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“Amour”, Storia d’Amore e Distruzione – RECENSIONE (M. Haneke, 2012)

Amour: film straordinario e disperato. Il tema della morte, della malattia e della vecchiaia viene trattato con superba forza d'impatto.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 13 Nov. 2012

Aggiornato il 10 Lug. 2013 11:02

 

  Recensione del Film: Amour di Michael Haneke

 

“Amour” (2012) di Haneke. Storia d’Amore e Distruzione – RECENSIONE
Locandina di Amour (2012) di Michael Haneke.

L’ultima fatica di Michael Haneke è un film straordinario e disperato, nel quale il tema della morte, della malattia e della vecchiaia viene trattato con superba forza d’impatto e una lealtà interpretativa ai limiti del sostenibile.

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SPOILER ALERT!  L’ARTICOLO SVELA PARTI DELLA TRAMA DEL FILM

La pellicola sviluppa il percorso attraverso la sofferenza di un’anziana donna colpita da ictus, che viene accudita dal marito e da questi uccisa al termine di un’estenuante declino fisico e mentale.

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Sono molteplici gli aspetti narrativi che generano nello spettatore un crescente disagio, l’angosciosa discesa in un dolore che il regista vuole rendere inevitabile a chi lo osserva, percepibile nella mente e nelle viscere: la coppia di protagonisti è sorretta da un amore assoluto e totalizzante, che esclude il resto della famiglia dalla possibilità di partecipare al viaggio verso una morte che la donna desidera e richiede; il marito è appassionato nell’immolarsi al sacrificio di un accudimento che progressivamente lo svuota e che genera, venendone al tempo stesso generato, un sentimento di possesso quasi dispotico; l’inflessibilità di entrambi nell’affrontare la malattia come passaggio finale di un’intera vita condivisa fra le medesime risonanze culturali, concezioni esistenziali affini e movimenti complementari, produce un dialogo che gradualmente isola l’autoreferenzialità di ciascuno.

Della morte e del morire. Immagine - © goccedicolore - Fotolia.com
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La donna, impegnata nel rifiuto attivo di un’esistenza in cui non riesce più a riconoscere la propria dignità, mentre l’uomo si oppone alla resa e prosegue nel tentativo di rianimare parole di un tempo, ricordi sempre più inaccessibili alla coscienza e all’ineluttabilità del reale.

In Amour, Haneke compie, al solito, un ritratto asciutto del dolore, privando lo spettatore degli strumenti che potrebbero aiutarlo nell’avvicinarsi all’esperienza rappresentata nel film: non vi è compassione che possa autoalimentarsi, né la speranza che qualcosa di più consolante possa accadere, non esiste mediazione fra l’essere umano e la sofferenza.

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Le scene del lento tracollo sono distillate, dilatate non attraverso il tempo ma attraverso lo spazio mentale dell’osservatore, così l’anziano marito che prova con le poche energie rimaste a far camminare la donna, l’espressione di lei quando iniziano i rituali di una separazione irreversibile da sé – i pannoloni cambiati dall’infermiera, l’enuresi che conclude con rabbia muta la parabola dell’esistenza come ciclo non negoziabile di dipendenza dall’altro, esplorazione autonoma e di nuovo richiesta regressiva di cure – sono frammenti sui quali Haneke si sofferma ogni volta per pochi secondi, seminando la percezione nitida di un dramma che si annida più nell’anima che nel corpo dei protagonisti e non richiede perciò una narrazione prolissa, né una descrizione articolata dei dettagli concreti.

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All’interno del racconto si inserisce la figlia dei due coniugi, che condivide coi genitori l’inflessibilità nel concedersi una reale apertura al dolore e all’espressività emotiva, in un quadro globale che richiama l’idea di un’austera e colta borghesia parigina.

Solo negli ultimi istanti sembrano esplicitarsi dei conflitti, quando la coppia nega alla figlia, ora preda di un’angoscia che non può più controllare, la possibilità di vedere l’ultimo volto della malattia.

La scena finale di Amour, muta e immobile come in tutti i film di Haneke, arriva dopo la disperata eutanasia e dopo la rassegnata follia che si impadronisce dell’uomo per condurlo ad un destino che immaginiamo essere di abbandono della vita: la figlia seduta in salotto ad osservare qualcosa davanti a sé, è ciò che rimane di una storia consumatasi senza spazio per un ideale di speranza, senza temi morali o religiosi, nella quale il ricordo non porta quiete bensì testimonianza dell’inesorabilità del dolore.

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RIFERIMENTI:

 AMOUR (2012) TRAILER ITALIANO:

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