Doppia Recensione del Film Bed Time (2011): la condanna dell’altrui felicità. Due spettatori per un film, due prospettive che si intersecano.
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La prospettiva di Gianluca Frazzoni: La rivendicazione della felicità
Bed Time, thriller del 2011 diretto dallo spagnolo Jaume Balaguerò, sviluppa con discreta solidità narrativa il tema del disagio psichico che spinge un individuo a farsi persecutore di una vittima designata.
Siamo in un palazzo di Barcellona e il protagonista è il portiere le cui morbose attenzioni si concentrano su una ragazza: nulla di diverso da altri racconti, si direbbe, ma in questo caso la follia nasce dalla felicità, quel sentimento che la giovane donna esterna in ogni atteggiamento e l’uomo non riesce a perdonarle. Si contrappongono una percezione della vita quasi acritica, il sorriso come mood unificatore dell’esperienza, e una realtà di muta disperazione, un vuoto esistenziale irrorato di rabbia montante. Ogni sera il portiere penetra nell’appartamento della ragazza, ne irrobustisce il sonno col cloroformio e diventa parte del suo mondo, presenza sempre più inevitabile e dispotica.
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Il film Bed Time percorre i sentieri della notte e del sonno, generando l’inquietudine dell’ignoto che si verifica ad insaputa della vittima; nulla è come sembra di giorno, nulla rimane del silenzioso sopruso finché la trama non imbocca la via della graduale scoperta. Ci si può sentire distrutti per la felicità di un altro? Si può pianificare la sua rovina solo perché incapaci di sopportare la propria solitudine? Bed Time suggerisce che la rabbia dell’esclusione dalla normalità immaginata degli affetti, e insieme l’alienazione di una mente ripiegata sulla propria delirante convinzione di un’ingiustizia morale che condanna alcuni esseri umani all’infelicità liberandone altri verso una gioiosa e immeritata leggerezza, possano produrre questo esito patologico. La rivendicazione del proprio bisogno allucinato, provocare nell’altro una sofferenza consolatoria per sé, utilizza il labirinto della persecuzione per costruire un significato di perversa condivisione: fare del male diventa l’unico modo per esserci, l’unica traccia della propria oscurità.
La prospettiva di Silvia Dioni: l‘ottimismo idiota
Forse uno degli aspetti più originali di Bed Time riguarda la posizione che lo spettatore è portato ad assumere rispetto ai due protagonisti; fin dall’inizio è chiaro che il portiere César gioca una partita laida e crudele nei confronti dell’ingenua Clara, eppure non è così automatico, per chi assiste alla vicenda, empatizzare con la vittima. La ragazza, incurante del campionario di dispetti e persecuzioni architettati dall’infame portiere, ostenta infatti per tutta la durata del film una sorta di Sindrome di Pollyanna (o più brutalmente, nella traduzione che ne fa la psicologia cognitiva, un Ottimismo Idiota) che la rende completamente impermeabile anche al più evidente degli indizi.
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La sua fiducia nel prossimo e il buonumore sono talmente esagerati che la giovane finisce per non cogliere mai la reale natura delle situazioni, di cui puntualmente trascura problematicità e pericoli; e a lungo andare questa cocciuta (per quanto involontaria) connivenza con il proprio persecutore rende in qualche modo un po’ odiosa la vittima, e l’accanimento diabolico di César paradossalmente comprensibile.
Questo è forse anche uno degli aspetti di maggior debolezza della sceneggiatura, che in certi momenti zoppica su situazioni francamente inverosimili; il fatto che la ragazza non si accorga mai che qualcuno dorma tutte le notti in casa sua e utilizza il suo bagno; il non cogliere che il portiere si lasci sfuggire di essere al corrente di certi messaggi perversi che la perseguitano sul cellulare e che (fatalità!) risultano partire proprio dal condominio che i due condividono; il rincarare la dose di ottusità fornendogli addirittura informazioni preziose sulle indagini della polizia; il non dubitare del portiere neanche quando, insieme al fidanzato, lo sorprende finalmente in casa sua e scopre sotto il proprio letto un equivoco borsone zeppo di strumenti di dubbio utilizzo.
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La scarsa credibilità della figura positiva amplifica inevitabilmente l’appeal del criminale lucido e scaltro, e incide sulla partecipazione emotiva dello spettatore ai suoi scellerati progetti; César gioca il ruolo più avvincente per complessità e disonestà cosciente, per il suo sadismo egosintonico e la tenacia nel perseguire il proprio originale progetto antisociale, che vede nella distruzione della serenità altrui una strategia vincente (e del tutto insolita) per guarire i propri malumori.
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