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DBT per Binge eating e bulimia: – Intervista alla Dott.ssa Debra L. Safer

La Dott.ssa Safer ha accettato di rilasciarci un'intervista in cui vengono approfondite alcune tematiche presenti nel suo libro su Binge eating e bulimia.

Di Mara Soliani

Pubblicato il 08 Mag. 2015

Aggiornato il 22 Ott. 2021 12:35

Durante il convegno Dialectical Behavior Therapy (DBT) per il trattamento dei Disturbi dell’Alimentazione, tenutosi a Firenze lo scorso Aprile, la Dott.ssa Safer ha accettato di rilasciarci un’intervista in cui vengono approfondite alcune tematiche presenti nel suo libro Binge eating e bulimia: Trattamento dialettico-comportamentale.

Mara Soliani (MS): La prima domanda è la seguente: nel suo libro ‘Dialectical Behaviour Theory for Binge eating and bulimia’ del 2009 si precisa che tale trattamento ha un limitato supporto dal punto di vista della ricerca scientifica, ad oggi qual è lo stato dell’arte su questo versante?

 Debra L. Safer (DLS): Io non ho fatto nessun’altra ricerca dall’ultima pubblicata, altri ricercatori hanno svolto ricerche sulla DBT che hanno confermato l’efficacia della stessa ma non le ho seguite io e quindi mi viene da dire che da allora non ci sia un aumento dell’evidenza che la DBT sia efficace. Abbiamo fatto uno studio in cui partendo dallo stesso manuale ne è stato creato un altro come manuale di auto-aiuto, questo comprende gli stessi moduli del manuale dbt per binge eating e bulimia ma la messa in atto è totalmente gestita dal paziente che ha inoltre il supporto di 6 telefonate da 20 minuti ciascuna da dividersi in 13 settimane. I pazienti sono stati testati all’ingresso e dopo le 13 settimane di trattamento, è emerso un tasso di astinenza dall’abbuffata pari al 40% e questo è a parer mio già un buon risultato, sempre gli stessi pazienti testati a 6 mesi di distanza hanno mostrato un tasso di astinenza dall’abbuffata pari al 30%, quindi c’è stato un lieve peggioramento, tuttavia in generale hanno riportato un miglioramento nella qualità di vita. Mentre per quanto riguarda il gruppo di controllo l’astinenza dalle condotte di binge si aggira attorno allo 0% per tutta la durata dello studio.

MS: Nel capitolo del suo libro in cui si orienta il paziente al minduful eating c’è un piccolo paragrafo relativo al craving per il cibo e alla riduzione di questo, potrebbe dirmi qualcosa di più sulle possibili tecniche per affrontare il craving?

(DLS): Dunque credo che quello che noi facciamo sia di continuare a parlare del craving come un’urgenza. Più se ne parla più questo si incrementa, meno se ne parla più questo diminuisce, nonostante questo il craving continua ad essere comunque presente e attivo nella sua funzione ossia quella di cercare la ricompensa. Ma non facciamo nulla di più nello specifico.

MS: Qual è la sua opinione in merito al nuovo filone di ricerche che vede il binge eating disorder come una possibile dipendenza?

(DLS): Ok questa è un’ottima domanda. Mi lasci pensare, io credo che a livello del nucleo accumbens, coinvolto nel circuito della ricompensa, succeda qualcosa di simile nel binge-eater come nella persona che ha una dipendenza da sostanze stupefacenti. Credo tuttavia che in alcuni casi il motivo per cui il cibo è così gratificante è perché è proibito, perché i pazienti non se lo concedono. Quindi credo sia difficile capire che in DBT questo non è visto come una dipendenza ma come una regolazione emotiva, ogni cibo va bene perché la sua funzione è quella di regolare le emozioni. Ho inoltre notato che ci sono pazienti che credono che una volta mangiata una certa quantità di cibo non hanno più controllo e non importa quale sia la loro emozione, devono evitarla. E’ per questo che io credo bisogna insegnare loro la regolazione emotiva. Spesso i pazienti pensano: Posso avere altro cibo o posso evitarlo? Io non credo che ci sia un senso nel continuare a pensarla in questo modo, perché fondamentale è credere nella teoria cui si fa riferimento quindi se tu perdi il controllo e continui a mangiare questo non ti aiuterà. Se diciamo loro: Il problema non è che tu sei dipendente ma che non ti consenti di provare le emozioni, il cibo non è il problema. Tuttavia se un paziente arriva da me e crede che il suo problema sia la dipendenza da cibo io non lo combatto, gli dico che se vuole mangiare zuccheri può farlo, credo che approcciarsi alla nostra teoria sia già un metodo per capitolare, per arrendersi.

MS: Nel suo manuale sono presenti i presenti i moduli volti all’incremento di abilità nucleari e di mindfullness, di regolazione emotiva e di tolleranza alla sofferenza mentale, se facciamo un paragone con il manuale DBT della Dot.ssa Linehan non è presente il modulo relativo all’incremento dell’efficacia interpersonale, potrebbe spiegarci il perché di questa decisione?

(DLS): Non lo uso a scopo di ricerca ma lo userei nella pratica clinica. Nella ricerca da noi condotta non è stato inserito perché non c’era tempo a sufficienza per insegnare le tecniche di efficacia interpersonale ed eravamo preoccupati che l’efficacia potesse essere simile se comparata alla terapia interpersonale. Per questo non è stato inserito, solo ed esclusivamente a scopo di ricerca.

MS: Dopo sei anni dalla pubblicazione del manuale è cambiato qualcosa nella sua esperienza clinica? Ci può raccontare in cosa consiste il cambiamento?

(DLS): Credo che quello che sia cambiato è che mi sono focalizzata sempre più nell’avere un’espressione emotiva nelle sedute, io credo che in gruppo sia difficile fare questo e io ho seguito principalmente gruppi. Negli studi relativi alla bulimia la mia esperienza clinica era principalmente relativa ai gruppi e non è stata incoraggiata l’espressione emotiva perché c’era il rischio che potesse essere fuori controllo ed inoltre nei gruppi il tempo è ridotto a due ore e le cose da affrontare sono molte; ma adesso, non usando più questo metodo solo a scopo di ricerca, ma anche con i pazienti nella pratica clinica ho provato ad incoraggiare l’espressione emotiva nella relazione con me.

Ho implementato le mie conoscenze circa la Teoria dell’attaccamento e l’importanza che il paziente venga ammirato e validato nell’espressione delle sue emozioni perché nessuno l’ha mai fatto prima.

Inizialmente io mi limitavo all’applicazione delle skills adesso lascio che accada qualcosa in più in seduta, e quello che accade credo sia sintonizzazione, cerco veramente di essere li con loro perché l’esperienza di provare un‘emozione con un’altra persona di cui ti fidi versus il provare ad affrontarle da soli sia speventante inizialmente. Per quanto io continui a dare e a lavorare sulle skills credo che sia molto meglio fare esperienza con me in seduta e credo che questo sia quello che è cambiato da quando io lavoro. L’altra cosa che forse è accaduta è relativa al fatto che ho usato le stesse skills usate per i Binge Eaters e i Purging anche per coloro che sono emotional eaters non necessariamente binge eaters ma ho fatto fatica ad usarle con persone come loro a cui non serve un criterio diagnostico. Ho lavorato anche con soggetti obesi che hanno fatto un intervento di chirurgia bariatrica per perdere peso, pratica assai diffusa negli stati uniti e considerata il trattamento ufficiale per l’obesità. Nonostante questo, dopo l’intervento, quasi il 20-30% dei pazienti riprende peso, così ho provato ad usare la DBT con questi pazienti anche se loro non possono abbuffare perché il loro stomaco non lo consente, tuttavia ciò che ho riscontrato e che loro esagerano nel mangiare sulla base di un emozione, così ho provato ad adattare lo stesso trattamento modificandolo leggermente perché i pazienti sono diversi.

Binge eating e bulimia Trattamento dialettico-comportamentale - Intervista alla Dott.ssa Debra L. Safer (2)

MS: In base alla sue esperienza ci può dire quali sono i pazienti resistenti al suo trattamento?

(DLS): Io credo ci siano diversi tipi di binge eaters. Credo che per quelli che vengono da me e che per tutta la loro vita e per tutti i loro bisogni emotivi sono ricorsi solo al cibo e non hanno altro, beh credo sia inutile insegnare a loro delle skills perché quello di cui hanno bisogno nella loro vita è avere degli amici, dei soldi, magari sono persone che non hanno un lavoro e magari hanno anche una personalità complessa e quindi faticano a relazionarsi, e per loro il cibo è davvero l’unica soluzione; è come se loro non potessero avere nutrimento in altri modi e vorrebbero fermarsi, ma non hanno altro e penso che l’unico modo in cui potrebbero fermare le abbuffate è alla condizione che io sia li con loro ogni minuto ma non è possibile che succeda. E penso che loro vorrebbero proseguire con la terapia ma non farebbero necessariamente dei progressi e in merito a questo non sono sicura sul da farsi. Penso che a volte il problema sia anche quello di non avere soldi, io penso che il fatto di non avere un lavoro influisca sulla mancanza del senso di mastery e quello che loro cercano è l’abbuffata ed difficile portare loro a dire smetto, perché non hanno altre persone, non hanno figli non hanno nessuno e io non saprei cosa fare per loro perché io non sarei sufficiente.

Altri pazienti con cui ho difficoltà sono coloro che non credono al modello quindi non credono che il problema dipenda dal modo in cui sperimentano le emozioni.

Qualche volta questi pazienti nel momento in cui iniziano il trattamento iniziano anche a vedere il collegamento fra cibo ed emozioni. E’ come se loro non sono consapevoli delle loro emozioni e quindi c’è bisogno di tempo prima di affrontare il cambiamento. Magari iniziano a dire: Oh il fatto non è semplicemente che ero in casa da solo, è che qualcosa stava iniziando a cambiare in me. Io credo che certi pazienti, specialmente quelli che vivono a casa con i genitori, abbuffano quando sono soli, ed è quella la loro opportunità, inizialmente molti di loro non credono che sia qualcosa che accade dentro di loro a portarli ad abbuffare ma lo fanno solo perché sono soli. Questa sarebbe l’opportunità che non vogliono vedere o non possono vedere, il fatto che c’è qualcosa che sta cambiando in quel momento. Qualche volta lo vedo anche negli uomini i quali spesso dicono che il loro problema è che mangiano troppo, e quando in prima seduta il problema che mi riportano è questo, quello che faccio non è DBT. Loro magari sono persone che in casa hanno troppo cibo, sono mangiatori esterni, vedono il cibo dopo di ché lo vogliono, quindi il nostro lavoro inizialmente consiste nel mettere via il cibo.

Non per forza devo fare delle skills relative all’emozione se pensano che questo non sia il problema. Negli Stati Uniti esiste un libro che si chiama Mindless Eating dove si insegna al paziente a mangiare su piccoli piatti, si insegna loro a mettere via il cibo, a mangiare in una sola portata, ecco con loro iniziamo così, con le piccole cose che riescono a fare, così che l’ambiente in cui vivono non li faccia cadere in tentazione perché credo che loro si dicano che il problema sia che cibo è li, possono anche sentirsi benissimo ma il cibo è li e quindi devono mangiarlo.

MS: I gruppi DBT standard sono generalmente eterogenei, per esempio pazienti autolesionisti e pazienti con dipendenza da sostanze vengono inclusi nello stesso gruppo, come avviene invece nella sua esperienza clinica?

 (DLS): Questo non è quello che succede nella mia esperienza clinica, non abbiamo pazienti autolesionisti e pazienti con dipendenza da sostanza nello stesso gruppo con pazienti che hanno un disturbo alimentare. I pazienti con disturbo alimentare sono separati e questo perché il mio programma era rivolto solo ed esclusivamente a loro. I pazienti che presentano altre problematiche come quelle che mi ha detto prima vengono inviati direttamente nella clinica in cui viene applicato il modello DBT standard, il motivo principale è che nel nostro centro non c’è terapia individuale ma solo di gruppo, mentre nella clinica in cui applicano la DBT standard c’è sia la terapia di gruppo che quella individuale e quindi possono avere più aiuto.

MS: Se lei ha dei pazienti con disturbo alimentare in comorbidità con un disturbo di asse due in quale gruppo lo include? Nel DBT standard o nel gruppo DBT per i disturbi alimentari?

(DLS): Li includo nel gruppo DBT standard, ci sono ricerche condotte su pazienti che hanno entrambe le problematiche con i quali si è provato ad applicare il metodo spiegato nel mio manuale e questo non ha funzionato perché se è presente il target dell’autolesionismo, il target del cibo non è sufficientemente importante se paragonato con l’altro.

Se noi prendiamo come target la qualità di vita non c’è nessuna minaccia alla vita nei pazienti che mostrano solo un disturbo alimentare.

Generalmente nel trattamento di questi pazienti viene come primo step quello di interrompere i comportamenti di autolesionismo, ma non essendoci nei nostri pazienti questo aspetto il nostro primo step è quello di interrompere le abbuffate perché questa è l’unica minaccia alla terapia. Spesso le persone che mostrano una comorbidità con disturbi di asse due mostrano anche un collegamento con l’autolesionismo mentre nei binge eaters non sempre c’è questo collegamento. Quindi come prima cosa ci sono da affrontare i target che rappresentano una minaccia alla vita, dopo di che, affrontati quelli, si lavora sulla qualità di vita.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Dialectical Behavior Therapy (DBT) per il trattamento dei Disturbi dell’Alimentazione, Firenze, 17-19 Aprile 2015 – Report del workshop, II Parte 

BIBLIOGRAFIA:

 

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