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Arti marziali & benessere psicologico – II parte

Percezione del corpo e arti marziali: l'efficacia di una buona respirazione per il benessere globale dell'individuo attraverso le tecniche di tai chi chuan

Di Giampaolo Salvatore

Pubblicato il 19 Feb. 2015

Aggiornato il 04 Mar. 2015 13:07

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Nelle arti marziali così intese, il tramite principale tra corporeità, lo sviluppo delle capacità autoregolatorie e le potenzialità interiori della persona, è la respirazione. Nel tai chi chuan le tecniche vengono eseguite sempre sulla base di un corretto allineamento dei segmenti osteo-muscolari, tra di loro e rispetto alla forza di gravità.

La pratica marziale condotta da un istruttore esperto e preparato richiede all’allievo un continuo monitoraggio degli stati del suo corpo. Ciò serve per raggiungere una condizione di rilassamento dalle tensioni muscolari che compromettono la qualità della tecnica. Il bravo istruttore segnala gradualmente e in modo sempre più sofisticato quale segmento del corpo è teso e impedisce la fluidità del movimento; porta continuamente l’attenzione dell’allievo in quel segmento, abituandolo a compiere poi da solo questa operazione in modo sempre più sofisticato ed efficace. In altre parole, l’istruttore favorisce un’amplificazione della percezione dello stato del corpo dell’allievo.

Questa amplificazione propriocettiva ed enterocettiva col tempo si estende oltre i momenti della pratica, ed è facilmente rievocabile anche nel corso di stati emotivi problematici. A lungo andare l’allievo vede incrementare la propria capacità di decodificare lo stato del suo corpo, e di modificarlo sensibilmente, anche in situazioni che esulano dal contesto dell’allenamento.

Nelle fasi più avanzate dell’apprendimento, la pratica è tesa  a sviluppare una coesione mentale di ordine superiore, che deriva dalla capacità di regolare gli stati mentali problematici regolando il corpo. L’allievo impara a riconoscere che uno stato mentale ansioso, preoccupato, si associa costantemente a uno stato del corpo specifico; mentre uno stato mentale efficace, pronto, recettivo e concentrato si associa ad uno stato del corpo rilassato e fluido. Diventerà automatico conservare nel corpo la memoria dello stato rilassato e riprodurlo quando è necessario.

Nelle arti marziali così intese, il tramite principale tra corporeità, lo sviluppo delle capacità autoregolatorie e le potenzialità interiori della persona, è la respirazione. Nel tai chi chuan le tecniche vengono eseguite sempre sulla base di un corretto allineamento dei segmenti osteo-muscolari, tra di loro e rispetto alla forza di gravità. Questo allineamento crea le condizioni per una “centratura” del corpo rispetto allo spazio; mentre ogni movimento imparerà ad essere generato dal ritmo della respirazione diaframmatica profonda. Il respiro decide il ritmo e la forza del movimento. Se il respiro viene emesso lentamente e gradualmente, il corpo, centrato, si muoverà lentamente. L’emissione violenta del respiro produrrà un movimento esplosivo.

Lo studio di questa respirazione nel contesto del tai chi chuan ha importanti implicazioni psicologiche. Esistono prove sperimentali su come essa sia correlata significativamente con una riduzione dello stress (Lee et al., 2003; Zhang et al., 2014). Chapell, in un articolo apparso nel 1994 su Perceptual and Motor Skills, ha indagato la relazione tra respirazione diaframmatica e mediatori cognitivi dello stress. L’ipotesi che l’autore propone su base empirica è che l’evidente riduzione dello stress determinata dalla respirazione diaframmatica sia dovuta a un’attenuazione del cosiddetto “chiacchierio interno”, quella sorta di rumore cognitivo di fondo, che in alcuni soggetti si intensifica fino alla ruminazione, e che occupa la nostra mente durante le attività quotidiane, impedendo una vera attenzione sulle cose e sul momento presente. Il chiacchierio interno si  associa ad attivazioni involontarie e irregolari dei movimenti respiratori e dei muscoli connessi con la fonazione; movimenti simili a quelli che si realizzano quando parliamo realmente.

La respirazione diaframmatica, grazie alla sua lentezza, regolarità e profondità, compete secondo Chapell con quelle attivazioni muscolari irregolari, quindi ridurrebbe il chiacchierio interno associato ad esse. L’attenuazione del chiacchierio interno implica un rallentamento della successione dei pensieri, soprattutto quelli afinalistici e fuori contesto. La mente diventa più attenta e focalizzata sul momento presente, perchè più libera dal rumore di fondo del chiacchierio interno e dalla sollecitazione neurovegetativa ad esso correlata. Diverrà più facile e immediata l’intuizione delle connessioni tra eventi contingenti e pensieri, e dei processi mentali che ci portano ad attribuire significati spesso disfunzionali a quanto ci accade, alimentando emozioni negative.

Su questa base sarà possibile porre sotto uno sguardo critico quei processi. Riusciremo più prontamente a dire a noi stessi che quel dato evento ha generato in noi un’emozione così dolorosa perchè lo abbiamo letto in un determinato modo; comprenderemo che è stata la nostra lettura, la percezione di sè che dietro essa si cela, a dotare l’evento di una carica così dolorosa. Il chiacchierio interno sarà allora sostituito da un “dialogo” interno della mente con se stessa e della mente col corpo. Sulla base di questo dialogo abbiamo inoltre accesso al senso della sostanziale transizionalità dell’emozione negativa: l’emozione  è alimentata dal significato doloroso; non appena rivediamo criticamente quel significato, l’emozione si disperde o si attenua.

I risultati di Chapell hanno ricevuto numerose conferme empiriche. Per esempio, Philippot e Dallavalle (1998) hanno mostrato come le modalità e la qualità delle respirazione abbiano un impatto significativo sullo stato emotivo: la respirazione diaframmatica è correlata con una più efficace regolazione emotiva, e quindi con un maggior benessere psicologico.

Esistono diverse evidenze empiriche circa i meccanismi fisiologici alla base di questa correlazione. Gli ampi movimenti che il diaframma compie attraverso le fasi di questa respirazione determinano un’alternanza continua di compressione e decompressione degli organi addominali.

Lo studio di Zhang et al. (1992), ha misurato le variazioni di pressione esofagea e gastrica nelle fasi di inspirazione ed espirazione durante la pratica del tai chi chuan in un gruppo di otto soggetti. Gli autori hanno riscontrato che le variazioni significative di pressione negli organi addominali determinata dalle escursioni diaframmatiche genera le condizioni per una sorta di “massaggio dolce” agli organi addominali stessi. Questo determina a sua volta una vasodilatazione e un conseguente aumento della superficie del letto capillare. Il flusso ematico nei tessuti aumenta, il metabolismo cellulare viene stimolato e viene favorita l’eliminazione delle sostanze di rifiuto.

Inoltre, la stimolazione meccanica degli organi addominali e l’aumento della pressione negativa toracica determinato dall’ampia escursione diaframmatica in inspirazione favoriscono un aumento naturale del ritorno venoso; il che si traduce in un miglioramento dell’efficienza dei processi che fanno riconfluire il sangue dagli organi addominali e toracici alle vene cave e quindi al cuore, che può a sua volta trasferirlo più efficacemente nel circolo sistemico. Questo si traduce in un aumento del flusso a livello di tutti gli organi peiferici e in una loro più efficace ossigenazione e nutrizione. Dal punto di vista fisiologico, quindi, i benefici di questo tipo di respirazione saranno evidenti a livello sistemico.

Esistono diverse prove empiriche dei benefici della pratica protratta della respirazione tai chi anche sulle funzioni cerebrali superiori. Litscher e collaboratori (2001), per esempio, hanno studiato gli effetti sulle funzioni corticali in due maestri mediante ultrosonografia doppler, riscontrando un aumento del flusso ematico cerebrale, con conseguente miglioramento dell’ossigenazione e dell’efficienza delle cellule nervose. Altri studi mostrano una correlazione significativa tra pratica del tai chi chuan e miglioramento della modulazione vagale, che a sua volta è correlata con sensazioni soggettive di calma e tranquillità (Lu e Kuo, 2003).

Questo dato è coerente con quanto riportato da Ryu et al. (1996), che aveva evidenziato un significativo incremento dei livelli ematici di endorfina durante la respirazione tai chi. Altri autori hanno evidenziato gli effetti benefici che questi cambiamenti neurofisiologici determinano sulla qualità del sonno (Li et al., 2004), sui sintomi depressivi (Tsang et al., 2002), sui sintomi ansiosi (Sharma & Haider, 2014), e più in generale sul benessere psicologico (Tsang et al., 2003).

Questi sono solo alcuni tra i riscontri empirici più significativi sul rapporto tra arti marziali e benessere psicologico. Prima di concludere, però, può essere interessante citare un dato di review nettamente contrastante. Endresen e Olweus (2005) hanno esaminato i possibili effetti dei “power sport” (tra cui le arti marziali orientali) sul comportamento aggressivo e antisociale nei soggetti tra gli 11 e i 13 anni, riscontrando che queste discipline sembrano correlate con un’amplificazione di tali condotte.

Come spiegare una discrepanza del genere? Equilibrio psicofisico, sviluppo delle potenzialità personali, regolazione emotiva…tutte chiacchiere? In realtà, andando al sodo, sempre di menare le mani si tratta? La risposta più ovvia spontanea. Dipende dal maestro. Esattamente come per la psicoterapia.

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