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Tribolazioni 05 – Gli Antigoal

Gli Antigoal: Un modo semplice di rendersi difficile il cammino dell'esistenza è decretare assolutamente impraticabili certe zone.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 22 Apr. 2013

Aggiornato il 26 Lug. 2024 11:43

Gli antiscopi: ”fuggire da…”

LEGGI L’INTRODUZIONE ALLA MONOGRAFIA

Un modo semplice di rendersi difficile il cammino dell’esistenza è decretare assolutamente impraticabili certe zone. Esempi:

  • Mai da solo.
  • Tutto piuttosto che omosessuale.
  • Meglio morire che trasgredire una regola.
  • Non sia mai che qualcuno non sia contento di me.

Il sistema di scopi con la sua organizzazione gerarchica guida il comportamento e le emozioni segnalano se ci si sta avvicinando o meno agli obiettivi cogliendo gli indicatori di successo o fallimento (Gordon 1987;Ledoux 1996; Oatley, Johanson- Laird 1987).

Il comportamento degli umani e dei viventi più in generale è utilmente descrivibile con la categoria del “perseguire”. Questa attitudine a leggere teleologicamente gli eventi è così efficace e utilizzata per spiegare e prevedere il comportamento dei viventi che spesso viene impropriamente estesa per trovare il senso di eventi naturali e accadimenti che non ne hanno alcuno.

Alcune delle persone che tribolano hanno, al contrario, la tendenza ad impostare il problema  dei loro obiettivi  in termini negativi. Piuttosto che definire cosa vogliono ottenere hanno maggiore facilità ad identificare cosa  evitare. Non sono rappresentati gli “stati desiderati” ma piuttosto gli “stati temuti”.

Il movimento generale invece di essere un “perseguire” diviene piuttosto un “fuggire da….”. Perché questo avvenga non è del tutto chiaro, ma possiamo immaginare che una tale strategia sia vantaggiosa di fronte a pericoli che rappresentino minacce definitive e senza appello per la sopravvivenza. In situazioni del genere non si tratta di perseguire alcunché, quanto piuttosto di conservare la possibilità che ci sia un futuro in cui poter scegliere cosa perseguire. È utile dunque che ci sia un temporaneo stand-by di tutto il sistema motivazionale e tutte le risorse siano concentrate sul garantirsi un possibile futuro.

La domanda immediatamente seguente è “perché alcuni tendono a percepire come una minaccia catastrofica eventi che non sono oggettivamente connessi con la sopravvivenza e che la maggior parte degli esseri umani si limita a considerare sgradevoli adottando di conseguenza la politica della fuga con eccessiva frequenza?” La risposta che ho sostenuto occupandomi della stessa questione nell’ambito della psicopatologia franca (dai disturbi d’ansia al delirio) è che un certo stato sarà considerato catastrofico e dunque da evitare a ogni costo se, oltre ad essere l’opposto di uno stato desiderato, è anche scarsamente costruito nella mente del soggetto (Lorenzini , Sassaroli  2000; Coratti, Lorenzini 2008).

Gli antiscopi: la paura dell’ignoto

Sostengo dunque che la più grande paura sia quella dell’ignoto. Il sistema cognitivo sviluppatosi con lo scopo di fare previsioni sulla realtà avverte che potrebbe trovarsi in una situazione in cui non sarebbe in grado di prevedere alcunché. Prevede il suo stesso annichilimento, il crollo catastrofico della capacità predittiva.

È per questo motivo che gran parte delle condizioni che si ritengono intollerabili quando viste in anticipo o dall’esterno (lutti, gravi malattie, perdite, menomazioni, ognuno ha le proprie) cessano di essere tali, pur restando assolutamente sgradite, quando trovandosi a viverle divengono necessariamente più conosciute.

In questa sede tuttavia non ci interessa il perché si utilizzi il meccanismo del fuggire invece di quello del perseguire quanto piuttosto esaminare in che modo esso sia motivo di tribolazione. Potrebbe infatti sembrare che  perseguire A o fuggire non-A sia la stessa cosa. O, per liberarci dei simboli alfanumerici, che voler essere ricco equivalga a non voler essere povero. In realtà non è affatto così. Ciò per varie ragioni:

  • lo scopo di essere ricco può essere perseguito in alcuni momenti e accantonato in altri in cui si ritenga più importante e/o più facile o utile perseguire altri scopi. Al contrario se l’essere povero è vissuto come una tragedia definitiva e senza appello dopo la quale non ci sarebbe null’altro, il fuggire da tale pericolo non può mai essere accantonato. Ha sempre una priorità assoluta e non graduabile. Dunque formulare uno stato temuto piuttosto che uno stato desiderato fa sì che esso monopolizzi tutto il sistema  e tiranneggi tutti gli altri scopi rispetto ai quali diventa una condizione propedeutica con budget di spesa di risorse illimitato.
  • Ancora, se lo scopo è quello di essere ricco posso avere degli indicatori di raggiungimento parziale (ad esempio il numero di zeri del conto in banca o il valore degli immobili posseduti) che generano emozioni positive e contemporaneamente riducono l’urgenza di puntare tutto su tale perseguimento liberando risorse per altri impieghi. Al contrario se il timore è quello di diventare poveri come posso mai essere al sicuro? Nessuna ricchezza garantisce dalla possibile improvvisa perdita di tutto per eventi catastrofici così come un buon tracciato elettrocardiografico è un segnale di buona salute in quel momento ma predice molto poco sulla possibilità di morire di lì a pochi minuti per le cause più varie. Dunque uno scopo espresso in negativo con il suo opposto non è mai definitivamente raggiunto e resta sempre attivo a segnalare un possibile pericolo. Non si può mai abbassare la guardia, con i costi che ciò comporta, perché non c’è alcuna garanzia che ciò che non è mai avvenuto non avvenga da un momento all’altro.
  • Inoltre la graduabilità di uno scopo espresso in negativo è molto più difficile. Si può facilmente stabilire chi sia più ricco tra due o più persone, così come si può stabilire se si è più ricchi di tre anni prima. Ma non è altrettanto facile stabilire tra più persone non chi sia meno povero (in quanto si potrebbero usare gli stessi criteri precedenti), quanto piuttosto (si faccia attenzione alla differenza) chi sia più certamente sicuro di non precipitare in povertà.

In conclusione, uno scopo espresso in negativo è malamente graduabile, mai raggiunto definitivamente, sempre attivo. Perciò dà origine a ricorrenti valutazioni di precarietà associate a emozioni di allarme e monopolizza tutte le risorse del sistema trasformando in casi estremi  un sistema a scopi terminali  multipli e positivi in un sistema guidato da un solo antiscopo negativo.

Gli antiscopi: il mondo della fuga e quello del perseguimento

Riepilogando:

  • la polarità opposta dello stato desiderato S’ oltreché non desiderata è praticamente sconosciuta
  • lo scopo S’ è formulato come antiS’
  • antiS’’ non è graduabile
  • antiS’’ è sempre attivo
  • antiS’ genera un continuo stato di allarme-
  • antiS’ diventa precondizione di tutti gli altri scopi.
  • antiS’ diventa l’unico scopo del sistema che si impoverisce.

Detto in altre parole. Il mondo della fuga è totalmente diverso da quello del perseguimento. Nella fuga non si inseguono successi, ma si cerca di evitare i fallimenti, i rovesci. Si fantasticano inorridendo tutti i dirupi in cui si può sprofondare a ogni disattento passo: diventare poveri e non avere di che mangiare, essere deriso e disprezzato da tutti, finire solo e abbandonato.

Nel caso si cerchi di evitare i dirupi il cammino non sarà spedito. Non si sa bene dove essi siano. Sono molteplici e nascosti. Il fatto di averli evitati fino a quel momento non da alcuna garanzia che il prossimo passo non precipiti giù ponendo fine a tutto.

L’incedere è dunque incerto, il senso di minaccia sempre presente.  Si può vivere cercando la caverna del tesoro oppure fuggendo dalla propria stanza 101. La stanza 101 nel romanzo di George Orwell “1984: nel duemila non sorge il sole” è la stanza dove finiscono i dissidenti del regime dittatoriale che hanno resistito a tutte le sale delle terribili torture convenzionali. Se hanno resistito alle scosse elettriche sui genitali, se non hanno ceduto all’estirpazione delle unghie, se hanno penzolato per ore appesi per i capezzoli ma non hanno abiurato dando una lezione di coerenza a Galileo. Ancora non hanno fatto nulla. Li aspetta la loro stanza 101 dove c’è la loro personalissima paura.

Se hanno paura di essere sodomizzati nella stanza 101 troveranno delle supposte di emmental che saranno introdotte subito prima di legarli a un secchio pieno di ratti mantenuti a digiuno da una settimana. Di fronte alla stanza 101 tutti ritrattano, diventano delatori, fanno i nomi e si raccomandano come bambini di fronte al Bau Bau.

È importante conoscere la propria stanza 101. Per alcuni ci sono le bare dei figli. Per altri l’incontro con un Dio furente con i tratti del proprio padre. Per altri ancora  la stanza è vuota, non c’è nessuno e proprio in questo consiste la sua mostruosità. Alcuni invece la temono piena di gente che li osserva mentre rossi dalla vergogna si lordano dalla vita in giù con i propri escrementi.

Se per sbaglio si entrasse nella stanza 101 di qualcun altro, probabilmente non ci si accorgerebbe neppure dell’orrore che lui vi vede. Che c’è di terribile in quel palco di concerto? Cosa può spaventare negli occhi invitanti e ammiccanti di una donna bellissima? O nella macchina ribaltata accanto al corpo di un ragazzino sconosciuto morto con il suo cane al guinzaglio.

Gli antiscopi: divieti di “essere” in un certo modo

Poiché ritengo che questa modalità perversa di ribaltare il sistema di scopi in antiscopi sia la strada maestra che conduce alle tribolazioni, voglio dedicargli altre parole.

Un modo semplice di rendersi difficile il cammino dell’esistenza è decretare assolutamente impraticabili certe zone. Esempi. Mai da solo. Tutto piuttosto che omosessuale. Meglio morire che trasgredire una regola. Non sia mai che qualcuno non sia contento di me.

Attenzione non si tratta di preferenze espresse in positivo che costituirebbero delle linee guida esistenziali, ma divieti di “essere” in un certo modo spesso di origine familiare o culturale. I tanti divieti finiscono per essere limitrofi e il cammino diventa uno slalom tra paletti strettissimi, sempre con il terrore di sconfinare in un’area proibita.

Il vero guaio che ciò comporta è  la vita sacrificata come un piede in una scarpa troppo stretta.  Un’esistenza di evitamenti e fughe. Una vita in difesa e la sorpresa e il rimpianto quando si scopre, finiti inavvertitamente in una zona proibita, che non succede proprio nulla e si è fuggiti inutilmente dimenticandosi di vivere per salvare la pelle. (Buzzati “Il colombre” 1956) Si poteva allungare la mano e cogliere il frutto proibito senza alcuna cacciata, ma si è stati obbedienti. A chi poi?

Esistono accreditate teorie secondo le quali: “Non si fugge perché si ha paura, ma si ha paura perché si fugge”(Krohne 1993; Ledoux 1996; Oatley, Johanson Laird 1987). Le gazzelle che hanno voluto verificare sperimentalmente tale ipotesi hanno effettivamente provato un senso di grande serenità restando immobili di fronte alla leonessa che le annusava ma non hanno avuto modo di trasmettere geneticamente tale apprendimento ad una ricca figliolanza.

Tuttavia ciò è certamente vero soprattutto tra gli uomini i cui pericoli da fuggire non sono così reali. Si fugge di fronte alla possibilità di una brutta figura. Al cospetto di un possibile giudizio in un aula universitaria o in letto d’amore.

La fuga ha buon esito e ciò che si temeva non si verifica. Così si impara che fuggire è cosa buona (Castelfranchi, Mancini, Miceli 2002; Perdighe, Mancini 2008) e si può fuggire per tutta la vita  correndo incontro alla morte in paziente attesa a Samarcanda, come racconta la canzone di Roberto Vecchioni.

Ma fuggire non risolve la paura, semplicemente la rimanda e  rafforza. Come sarebbe terribile se prima o poi accadesse l’evento temuto. E poiché nulla può escluderlo con certezza, la paura continua ad ardere sotto la cenere superficiale per riaccendersi di fronte al prossimo esame o all’ennesimo letto.

Per eliminarla occorrerebbe sperimentare davvero la cacciata dall’aula con il professore indignato e il braccio teso ad indicare la porta, tra il brusio derisorio dei colleghi superstiti e scoprire che si è vivi lo stesso, che il sole continua a sorgere, alle consuete ore ci torna la fame ed il bagno ci chiama con la consueta puntualità, sconosciuta agli stitici.

Occorrerebbe vivere quel momento tanto rimuginato in cui lei si alza dal letto e coprendosi con il lenzuolo si dirige verso il bagno piangente e sprezzante. Allora si potrebbe scoprire che non si ha bisogno del suo voto. Che la primavera tornerà ad arrivare. E, forse, che a tante altre si può piacere così, goffi e impacciati. E se pure non si piacesse a nessuna, si sarebbe comunque sempre in buona compagnia con se stessi. A rischio di fare peccato (Baldini 2004).

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