Disturbo dell’identità di genere: l’impatto che le credenze metacognitive hanno sui sintomi ansiosi può essere spiegato riprendendo la condizione di isolamento e l’inevitabile sviluppo di modalità di regolazione emotiva autoreferenziali e poco adattive, come il rimuginio. Inoltre, le credenze di pericolo e incontrollabilità rilevate potrebbero indurre ad adottare strategie di distrazione e soppressione dei pensieri, che la letteratura ha indicato come inutili e controproducenti.
La diagnosi del disturbo dell’identità di genere
Il DSM-5 (p. 451) definisce il termine transgender con un’ampia categoria di individui che si identificano in modo transitorio o persistente con un sesso differente dal proprio sesso di nascita. Sebbene potrebbe sembrare scontato, è importante sottolineare che essere transgender non significa appartenere a una determinata categoria diagnostica, perché di per sé non si tratta di una patologia. Essere transgender vuol dire però essere parte di una minoranza, con le conseguenze negative che purtroppo permangono ancora oggi; proprio per questo motivo la ricerca in psicologia si è ultimamente occupata di approfondire le conoscenze in questo ambito, al fine di poter sviluppare interventi efficaci volti a intervenire sulle possibili difficoltà specifiche di questa popolazione.
Nel DSM-5 si parla di gender dysphoria (disforia di genere), una condizione clinica in cui l’avvertire discrepanza tra il proprio sesso biologico e la propria identità di genere causa un disagio clinicamente significativo e compromette il funzionamento sociale e lavorativo. Esattamente come per i disturbi d’ansia (solo per citare un esempio) l’entità del disagio avvertito e le sue ripercussioni sono ciò che determinano la presenza di un quadro clinicamente significativo. Questo è un grande cambiamento, se consideriamo che nella precedente versione del DSM il Disturbo dell’Identità di Genere si focalizzava sulla percezione di una identità diversa dal sesso biologico, senza considerare il disagio del soggetto.
I livelli di ansia e stress nella popolazione transgender
La ricerca ha dimostrato che il livello di stress nella popolazione transgender è generalmente più alto rispetto alla popolazione cisgender, in cui l’identità di genere corrisponde al sesso biologico. Nel 2013, Budge, Adelson e Howard stimano la presenza di sintomi depressivi nel 50% degli individui transgender, mentre rispetto alla sintomatologia ansiosa la prevalenza si aggira tra il 40,4% e il 47,5%, rimanendo superiore al confronto con la media della popolazione.
Questi dati possono essere compresi alla luce del Minority Stress Model (MSM, Meyer, 1995, 2003), il quale suggerisce che (1) gli individui appartenenti a una minoranza sono maggiormente sottoposti a fonti di stress ambientali, come la discriminazione o la transphobia, (2) tali stressor possono essere affrontati attraverso modalità di gestione preventive, come l’evitamento o il mantenimento di uno stato di allerta, (3) la percezione dello stigma, effettivamente esperito o anche solo atteso, può essere internalizzata, arrivando a determinare sentimenti di paura e disagio (Hendricks & Testa, 2012). Questi elementi possono condurre a una condizione di isolamento, in cui le emozioni negative spesso vengono affrontate attraverso rimuginio e ruminazione, con l’idea che sia impossibile ricevere un aiuto all’esterno. Da queste premesse è nata l’esigenza di indagare la presenza di credenze metacognitive specifiche, che hanno già ampiamente dimostrato il loro ruolo cruciale nel mantenere alti livelli di rimuginio e, conseguentemente, di ansia (Wells & Matthews, 1994, 1996).
La relazione tra credenze metacognitive e livelli di ansia nel disturbo dell’identità di genere
Fernie e collaboratori hanno chiesto a 125 persone (44 transgender e 81 cisgender) di compilare alcuni questionari volti a indagare i livelli di ansia, depressione, rimuginio, e la natura delle credenze metacognitive. I risultati confermano la già nota relazione tra credenze metacognitive e livelli di ansia dichiarati dai soggetti. Il dato innovativo riguarda invece la correlazione con l’identità di genere: i ricercatori hanno rilevato che il rapporto tra ansia e identità di genere viene mediato da (a) livelli di rimuginio, (b) credenze metacognitive sulla pericolosità e l’incontrollabilità dei pensieri e (c) fiducia nelle proprie capacità cognitive.
L’impatto che le credenze metacognitive hanno sui sintomi ansiosi può essere spiegato riprendendo la condizione di isolamento e l’inevitabile sviluppo di modalità di regolazione emotiva autoreferenziali e poco adattive, come il rimuginio. Inoltre, le credenze di pericolo e incontrollabilità rilevate potrebbero indurre ad adottare strategie di distrazione e soppressione dei pensieri, che la letteratura ha indicato come inutili e controproducenti (Clark, Ball, e Pape, 1991; Salkovskis e Campbell, 1994). Seppure l’ambito della gender dysphoria sia relativamente nuovo e non ci sia un’ampia letteratura sull’argomento, lo studio sembrerebbe indicare l’utilità dell’approccio metacognitivo che, attraverso la modifica delle credenze metacognitive, ha già mostrato risultati promettenti nel trattamento dei disturbi d’ansia (Wells, White e Carter, 1997).