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Tutto bene, signora (2013): trovare le parole per condividere.

Recensione del romanzo di Francesco Bricolo: Tutto bene, signora. (2013). Accettazione della malattia e coraggio della condivisione - Psicologia

Di Annalisa Bertuzzi

Pubblicato il 05 Mag. 2014

 

 

LE RECENSIONI DI STATE OF MIND

Tutto bene signora. (2013) di Francesco Bricolo - Immagine: © Pragmata EdizioniDiciamolo subito, questo non è un libro per tutti, anche se i due protagonisti, Tiberio e Sabrina, sono invece una coppia come tante: lui ingegnere edile, lei insegnante, sposati da anni e con due figli: il ventenne  Tommaso e la diciassettenne Chiara. Vite comuni nella Milano dei nostri giorni; persino il cognome, Brambilla, è una garanzia di normalità.

Tiberio deve ritagliarsi del tempo dal lavoro per fare qualche accertamento: negli ultimi tempi è dimagrito, si sente stanco; Sabrina lo accompagna in ospedale per un controllo, il medico di famiglia ha prescritto una gastroscopia. Nell’attesa dei risultati un po’ di timore, certo, ma il quotidiano ha le sue scadenze, impossibile crogiolarsi nella preoccupazione. Il risultato arriva ed è quanto mai impietoso: un cancro all’esofago, in stadio già molto avanzato. Ma questo Sabrina non viene a saperlo; non lo sa perché Tiberio, semplicemente, non glielo dice. Anzi, dice che va tutto bene. La vita scorre come sempre, Sabrina è contenta e non ci pensa più: l’ansia dei giorni precedenti si volatilizza. Sta arrivando il Natale e Tiberio, che sa che quelle feste saranno le ultime, decide di regalare alla moglie un Capodanno in Norvegia, il viaggio sognato da anni, programmato nei minimi dettagli, e mai fatto.

Decide anche un’altra cosa: vuole ricorrere alla morte assistita, in Svizzera, la dolce morte per non soffrire, e anche questo lo decide da solo: non vuole essere un peso per chi gli sta intorno, essere trattato da “caso umano”, così dice a se stesso.

Con qualcuno, però, Tiberio parla: con la dottoressa che gli ha diagnosticato il tumore; con una suora, laureata in psicologia e che ha esperienza nell’accompagnamento dei malati terminali; con un religioso, padre Ernesto, dal quale vorrebbe avere dei perché.

Tiberio confida alla dottoressa le sue preoccupazioni e riversa sui religiosi tutta la sua incontenibile rabbia: perché Dio gli ha fatto questo? Dio deve dargli una giustificazione, lui è credente e si aspetta delle risposte.

E ancora perché Dio, come se ciò non fosse abbastanza, è contrario all’eutanasia? Si deve anche morire con dolore, non basta forse già dover morire? Perdere la dignità in un letto di ospedale è cosa necessaria per onorare la vita?

Sabrina, intanto, continua a non sapere nulla e pregusta tranquilla il suo Capodanno; proprio a Capodanno ci saranno nuovi, imprevedibili, eventi, che renderanno a Tiberio sempre più complicato condividere con gli altri la sua realtà di persona che si prepara alla morte.

Perché, in modo asciutto, senza mai cadere nel melodrammatico e nel patetico, proprio di questo il libro parla: della morte, sviscerando uno dopo l’altro, con precisione chirurgica, tanti temi difficilissimi che a giorno d’oggi sono tabù. Si parla apertamente, con un linguaggio quotidiano, di quello di cui nessuno vuole mai parlare: di malattia inguaribile, di paura della morte, di paura della sofferenza, di suicidio assistito, di diritto di scelta e, anche, di vergogna. La vergogna nello scoprirsi vulnerabili ed indifesi di fronte agli altri e di fronte ad una realtà che non possiamo assolutamente controllare.

Non si parla mai di queste cose; scrive in un blog, sul Corriere della Sera, Caterina Croce:

“Siamo impegnati a schivarla, a tacerla, a negarla, la morte. Ne parliamo se solletica il nostro senso del macabro: se c’è uno zio orco o una sorellastra invidiosa, se c’è una mamma Medea o un vicino squilibrato. Ne parliamo quando il suo avvento è così ingiusto, inatteso e incalcolabile che possiamo ascriverla alla dimensione remota e indistinta dell’eccezione: un terremoto, uno tsunami, un naufragio al largo delle coste di Lampedusa. Ne parliamo se segna una dismisura, un accidente che riguarda altri. Viceversa, parliamo poco – o quasi per nulla – della morte nella sua banalità: nel suo accadere ordinario e comunissimo”.

Tiberio è arrabbiato e anche lui non parla; scopre nel tenere il suo terribile segreto tutto per sé una dimensione di potere, l’unica possibile in una realtà che lo condanna ad essere, progressivamente, sempre più impotente. Si sente coraggioso  e contrasta con testardaggine, immerso in un delirio di autodeterminazione, i suoi interlocutori – la dottoressa, la suora psicologa e il frate- che su una cosa concordano tutti: deve parlare con moglie e figli  mettendo fine alla sua recita di normalità, smettendo di far finta che, come dichiara il titolo, vada “tutto bene”.

Perché leggere questo libro? Per deprimerci, per imparare la rassegnazione? No. Per imparare a trovare le parole. Tiberio lo capisce un po’ alla volta: non si può fare tutto da soli, condividere è un atto di enorme coraggio. Ed è, soprattutto, un atto vitale.

Sì, vitale, anche in situazioni che sembrano essere l’antitesi della vita. Vitale è questo libro, fino alla sua ultima pagina, con una conclusione che è come un inizio. E anche qui mi tornano in aiuto le parole di Caterina Croce:

 “Esercitarsi a pensare il limite è un’occasione per cambiare la propria vita, per guardare a come stiamo vivendo, per correggere il tiro, se ci pare di aver perso di vista il senso, e ritrovare la mira, per azzardare un bilancio che insieme sia un rilancio[…] E allora forse sì, se serve a cambiare e a riscoprire il gusto tondo della felicità, parlare di morte può essere una buona notizia”.

 

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Annalisa Bertuzzi
Annalisa Bertuzzi

PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA AD INDIRIZZO UMANISTICO - INTEGRATO

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