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Nick Drake, il poeta evitante, la sua depressione e il suicidio

Nick Drake era un cantante con difficoltà relazionali, problemi di dipendenza da cannabinoidi e stati depressivi colmati nel suicidio - Psicologia %%page%%

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 30 Ott. 2015

[blockquote style=”1″]’If songs were lines in a conversation, the situation would be fine…[/blockquote] Hazey Jane, Nick Drake

La canzoni di Nick Drake sono delicate e struggenti come carezze e hanno il sapore del capolavoro senza tempo, estremamente attuali anche all’ascolto odierno. La voce morbida è particolarmente evocativa, anche se non venne mai sufficientemente apprezzata quando uscirono i tre dischi prodotti dall’artista. Il beffardo destino ha voluto che i fans di Nick Drake siano cresciuti negli anni successivi la sua tragica morte.

Il fantasma del fallimento, del non riconoscimento a livello commerciale del proprio valore artistico e talento indiscutibile segnarono la sua vita. Durante la sua breve carriera registrò solo 31 canzoni e nessuno dei tre album superò le 10.000 copie vendute.

Nato nel 1948 in Birmania, dove la famiglia si trovava per via del lavoro del padre ingegnere, viene descritto dalla sorella maggiore Gabrielle, attrice di successo, come il classico bravo ragazzo, anche se leggermente introverso.
Trascorse un’infanzia apparentemente tranquilla, dimostrando precocemente un grande interesse per la musica, probabilmente stimolato dalla madre, che scriveva canzoni per la famiglia e le cantava accompagnandosi con il pianoforte. Quando Nick aveva tre anni, la famiglia tornò in Inghilterra e si trasferì nel suggestivo villaggio di Tanwoth in Arden, vicino a Birmingham.

Nonostante fosse uno studente modello e un ottimo atleta (era alto un metro e novanta), il padre descriveva così il temperamento sfuggente del ragazzo [blockquote style=”1″]Sembra che niente gli importasse davvero. Era come se ci fosse qualcosa che lo distraesse continuamente.[/blockquote] Questo tipo di atteggiamento può essere riscontrato in tanti adolescenti alla ricerca della propria identità e solitamente cambia in concomitanza alla maturazione psicologica dell’individuo. L’interesse per lo sport, in particolare il rugby, e la passione per la musica, che lo portò a studiare violoncello, clarinetto e pianoforte, rendevano Nick un ragazzo tutt’altro che apatico o passivo, lontano dalle ombre della depressione che oscurano la sua vita negli anni successivi.

Finite le superiori si trasferì a Londra, dividendo un appartamento con la sorella, conoscendo nuovi amici e conducendo uno stile di vita bohemien, dove la buona musica e la marijuana non mancavano mai. Gli amici lo descrivevano come persona tendenzialmente timida e riservata, ma socievole con le persone che conosceva, dotato di un gran sense of humor, molto sensibile e appassionato alla bellezza artistica. Nonostante fosse un bel tipo e avesse tante ragazze che stravedevano per lui, non vengono riportate nelle biografie delle relazioni sentimentali significative, come se Nick tendesse ad evitare contatti intimi e riuscisse a raggiungere il romanticismo solo nelle canzoni e non nella vita reale. Aveva molti amici, ma sembra che nessuno lo conoscesse davvero nel profondo.

Nel 1967 fu ammesso al Fitzwilliam College di Cambridge per studiare letteratura inglese, dove trovò un nuovo gruppo di amici intellettuali un po’ hipster con cui si trovava regolarmente a suonare le canzoni di Bob Dylan e Van Morrison, stonandosi di canne. In quel periodo registrò anche un blues sulla marijuana dal titolo Been Smoking Too Long (Ho fumato per troppo tempo) in cui evidentemente trovava aspetti autobiografici: [blockquote style=”1″]’Nightmare made of hash dreams/Got the devil in my shoes/Tell me tell me what have I done wrong/Ain’t nothing go right with me/Must be I’ve been smoking too long[/blockquote] (Incubi fatti di sogni di fumo, ho il diavolo nelle scarpe, dimmi cosa ho fatto di male, niente funziona in me, devo aver fumato troppo).

Non era molto interessato agli studi, mentre la musica acquistava sempre più importanza nella sua vita e nel 1968 l’incontro con il produttore londinese Joe Boyd lo portò a firmare il primo contratto discografico.
L’album d’esordio Five Leaves Left uscì nel 1969 e doveva il titolo alla scritta contenuta nelle cartine Rizla (usate tipicamente dai fumatori di cannabinoidi), che avvertiva quando stavano per finire.
In un periodo dove gli artisti inglesi (come i Rolling Stones ad esempio) tendevano a ispirarsi alla musica americana, Drake proponeva un suono e un’immagine decisamente più europea, verrebbe da dire più posata e raffinata. I testi, che parlavano d’amore, desiderio e identità, sembravano più ispirati dalla lettura dei poeti romantici, che dalle storie on the road dei folksinger americani. Fu pure uno sperimentatore a livello musicale per quanto riguarda l’uso di accordature aperte con la chitarra, che conferivano ai brani una sonorità più eterea, evanescente, con confini poco netti, sicuramente molto originale per il periodo. Il disco contiene la canzone Fruit Tree che è quasi una profezia di una gloria che verrà raggiunta solo dopo la morte [blockquote style=”1″]Safe in your place deep in the earth, That’s when they’ll know what you were really worth[/blockquote] (Al sicuro nel tuo posto nelle profondità della terra, solo allora riconosceranno il tuo vero valore).

Le vendite del primo disco, ma anche dei successivi, non furono buone anche a causa della grande difficoltà dell’artista di esibirsi dal vivo e di una certa diffidenza per le interviste. Non riuscì a portare a termine il minitour tra clubs e associazioni studentesche che il manager gli aveva organizzato, sia per la timidezza di esporsi di fronte a sconosciuti, sia perché non riusciva a tollerare di trovarsi a suonare di fronte a persone che chiacchieravano, bevevano e non avevano il giusto rispetto per la sua musica. La descrizione del cantautore scozzese John Martyn, amico di Nick, mette in risalto la vergogna provata dall’artista durante le performance: [blockquote style=”1″]Quando suonava dal vivo osservarlo era straziante; era come vedere qualcuno che veniva spogliato nudo.[/blockquote]

La classica gavetta di ogni artista è fatta anche di questi momenti di frustrazione, di serate storte, di indifferenza degli altri nei confronti della propria musica, ma era come se Nick amasse troppo le proprie canzoni e si sentisse in dovere di proteggerle dall’ignoranza e dalla maleducazione del pubblico medio. E’ probabile che dentro di lui ci fosse una forte componente di orgoglio narcisistico, per cui riteneva intollerabile non essere sufficientemente considerato e il mancato apprezzamento corrispondeva a una delusione fortissima, che lo gettava in uno stato depressivo e che chiaramente cercava di evitare con l’astensione dal palco. Possiamo rilevare in questo atteggiamento anche alcuni tratti di personalità evitante, caratterizzato da una grande sensibilità al rifiuto, che determina difficoltà ad instaurare nuovi rapporti ed esporsi in nuove attività (APA, 2013). La persona evitante patisce il conflitto tra un desiderio di affetto e accettazione e il ritiro dai rapporti intimi e dalle relazioni sociali per timore di risultare inadeguato e di venire criticato. Spesso questo tipo di personalità si associa a disturbi d’ansia sociale, come il timore di mangiare, parlare o, come nel caso di Drake, cantare in pubblico.

Deluso dall’attività live, l’anno successivo prese in affitto una stanza ad Hampstead e iniziò a lavorare al secondo disco Bryter Layter, pronuncia cockney della frase delle previsioni del tempo Brighter Later (sereno più tardi), titolo che pareva contenere un messaggio di speranza e che riscosse buone critiche, ma vendette pochissimo.

In concomitanza al vivere da solo e al secondo fiasco discografico lo stato psicologico di Nick iniziò gradualmente a peggiorare, con vissuti di fallimento. Era assillato anche da preoccupazioni economiche visto che riceveva dalla Island Records solo 20 sterline a settimana, una cifra davvero misera per vivere a Londra. L’aver interrotto gli studi per dedicarsi alla musica e l’avere ottenuto risultati inferiori alle aspettative potevano essere alla base della profonda tristezza dell’artista. L’amico e arrangiatore Robert Kirby raccontò in un’intervista al Guardian [blockquote style=”1″]Penso ci fosse molto imbarazzo tra di noi, rispetto al fatto che quello che sarebbe dovuto succedere, in realtà non sia successo. Il fatto che Nick avesse interrotto gli studi prima della laurea lo portava a temere di aver deluso il padre, abbasando molto la sua autostima.[/blockquote] Nick iniziò a ritirarsi sempre di più in se stesso, divenendo una persona molto silenziosa, che riusciva a parlare prevalentemente attraverso le canzoni e anche i rapporti con il produttore Joe Boyd iniziarono ben presto a deteriorarsi a causa del flop delle vendite dei dischi.

Nel 1971 i genitori accompagnarono il figlio da uno psichiatra che fece diagnosi di depressione e prescrisse una cura farmacologica a base di amitriptilina. L’artista non era assolutamente propenso a curarsi con gli antidepressivi per una questione di vergogna nei confronti di amici e parenti, per il timore degli effetti collaterali e delle possibili interazioni con la marijuana che assumeva regolarmente. Non si può escludere che anche l’abuso massiccio e protratto di cannabinoidi abbia giocato un ruolo nell’insorgenza della depressione dell’artista, considerato che il consumo cronico di cannabis, oltre a causare la cosiddetta “sindrome amotivazionale” (pigrizia, introversione, apatia, difficoltà a mantenere l’attenzione, mancanza di ambizione e di progettualità) può favorire l’insorgenza di disturbi psichiatrici come depressione, disturbo bipolare e psicosi (Coscas, 2013). Nick era un ragazzo estremanete sensibile e fragile, con una certa tendenza all’introversione e che usava l’evitamento come principale meccanismo difensivo. Certamente l’uso cronico di cannabis può avere amplificato questi aspetti del suo carattere con effetti gravi sull’umore.

Tornò a vivere a casa dei genitori nel Warwickshire, dopo la difficile e solitaria permanenza a Londra, ma la protezione della famiglia non lo aiutò più di tanto. Pareva vivere un profondo senso di solitudine anche in compagnia degli amici e delle persone care, ed era come se non riuscisse a rendersi conto che lo amavano incondizionatamente. C’era in lui una profonda ambivalenza nei confronti della casa dei genitori, che viveva come rifugio protettivo e prigione da cui scappare allo stesso tempo.

Capitava di sovente che prendesse a prestito l’auto dei genitori e scomparisse per alcuni giorni, senza che nessuno, tranne le persone che lo ospitavano, sapesse dove andasse. L’amico Robert Kirby descrive una delle sue visite [blockquote style=”1″]Arrivava e non diceva niente, si sedeva, ascoltava la musica, fumava, beveva, dormiva lì la notte e dopo due o tre giorni se ne andava. Poi tornava dopo tre mesi[/blockquote] (Dann, 2007).

Non era infrequente che i genitori dovessero andarlo a recuperare a pochi chilometri da casa perché non riusciva a fare benzina o si era perso. Nei momenti più bui anche l’aspetto fisico e l’igiene erano sempre più trascurate, a conferma di un grave stato depressivo.
Nel 1972 pubblicò Pink Moon, l’ultimo disco, realizzato con chitarra e voce in un paio di serate e che voleva essere una rappresentazione nuda e cruda di sè. La canzone che dà il titolo al disco ha un testo criptico e visionario, che nuovamente pare far riferimento alla morte o a una vita post-terrena: [blockquote style=”1″]I saw it written and I saw it say, pink moon is on its way, and none of you stand so tall, pink moon gonna get ye all[/blockquote] (L’ho visto scritto, l’ho visto dire, la luna rosa sta per arrivare, e nessuno di voi sarà abbastanza all’altezza, la luna rossa vi prenderà tutti). Anche nel brano “From the morning” parla anche di una sorta di ascensione [blockquote style=”1″]And now we rise and we are everywhere [/blockquote](e adesso sorgiamo e siamo ovunque).

Poco dopo Pink Moon, che rappresentò il terzo flop commerciale, l’artista ebbe un momento di grave crisi nervosa che lo portò al ricovero in un ospedale psichiatrico per cinque settimane. Il postricovero fu caratterizzato da un grande stato di apatia e di disinteresse per tutto, compresa la musica. Sembra inoltre che la compliance alle medicine fosse scarsa e che Nick spesso dimenticasse di assumere l’antidepressivo.

Il problema della corretta assunzione della terapia farmacologica da parte del paziente depresso (la cosiddetta compliance) è ancora drammaticamente attuale, considerando che alcuni studi evidenziano come il 30-40% dei pazienti smette le terapie nei primi tre mesi e successivamente si può arrivare fino al 60% di interruzione (Lopez Torres, 2013). Chiaramente la mancata assunzione della terapia in modo corretto espone al rischio di persistenza dei sintomi depressivi e di ricaduta precoce. I motivi per cui si presume che le persone depresse rifiutino o smettano le terapie sono svariati e vanno dallo stigma sociale ancora connesso all’idea di intraprendere trattamenti psichiatrici, alla presenza di effetti collaterali insopportabili (anche se gli antidepressivi di nuova generazione sono molto meglio dei vecchi da questo punto di vista), all’effetto sabotante autodistruttivo della depressione stessa. A differenza di altre malattie che possono generare reazioni di fortissimo attaccamento alla vita, le sindromi depressive, possono compromettere anche l’energia vitale e la volontà (tra cui quella di guarire), rendendo spesso le terapie molto difficili.

Nel 1973 Nick ricontattò il proprio produttore, che nel frattempo si era trasferito in America, perché si sentiva pronto a registrare nuovo materiale. In realtà non stava affatto bene, ma l’intenzione di registrare ancora sembrava un ultimo disperato tentativo per ottenere quell’agognato riconoscimento che non era mai arrivato. Secondo la testimonianza dell’ingegnere del suono John Wood, le performance in studio furono più scadenti rispetto ai dischi precedenti, in quanto l’artista non riusciva a registrare la chitarra e la voce insieme. [blockquote style=”1″]Non riesco a pensare alle parole. Non provo più niente. Non voglio né piangere, né ridere. Mi sento morto dentro[/blockquote] disse in quella circostanza.

Riuscì a registrare solo quattro brani, tra cui Black Eyed Dog (cane con gli occhi neri), in cui il protagonista della canzone potrebbe rappresentare metaforicamente la depressione o forse la morte: [blockquote style=”1″]A black eyed dog he called at my door/A black eyed dog he called for more/A black eyed dog he knew my name [/blockquote](un cane con gli occhi neri ha bussato alla mia porta/ un cane con gli occhi neri mi ha chiesto di più/ un cane con gli occhi neri conosci il mio nome).

Nel mondo anglosassone l’espressione black dog, si riferisce a uno stato di umore depressivo ed è celebre il suo utilizzo da parte di uno storico depresso come Sir Wiston Churchill. Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un cartone animato psicoeducativo, realizzato dall’illustratore Mattew Johnstone dal titolo “I had black dog, his name was depression” (Avevo un cane nero, il suo nome era depressione).
Un altro brano significativo di quella sessione fu “Hanging on a star” (Appeso a una stella), che sembra contenere una sorta di recriminazione nei confronti del mondo della musica e forse anche della vita stessa [blockquote style=”1″]Why leave me hanging on a star/And when you deem me so high[/blockquote] (Perché mi lasciate appeso a una stella, quando pensate che sia così alto).

Dopo aver raggiunto uno stato depressivo davvero grave, caratterizzato da un’indifferenza quasi totale nei confronti del mondo circostante e da momenti di blocco psicomotorio (come quando fu trovato dalla polizia, fermo da un’ora di fronte alle strisce pedonali), Nick ebbe miracolosamente un’improvvisa ripresa, che lo portò a trascorrere alcune settimane a Parigi, dove in passato aveva incontrato la cantante Francoise Hardy, per cui avrebbe dovuto scrivere dei brani, in realtà mai riuscendoci.
Verso l’autunno dello stesso anno l’artista rimase sconvolto dalla notizia del suicidio del fratello di una sua cara amica, affetto da una depressione cronica.

La notte del 24 novembre 1974 andò a dormire presto, dopo aver trascorso il pomeriggio insieme ad alcuni amici. La madre quella notte lo sentì armeggiare in cucina, dove spesso si recava di notte a mangiare una tazza di cereali e prendere qualche sonnifero, per poi tornare a letto. Fu la stessa madre che lo trovò morto la mattina successiva. Non c’erano note suicidiarie anche se Nick lasciò una lettera per Sophie Ryde, una ragazza con cui aveva una relazione piuttosto platonica negli ultimi mesi. La conclusione del coroner fu “Suicidio previa ingestione incongrua di amitriptilina” (trenta pastiglie, rispetto alla dose prescritta di tre), un antidepressivo triciclico con profilo sedativo, che si assume tipicamente la sera perché aiuta il sonno e che a dosaggi elevati può causare la morte per aritmia e arresto cardiaco, oltre che causare convulsioni e stato saporoso. Qualcuno ha messo in dubbio la reale intenzione suicidiaria del cantante, che avrebbe potuto assumere la dose extra di compresse per errore, per stordirsi o come tentativo di attirare l’attenzione. Pare strano che il medico che ha prescritto la medicina non abbia messo in guardia il paziente e i famigliari rispetto al rischio del sovradosaggio, e il fatto che Nick avesse accesso al farmaco lascia pensare che i famigliari fossero abbastanza tranquilli nel lasciarglielo gestire, non temendo tentativi suicidiari. Il produttore Joe Boyd ha ipotizzato che il sovradosaggio potesse essere in relazione al fatto che si sentiva un po’ meglio, e che pensava che prendendo più pillole si sarebbe sentito ancora meglio (Guaitamacchi, 2010). Questa ipotesi deporrebbe per una completa ignoranza rispetto al meccanismo d’azione dei farmaci antidepressivi, che pare altrettanto strano per una famiglia di estrazione alto borghese e per una persona intelligente come Nick.

E’ comunque abbastanza chiaro dalla storia degli ultimi anni, come fosse per Nick Drake diventato difficile e faticoso vivere e trovare degli obiettivi che lo spingessero ad andare avanti.
In modo molto coraggioso e lucido la sorella Giselle ha sostenuto l’ipotesi suicidiaria, ritenendola più accettabile rispetto al tragico errore [blockquote style=”1″]Non credo che le pillole l’avrebbero ucciso se non avesse preso interiormente la decisione di morire. Credo che l’istinto vitale sia così forte che a meno che non ci sia dentro di te la volontà di suicidarti, non riesci a morire.[/blockquote]

Benché tra i disturbi della personalità l’evitante non presenti frequentemente condotte suicidiarie (a differenza, ad esempio, del disturbo borderline) possiamo ipotizzare in questo caso che Nick Drake mise in atto un evitamento estremo: quello nei confronti della vita.
La notizia del decesso non ebbe particolare eco sui media, considerato il fatto che Nick Drake era poco conosciuto. Venne pianto da amici, parenti e qualche fan fedele.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Pistolini S. Le provenienze dell’amore. Vita, morte e postmortem di Nick Drake misconosciuto cantautore inglese, molto sexy. Fazi Editore,1998
  • American Psychiatric Association (2013). DSM-5. Raffaello Cortina Editore: Milano
  • Humphries P. (2006). Nick Drake. La biografia. Stampa Alternativa, Viterbo.
  • Paola De Angeli. (2007).  Journey to the Stars - I testi di Nick Drake, Arcana.
  • Dann T. (2007). Darker Than The Deepest Sea: The Search for Nick Drake.
  • Estevez B. (2013). Suicide: the final curtain in the world of the famous.
  • Coscas S, Benyamina A, Reynaud M, Karila L. (2013). Psychiatric complications of cannabis use. Rev Prat.; 63(10):1426-8.
  • Brown M. The sad ballad of Nick Drake, Sunday Telegraph, 12/7/97
  • López-Torres J, Ignacio Párraga I, Del Campo J, Villena A. (2013). Follow up of patients who start treatment with antidepressants: treatment satisfaction, treatment compliance, efficacy and safety BMC Psychiatry.; 13: 65.
  • Guaitamacchi E. Delitti rock. Arcana, 2010
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