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Autolesionismo negli adolescenti – Introduzione alla Psicologia Nr. 10

È un fenomeno molto diffuso tra gli adolescenti che permette di concentrarsi sul dolore fisico per non sentire il dolore emotivo, in un atto comunicativo

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 08 Apr. 2015

Aggiornato il 17 Mar. 2016 16:19

Sigmund Freud University - Milano - LOGO  INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA (10)

 

 

Qualunque condotta autolesionistica consente di spostare la propria attenzione sul dolore fisico, non occupandosi di quello emotivo, da cui alla fine genera tutto.

Cutting, Burning, Branding, ovvero autolesionismo. È un fenomeno sempre più diffuso tra gli adolescenti grazie alla divulgazione di una serie di video sui social network come Facebook o su canali come youtube, in cui sono impresse immagini di ragazzi che mettono in atto pratiche di autolesionismo. Vediamo in cosa consiste.

Si tratta di gesti volti contro la propria persona in cui si prova a farsi del male, come tagliarsi la pelle con lamette o qualsiasi altro oggetto affilato, ad esempio chiodi, forbici, coltelli, fermagli, pezzi di vetro, bruciarsi con le sigarette o marchiarsi a fuoco con un laser o un ferro rovente.

Tutto questo non ha niente a che fare con il suicidio, anzi si è ben lontani da esso, ma è una pratica volta a provare dolore.

Qualunque condotta autolesionistica consente di spostare la propria attenzione sul dolore fisico, non occupandosi di quello emotivo, da cui alla fine genera tutto. Di conseguenza, grazie al corpo lesionato si è in grado di comunicare quello che non è possibile fare attraverso le parole.

Queste pratiche sono molto diffuse tra gli adolescenti e le ragazze sono decisamente più avvezze alla messa in pratica di questi comportamenti (rapporto di 9 a 1). Non esistono statistiche certe sulla diffusione di queste pratiche, ma il SIBRIC (Self Harm & Self Injury, il portale dedicato allo studio e all’informazione sull’autolesionismo) riporta dati che parlano di comportamenti autolesionistici nel 42% degli adolescenti tra i 13 ed i 22 anni.

Le condotte autolesive possono verificarsi per:

  • Un senso di profondo vuoto interiore, soprattutto nei gravi disturbi di personalità e negli stati dissociativi dovuti a gravi traumi o abusi. La pratica di ferirsi diventa un’esperienza che riconnette con la vita: la vista del sangue e la sensazione dolorifica del corpo riconduce alla realtà dopo che la mente, ferita e traumatizzata, si stacca dall’esperienza attuale.
  • Il sentirsi soli, non avere un luogo dove rifugiarsi nei momenti difficili, di tristezza, di rabbia o di solitudine, il ferirsi diventa la miglior strategia usata per scaricare la tensione insopportabile provocata da questi stati d’animo, o per illudersi di poterle controllare anziché esserne travolti. Subito dopo essersi feriti, la sensazione provata è di sollievo, di pace, di liberazione. Ma, queste emozioni positive, subito dopo cedono il passo a quelle negative tra cui emergono il rimorso e la vergogna.

Sentirsi sollevati dal dolore emotivo o dal vuoto, anche solo per pochi momenti, induce la persona a ferirsi nuovamente.

Si installa, in questo modo, un circolo vizioso simile a quello della dipendenza, dove l’emozione positiva provata, funge da incipit per il comportamento autolesivo successivo.

Quindi, pensare di smettere di tagliarsi richiede un enorme atto di volontà, derivante indubbiamente da un aiuto proveniente da un esperto, che possa portare a trattare la sofferenza con altre modalità.

Una tra tutte è gestire e tollerare la rabbia provata, la frustrazione e la solitudine, senza agire contro se stessi.

Esistono dei segni inequivocabili, che fungono da campanello d’allarme, e sono:

  • portare maniche lunghe anche fuori stagione o vestiti eccessivamente coprenti anche se non necessari;
  • macchie di sangue sui vestiti;
  • Isolamento, passare molto tempo in camera chiusi o in bagno;
  • avere accesso a molti oggetti acuminati o lamette, pezzetti di vetro o di ceramica, coltellini;
  • eccessiva irritabilità, rabbia frequente, agiti e scarso controllo di forti emozioni.

Aiutare una persona che mette in atto gesti autolesivi è un percorso lungo e doloroso. È fondamentale in questo iter non criticare mai, non colpevolizzare o mortificare. La cosa fondamentale è far capire alla persona che può essere sostenuto e supportato, capito e riconosciuto.

 

RUBRICA: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA

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