sintomi corporei di conversione di stati emozionali intensi, che non trovano sfogo in un Io cosciente costretto alla passività e si rivolgono all’Io somatico investendolo di furia rivoluzionaria. Il corpo è per l’isterica il confine da spezzare.

 

La psicopatologia di oggi: l’anoressia come confine da costruire

Freud era impreparato alle psicopatologie postmoderne, con tale termine intendendo tutte quelle patologie mentali che rivendicano un’importanza epidemiologica dal secondo dopoguerra, e per curare le quali la psicoanalisi dovette piegare parzialmente i suoi paradigmi clinici.

Egli maneggiava con padronanza la depressione del malinconico, generata dalla colpa schiacciante di un Super-Io sadico, ma si disorientava davanti alla depressione del narcisista, indotta da un vuoto esistenziale senza colpa, senza senso e senza confini. Non è più l’oppressione di Kafka, è il relativismo di Pirandello, nato da un cielo svuotato di Dio, che vuoto rimane. Dal dopoguerra in poi, moti di liberazione politici e sociali accelerano in modo vertiginoso l’abbattimento dei dogmi iniziato tanto tempo prima dall’Illuminismo. ‘Cadono i tabù, cadono i totem’. Cade anche il muro di Berlino.

Sotto l’apparenza di un’euforica libertà, però, serpeggia l’allarme di un benessere psichico ancora palesemente assente. Una caratteristica definitoria delle psicopatologie postmoderne, quelle della dopo-modernità, del dopo-Freud, del dopo –  senza nemmeno più bisogno di un prima, è proprio l’assenza di confini.

Ciò si vede chiaramente nel disturbo borderline, dove gli stati emotivi entrano ed escono senza controllo. Una psicopatologia postmoderna per eccellenza è l’Anoressia Nervosa, il grande contraltare dell’isteria: in essa come nell’isteria, svolge un ruolo di primo piano il corpo come confine. In questa grave condizione psichiatrica però, il corpo non è più il confine da spezzare dell’isterica, bensì il confine da costruire. Non si tratta più della dialettica ribellione-schiavitù di un rimosso oppresso che si rivolge contro il limite: è un limite da erigere nell’assenza di dialettica, a costo di sforzi titanici.

Quello dell’anoressica è un corpo fatto di spigoli e ossa eretti a baluardo protettivo, l’unico possibile, poiché l’unico dotato del realismo della tangibilità, in un vuoto senza appigli. Non più un muro da abbattere per liberare il rimosso, bensì un muro da costruire per sorvegliarlo in modo estremamente rigoroso: è il Super-Io sadico dei totalitarismi, che grida alla disciplina in mezzo al dilagare di un’indifferenziazione inconsapevole.

Come l’esperienza dell’isterica denunciò a Freud il disagio della civiltà primo novecentesca, il prezzo da scontare per una ferrea disciplina, forse l’esperienza anoressica può aiutarci a demistificare il prezzo da pagare per la libertà da ogni disciplina, il disagio della post-modernità?

 

 

Confine come identità e protezione: cosa ci può insegnare l’anoressia

Il confine delimita, ma anche protegge. Esso è il muro che fa guardare all’esterno con bramosia, ma è anche la sentinella che ci cammina sopra, e che difende l’interno. Senza il muro, non ci sono più nemmeno le sentinelle, nessuno ad avvertirci se c’è pericolo o meno. In psicologia, l’accettazione del limite è il primo passo verso l’età adulta.

Secondo Freud, la frustrazione derivante dallo scoprire che il bambino ‘non può tutto’ era il primo blocco nella costruzione del senso di Sé. Il bambino immaturo infatti, sperimenta un’onnipotenza senza limiti né confini, un Sé Maestà che tutto può e in rapporto al quale tutto il resto del mondo è costituito da oggetti-sé creati per servirlo, come evidenziano gli studiosi dell’età evolutiva come Melanie Klein. L’esperienza del proibito, definisce per rapporto ‘ciò che si può’, la perdita definisce per rapporto ciò che si ha.

Secondo Margaret Mahler, nella psicosi, la relazione simbiotica con la madre impedisce al bambino di sperimentare sufficiente separazione per poter stabilire dei limiti solidi tra ciò che si è e ciò che non si è: egli avrà per sempre bisogno di oggetti-sé che gli ricordino il suo essere infinito a cui non sa rinunciare. Ma lo psicotico, ahimè, non è l’unico a credersi infinito di questi tempi.

Lo psichiatra Louis Sass introduce un inquietante parallelismo tra follia e modernità: se nella follia è il delirio di essere Napoleone, o di cader vittima di complotti organizzati dalla CIA, nella modernità è la mania ipertrofica del progresso di aver sconfitto Dio, l’allucinazione onnipotente della medicina di poter vivere per sempre, di un’umanità convinta di potere tutto e allergica al limite, persino a quello della morte.

In questo senso, l’euforia generata dal crollo dei confini potrebbe non essere altro che l’euforia megalomane dello schizofrenico, l’euforia di onnipotenza della non-separazione infantile, del tutt’uno che però non si individua mai, che non avrà mai un’identità. È esattamente contro la schizofrenia che l’anoressica si difende, per rivendicare a duro prezzo una propria identità, per definirsi, in mancanza di una divisione tra dentro e fuori, tra bene e male; l’anoressica forse riesce a intuire dietro all’abbattimento dei confini i rischi letali di un’indifferenziazione acefala e invasiva, ci vede l’ abbattimento della dialettica in nome di un’affermazione dionisiaca, vorace ed orale, bulimica. Il suo è il tentativo disperato di re-instaurare una dialettica, di erigere un tribunale dell’Inquisizione per discernere nell’epoca del non discernimento. Essa vuole un confine che la protegga, e per fare ciò delimita, costruisce con il corpo un padre persecutore e castrante. L’anoressica diventa confine, per non diventare schizofrenica, e sembra avvertire che un mondo senza limiti e senza confini è un mondo schizofrenico.

Leopardi naufragava nell’infinito, ma la dolcezza del suo naufragare non era già più la malinconia tragica della colpa di Edipo, era bensì il tedio della mancanza di senso, il vuoto esistenziale dell’anti-eroe moderno, che ha tutto, e non è niente, l’angoscia di fronte alla quale la siepe dell’ermo colle appare ben misera protezione. Siamo davvero sicuri di voler naufragare in questo infinito?

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Anzieu, D., & Séchaud, E. (1985). Moi-Peau (Vol. 1). Paris: Dunod.
  • Breuer, J., Freud, S., & Strachey, J. (2000). Studi sull’isteria. New York: Basic Books.
  • Freud, S. (2013). Il disagio della civiltà e altri saggi. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Freud, S. (2010). Tre saggi sulla teoria sessuale. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Freud, S. (1955). Lutto e malinconia. Rivista di Psicoanalisi, 1(3), 3-15.
  • Freud, S. (2014). Totem e tabu. Edizioni Mondadori.
  • Klein, M. (2013). Notes on some schizoid mechanisms. Projective identification: The fate of a concept, 19.
  • Mahler, M. S. (1968). On Human Symbiosis and the Vicissitudes of Individuation. Infantile Psychosis, 1.
  • Sass, L. A. (1992). Madness and modernism: Insanity in the light of modern art, literature, and thought. Basic Books.
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