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Fantasticare ad occhi aperti…che stress!!

Fantasticare: attività piacevole e comune; si fantastica su persone, eventi e situazioni; ma l'eccesso nel fantasticare genera conseguenze molto negative

Di Daniela Beltrami, Vania Galletti, Guest

Pubblicato il 31 Lug. 2013

Aggiornato il 08 Lug. 2019 12:51

A chiunque sarà capitato di trovarsi “con la testa tra le nuvole” o “a sognare ad occhi aperti”. Il fantasticare è un’attività piacevole e comune alla maggior parte di noi; si fantastica su persone, eventi, situazioni più o meno complesse; quando si torna alla vita reale, il gusto delle fantasie permane per un istante a mezz’aria, e poi svanisce.

Daniela Beltrami, Irene Desimoni, Vania Galletti 

 

In alcuni casi, però, il fantasticare è così coinvolgente da ingabbiare il soggetto in una rete dalla quale non può e forse non desidera uscire. Qui si insinua il bisogno compulsivo di rituffarsi appena possibile nella fantasia ed allontanarsi sempre più dal mondo reale.

Somer (2002) ha descritto questa condizione Maladaptive Daydreaming come una ricca produzione di fantasticherie che diventa disfunzionale nel momento in cui interferisce con il funzionamento sociale, lavorativo e scolastico.

 

Eccesso nel fantasticare: Compulsive Fantasy

Più recentemente, Bigelsen e Schupak (2011) hanno proposto una definizione più precisa del problema affibbiandogli il suggestivo Compulsive Fantasy e delineandone le principali caratteristiche. Gli autori hanno studiato 90 soggetti provenienti da varie parti del mondo, autocandidatisi online come “fantasticatori eccessivi”. Ai volontari è stato somministrato il “Questionnaire on Excessive Daydreaming” finalizzato a cogliere somiglianze e differenze tra le fantasticherie dei partecipanti.

Dai risultati emergono alcuni dati interessanti: innanzitutto, la struttura delle fantasie è notevolmente articolata, spesso connotata da trama e personaggi (ispirati alla vita privata del soggetto o a film, libri, ecc.) ed emotivamente intensa; i soggetti fantasticano per diverse ore al giorno (da 1 a 10) e hanno iniziato a farlo precocemente; la maggior parte di loro riferisce la frequente compresenza di attività motoria (passeggiare, dondolare, sussurrare, ecc.), maggiormente controllabile del fantasticare in sé, soprattutto in presenza di osservatori.

Mind Wandering. - Immagine: © auremar - Fotolia.com
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I fantasticatori, infatti, condividono il tentativo di celare queste attività ad amici e familiari, finendo per provare isolamento e vergogna. Tali fonti di disagio sono ulteriormente inasprite dalla necessità di accantonare la vita reale per dare spazio a quella fantastica. A differenza dei “normo-sognatori”, essi percepiscono il bisogno impellente di ritornare nel mondo fantastico appena vengono “risvegliati” da quello reale, per poter continuare il processo di creazione. Si tratta di un vero e proprio craving in cui la sostanza è del tutto immaginaria.

 

Origini del fantasticare compulsivo

Le origini della Compulsive Fantasy sono poco chiare: accantonata l’ipotesi di una reazione ad un precedente trauma (nonostante il 27% sostenga di esserne stato vittima nella propria vita) e di una mancata discriminazione tra fantasia e realtà (il 98% riferisce di non avere problemi a distinguerle) (Bigelsen e Schupak, 2011), potrebbe trattarsi di una modalità di coping che consente al soggetto di allontanarsi dalla ruvidità o dalla noia della vita quotidiana alla ricerca di tranquillità, felicità o eccitazione (immaginando se stesso come una persona più attraente e ricca di relazioni significative; rivivendo la presenza di una persona cara che è deceduta; pensando ripetutamente di avere una malattia grave per sentirsi amato e curato; ecc.).

 

I trigger che innescano il fantasticare compulsivo

Similmente a quanto avviene nel Desire Thinking (Caselli e Spada, 2010), il fantasticare può essere condizionato da triggers di duplice natura: stimoli esterni (musica, libri, ecc.) o stati d’animo ed emozioni (noia, rabbia, stress, frustrazione, eccitazione, ecc.); tuttavia, nel caso della Compulsive Fantasy, potrebbe essere più interessante domandarsi cosa è in grado di sospenderla più che scatenarla, poiché pare che le fantasie si attivino automaticamente in un momento di scarso coinvolgimento cognitivo (durante compiti che non richiedono elevato monitoraggio) e vengano bloccate nell’istante in cui il soggetto è stimolato da un’attività interessante. Nonostante l’accesso automatico, la produzione di fantasie non è né inconsapevole né priva di sforzi; ad una prima fase di difficile controllo del bisogno di creare, ne segue una di elaborazione consapevole della fantasia (similmente a quanto descritto in merito alla Elaboration Intrusion Theory of Desire; Kavanagh et al., 2005).

 

Mind wandering vs compulsive fantasy

A differenza del Mind Wandering (Smallwood e Schooler, 2006), non vi è una vera e propria impossibilità di portare a termine compiti più o meno complessi della vita quotidiana; la maggior parte dei soggetti fantasticatori riporta di non avere rilevanti problemi di interazione sociale, tuttavia riferisce di preferire il mondo irreale e, per questo, di non percepirsi mai completamente presente nelle attività di quello reale. Il disagio maggiore è, infatti, quello provocato dal senso di colpa dovuto al fatto di “rubare” tempo alle persone vere per dedicarne a quelle irreali.

 

Fantasticare ed eccesso nel fantasticare: conclusioni

Infine, l’attività del fantasticare sembrerebbe essere correlata a creatività ed empatia; il 71% dei soggetti riferisce di avere un talento artistico (musica, pittura, disegno, scrittura) e riuscire ad immedesimarsi nelle vesti altrui.

In conclusione, fantasticare e l’utilizzo della fantasia possono aiutare a risolvere problemi, possono stimolare la creatività ed ispirare opere d’arte e scienza, ma, quando diventano compulsivi, le conseguenze possono essere estremamente dannose (Glausiusz; 2011).

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