Di Barbara Stefania Comerci
Andrea Bassanini
La dott.ssa Simonetta promuove un nuovo modello teorico sui DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) che sembra far emergere interessanti spunti di riflessione sul piano diagnostico, riabilitativo e sulla reale possibilità di prevenzione di tali disturbi. Abbiamo provato ad approfondire, attraverso un’intervista, tale modello.
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Elena Simonetta (psicologa psicoterapeuta, psicomotricista neurofunzionale, psicotraumatologa, EMDR consultant) studia, cura e si occupa da molti anni delle problematiche relative ai disturbi dell’apprendimento. Autrice di numerosi volumi che trattano questa tematica, la dott.ssa Simonetta promuove un nuovo modello teorico sui DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) che sembra far emergere interessanti spunti di riflessione sul piano diagnostico, riabilitativo e sulla reale possibilità di prevenzione di tali disturbi. Grazie alla disponibilità della dott.ssa Simonetta abbiamo provato ad approfondire, attraverso un’intervista, tale modello.
Dott.ssa Simonetta, può spiegare brevemente ai lettori di State of Mind la sua teoria sui DSA?
Il modello a cui faccio riferimento nel mio lavoro con i bambini con DSA è un modello multifattoriale funzionale, che attinge per quanto riguarda gli aspetti affettivi, dalla teoria cognitivo-evoluzionista, dalla teoria dell’attaccamentodi Bolwby e dal pensiero psicanalitico di Winnicot.
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Questa teoria attribuisce a molti fattori, oltre che a una predisposizione genetica, l’origine dei disturbi dell’apprendimento; in particolare l’inadeguato o carente funzionamento del Sistema Nervoso Vestibolare diventa l’elemento responsabile del disfunzionamento delle aree corticali preposte alla realizzazione della transcodifica per la lettura e la scrittura.
Gli aspetti funzionali carenti che si individuano nelle persone con dislessia, disortografia, disgrafia e una parte di discalcolia, riguardano infatti difficoltà attenzionali, deficit a livello di decodifica fonetico-fonologica, mancata affermazione di una prevalenza motoria sottocorticale stabile e coerente, problematiche a livello di orientamento spaziale, di equilibrio posturale e carente organizzazione della motricità visiva.
In generale, il modello individua due tipi di DSA: uno legato ad aspetti funzionali, parliamo quindi di problemi di codifica e decodifica dei suoni in lettera e viceversa, cioè quelli che riguardano l’aspetto della transcodifica del codice sonoro; un secondo tipo di natura cognitiva, legato a difficoltà di percezione, di rappresentazione, astrazione, memorizzazione, logica.
Queste diverse tipologie di DSA non dovrebbero essere confuse come spesso avviene. I disturbi specifici dell’apprendimento noti, cioè la dislessia, la disgrafia, la disortografia e gli aspetti spaziali della discalcolia appartengono al primo tipo di disturbi funzionali, mentre la meno nota, la disgnosia, individua le carenze di tipo cognitivo.
La dislessia è un ostacolo che infastidisce l’apprendimento, ma non lo disturba al punto da impedirlo, come succede invece con la disgnosia. Prova di ciò sono l’infinità di persone affette da dislessia che si laureano in discipline anche impegnative in cui ci vuole uno studio rigoroso, mentre i soggetti che presentano una disgnosia, non solo non riescono a laurearsi, ma spesso vanno a far parte delle persone che abbandonano prematuramente gli studi e la scuola.
Spesso vengono in consultazione, per una diagnosi di DSA, soggetti che non hanno problemi nell’ambito delle modalità di transcodifica dei codici, ma che non comprendono nulla o molto poco di ciò che ascoltano a livello verbale. Allora ci si chiede: come può avere un disturbo di transcodifica un soggetto che legge in modo adeguato, ma che non comprende ciò che sente oralmente? Inoltre, i soggetti dislessici con difficoltà di transcodifica e di codifica sonora spesso non hanno problemi di apprendimento, ma solo una lettura lenta e poco fluida.
Parliamo proprio della disgnosia. Nel suo ultimo libro “Trauma e disturbi di apprendimento. La disgnosia quale adattamento al trauma” (2012) sembra avanzare l’ ipotesi dell’esistenza di un “disturbo generale dell’apprendere”. Ci può spiegare meglio in che cosa consiste?
Il termine disgnosia indica una difficoltà a conoscere o apprendere che può derivare da un’incompleta integrazione psiche-soma collegata a ritardo psicomotorio, ritardo delle funzioni psicolinguistiche, ritardo nella evoluzione della rappresentazione mentale, elemento che collega il linguaggio allo sviluppo psicomotorio; inoltre sono spesso carenti anche le modalità logiche e di astrazione.
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Altri aspetti che caratterizzano la difficoltà ad apprendere dei soggetti disgnosici sono la difficoltà di attenzione e concentrazione, labilità mnestica, scarsa autonomia, incoerenza e frammentazione nei processi di pensiero, comorbilità con disturbi somatici e della sfera emotivo relazionale. Dalle narrative dei genitori e degli insegnanti la sintomatologia che emerge è la difficoltà nell’apprendere i contenuti delle differenti materie scolastiche, parlano spesso di una sorta di atteggiamento ipoattivo nei confronti di stimoli esterni che viene spesso identificato dagli adulti come “pigrizia”.
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La disgnosia è proprio un esito, in ambito cognitivo, di quei traumi che vengono riconosciuti come traumi dell’attaccamentoe quindi inducono uno sviluppo traumatico infantile, che condiziona pesantemente l’evoluzione del soggetto direttamente a livello del comprendere e dell’apprendere.
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Quando la difficoltà a conoscere deriva da un carente sviluppo delle funzioni psicomotorie/rappresentative e psicolinguistiche, il punteggio del Quoziente Intellettivo è relativamente basso ma nella norma, oppure c’è una differenza significativa tra “verbale” e “performance”.
Inoltre il termine disgnosia vuole includere anche le difficoltà a conoscere di quei soggetti che hanno un buon punteggio nel Q.I. ma che, nonostante questo, non riescono ad apprendere, in quanto le funzioni cognitive sono inibite da esiti traumatici e dagli effetti ripetitivi legati alla mancata elaborazione di emozioni veementi o disfunzionali.
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Parlo di trauma cosiddetto a t piccolo cumulativo o a T grande. I traumi come la mancata affermazione della prevalenza motoria naturale, portano verso disturbi più funzionali come la dislessia. Invece traumi più profondi riguardanti l’identità, ma soprattutto l’attaccamento, portano verso la disgnosia.
In una ricerca del 2011, in attesa di publicazione, abbiamo evidenziato come l’attaccamento insicuro o disorganizzato sia l’elemento che rende un soggetto dislessico anche un soggetto disgnosico.
Che ruolo ha, nel suo modello, la storia di attaccamento di questi bambini?
Il possibile collegamento tra i traumi dell’attaccamento e i DSA, la disgnosia in particolare, va ricercato a livello di presenza precoce nel sangue di eccessive quantità di neurotrasmettitori quali l’adrenalina e la noradrenalina, presenza dovuta alla secrezione peritraumatica di queste sostanze, che quando il bambino è molto piccolo possono incidere negativamente sullo sviluppo delle altre aree del cervello deputate alle funzioni di base e a quelle superiori. Le funzioni di base sono collegate all’esperienza motoria del soggetto, parliamo di sensazione, percezione, rappresentazione mentale, attenzione; per le funzioni superiori ci riferiamo alle capacità di astrazione, simbolizzazione, memorizzazione e logica, che necessitano del supporto linguistico.
Infatti, gli esiti di esperienze traumatiche e emozioni violente come paura e ansia in tenera età, diciamo prima dei 6 anni, se collegate a fenomeni di abbandono precoce o di confusività eccessiva, si manifestano proprio a seguito della secrezione dei relativi neurotrasmettitori nel cervello. Gli effetti di una eccessiva presenza di neurotrasmettitori possono coinvolgere anche aree cerebrali quali il giro del cingolo, il fascio arcuato, l’area di Wernike, oltre alle aree preposte alla codifica e decodifica fonetica, organizzando i circuiti mnestici automatici base della memoria implicita in modo difettoso, in modo inefficace. Basta prendere gli ultimi libri di Schore e della Hart nei quali hanno accertato che in un bambino eccessive dosi di adrenalina e noradrenalina portano ad un disfunzionamento del cervello.
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Liotti e Farina inoltre definiscono come strategie controllanti gli esiti traumatici a livello di comportamento dei soggetti in età infantile, per adattarsi e resistere agli effetti dolorosi di un attaccamento insicuro o disorganizzato. Altri autori come Fonagy, Siegel, Pat Ogden, Shapiro dimostrano come gli esiti dei traumi possono cambiare la vita delle persone; nella teoria multifattoriale dei DSA la disgnosia viene indicata proprio quale strategia controllante cognitiva, tramite la quale il soggetto riporta su di sé quelle cure genitoriali e quell’attenzione che gli sono mancati precocemente a livello relazionale.
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Che cosa aggiunge la sua teoria sui DSA alle conoscenze attualmente presenti nella letteratura scientifica?
Di sicuro si integrano alcuni aspetti nella diagnosi. Anche stamattina ho visto una valutazione per DSA che comprendeva la WISC, prove MT, correttezza e velocità e basta. Io aggiungo un’esplorazione su altri aspetti; avere degli indicatori come quelli studiati sul piano cognitivo è utilissimo, ma è come fare una fotografia del bambino che dopo qualche mese può già essere cambiata. Questi altri indicatori che rientrano nella multifattorialità dei DSA danno un quadro che non cambia neanche dopo un anno se non si fa un intervento specifico.
Ci sono degli elementi, come la mancata affermazione della prevalenza motoria naturale, che danno informazioni importanti. La ricerca svolta insieme all’ospedale San Gerardo di Monza e l’ospedale Don Gnocchi di Milano ci ha fatto vedere come una percentuale altissima, si parla del 98% dei soggetti con DSA, non hanno affermato la prevalenza motoria naturale, cioè usano per scrivere la mano e l’occhio non geneticamente prevalenti. Allora da qui l’ipotesi che se una persona nasce con un livello tonico muscolare più forte da una parte rispetto all’altra e l’ambiente esterno contrasta con questo dato genetico facendo utilizzare al soggetto la parte meno forte, meno capace, ecco che compare una quantità enorme di soggetti con disturbo specifico dell’apprendimento. Tutto ciò ovviamente non riguarda la disgnosia, ma la dislessia, la disortografia e la disgrafia.
Cosa si può fare invece sul piano preventivo e riabilitativo con questo dato?
E’ utile a livello preventivo individuare, nei bambini che frequentano la scuola materna, l’emisoma prevalente, cioè quale dovrebbe essere l’occhio e la mano con i quali farlo accedere al mondo del grafismo, della scrittura. Inoltre, grazie ad un lavoro di Carlo Aleci, medico oculista presso l’Ospedale Gradenigo di Torino, sulla “visione” del soggetto dislessico, si teorizza che il soggetto tende a perdere l’orizzontalità della spaziatura della scrittura per vedere alcune lettere totalmente in verticale e che scompaiono quindi dalla vista dell’occhio.
Allora, c’è una grossa componente di motricità visiva e percezione visiva nella dislessia, che la rende più come un disturbo di matrice motoria oculare che non di matrice linguistica, anche se è vero che al disfunzionamento della motricità oculare si accompagna una dispercezione di tipo fonetico/fonologico; ma, i muscoli tonici che risultano scoordinare la motricità oculare trovano corrispondenza in una disorganizzazione tonica dei muscoli che si trovano all’interno dell’orecchio che organizzano l’attività del sistema vestibolare e quindi il filtro fonetico.
Un inquadramento tale dei DSA permette di ipotizzare percorsi riabilitativi specifici per ogni problematica, quella relativa agli aspetti sonori vestibolari, quella relativa agli aspetti di motricità visiva, ecc. In sostanza si può preparare un reale programma di prevenzione prima dell’ingresso nella scuola primaria, si può intervenire con percorsi che favoriscano il funzionamento del sistema vestibolare, e l’arricchimento percettivo…prevenzione che fino adesso non è stata fatta perché si parla solo dell’aspetto genetico.
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Parlando invece del percorso di cura e riabilitazione esso diventa particolare per i soggetti con DSA perché è diversificato a seconda che si tratti di un disturbo di tipo funzionale o di tipo cognitivo. La metodologia che si può utilizzare è la metodologia psicocinetica del TEP-RED (Trattamento Elettivo Psicocinetico Riabilitativo Efficace DSA), che consente di ridurre gli effetti del disfunzionamento vestibolare e consente al soggetto di compensare o eliminare le difficoltà di codifica e decodifica fonetica.
I soggetti con disgnosia hanno bisogno invece di una psicoterapia detraumatizzante, come l’EMDR o la Sensorimotor Therapy, per affrontare in seguito un percorso di riabilitazione cognitiva tramite il TEP-RED nei suoi aspetti cognitivi oppure la metodologia di Feurstein per il miglioramento del potenziale cognitivo.
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In generale, quindi, quali sono le implicazioni sul piano clinico?
Per prima cosa, la possibilità di realizzare delle diagnosi precise e corrette sul rapporto causa-effetto rispetto alla molteplicità dei fattori coinvolti. Il clinico così può differenziare un disturbo funzionale, collegato ad aspetti di transcodifica, nella lettura, scrittura e calcolo, da un disturbo di matrice prevalentemente cognitiva; inoltre può riconoscere quando questi disturbi si presentano isolatamente, oppure associati e in questo caso determinando la forma più grave del problema.
Secondo, si possono orientare i soggetti a percorsi riabilitativi mirati al recupero delle differenti specificità che concorrono nel determinare lo specifico disturbo di apprendimento.
Il terzo contributo è rappresentato dalla possibilità di organizzare una reale prevenzione nella scuola dell’infanzia e nei primi anni di quella primaria di cui abbiamo già parlato.
Ovviamente anche per i genitori dei soggetti con disgnosia è necessario affrontare un percorso psicoterapeutico per riconoscere gli effetti e ridurre quelle che sono le implicazioni transgenerazionali relative alla mancata risoluzione di eventi traumatici o stressanti che hanno accompagnato la loro genitorialità e le modalità di attaccamento con i figli.
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Cosa può fare la scuola nella cornice del modello di multifattorialità dei DSA?
La distinzione dei DSA funzionali e cognitivi consente di capire quali soggetti possono beneficiare solamente di piccoli accorgimenti sui tempi di esecuzione e accedere ad un programma preciso e regolare rispetto alla classe, e quali sono i soggetti che hanno un disturbo cognitivo per i quali è necessario che la scuola pensi e provveda a percorsi cognitivi individualizzati ma soprattutto a lavorare sul recupero delle funzioni e contenuti carenti…e questa funzione di recupero oggi non è offerta dalla scuola. Il bambino disgnosico arriva ad esempio in quinta elementare… magari è anche dislessico e quant’altro, ma ha delle lacune nell’apprendimento del programma di prima, di seconda, di terza e di quarta.
Come fa a svolgere il programma di quinta? Dove ha le basi per costruire gli apprendimenti precedenti? Allora, per un soggetto di questo tipo, la scuola può essere aiutata a riflettere su programmi di recupero dei contenuti persi. A volte il programma ridotto individualizzato non è sufficiente perché i soggetti disgnosici non hanno delle conoscenze perché bloccate da lacune pregresse, cioè non hanno gli strumenti per costruire l’apprendimento. Questi bambini spesso hanno la diagnosi di dislessia ma il motivo per cui non apprendono non è la dislessia ma la disgnosia.
Vi sono i casi in cui i bambini emergono per la dislessia; in alcuni casi non emergono i bambini dislessici perché hanno solo la dislessia, e a volte si vedono i disgnosici che non avendo la diagnosi di dislessia, vengono inquadrati nei disturbi aspecifici, o addirittura non vengono inquadrati, ma hanno problemi di apprendimento più gravi dei disturbi specifici di apprendimento. E tutte queste persone di cui stiamo parlando hanno, in genere, un Quoziente Intellettivo nella norma, a volte basso , ma nella norma.
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DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO – DSA – NEUROPSICOLOGIA – TRAUMI – ESPERIENZE TRAUMATICHE – LINGUAGGIO & COMUNICAZIONE – BAMBINI
BIBLIOGRAFIA:
- Simonetta, E. (2011). Esperienze traumatiche di vita in età evolutiva. EMDR come terapia. Franco Angeli: Milano.
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- Bowlby J. (1982) Costruzione e rottura dei legami affettivi Milano: Raffaello Cortina Editore (ACQUISTA ONLINE)
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- Bowlby, J. (1978) Attaccamento e perdita, Vol. 2: La separazione dalla madre,.Torino: Boringhieri Editore
- Fonagy P., Target M. (2001) Attaccamento e funzione riflessiva. Milano: Raffaello Cortina Editore (ACQUISTA ONLINE)
- Fonagy P. (2002) Psicoanalisi e teoria dell’attaccamento Milano: Raffaello Cortina Editore (ACQUISTA ONLINE)
- Hart S. (2011) Cervello, attaccamento e personalità Roma: Astrolabio Editore
- Liotti G., & Farina B. (2011) Sviluppi traumatici. Milano: Raffaello Cortina Editore (ACQUISTA ONLINE) – LEGGI LA RECENSIONE SU STATE OF MIND
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- Siegel D.J. (2009) Mindfulness e cervello. Milano: Raffaello Cortina Editore.(ACQUISTA ONLINE)
- Winnicott D.W. (1991) Dalla pediatria alla psicoanalisi. Firenze: Martinelli Editore