Essere Ottimisti Conviene! Una visione del mondo rosea e ottimista è l’arma in più che ci consente di vincere le sfide quotidiane.
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Se prendiamo per buona l’affermazione che ciascuno di noi è vittima della propria mente, allora sarà molto meglio imparare, sin da ora e sin da subito, a vedere il famigerato bicchiere mezzo pieno.
Stando a Tali Sharot, neuroscienziata israeliana ricercatrice all’University College di Londra, infatti, una visione del mondo rosea e ottimista è l’arma in più che ci consente di vincere le sfide quotidiane. Ma, soprattutto, che ci può aiutare a guadagnare di più. Le ricerche condotte e analizzate dalla stessa Sharot sono riuscite a “quantificare” il valore aggiunto di un atteggiamento positivo nella vita quotidiana.
“Il livello di ottimismo di una persona al primo anno degli studi di giurisprudenza ha permesso di predire il suo reddito un decennio più tardi: un piccolo punto in più sulla scala dell’ottimismo valeva 33 mila dollari di più all’anno” scrive la dott.ssa Sharot nel suo ultimo saggio “Ottimisti di natura”, che le è valso la copertina del Time pochi mese fa.
La tesi della Sharot, supportata da risonanze magnetiche che mostrano come funziona il cervello quando semplicemente immaginiamo di agire in modo ottimistico, illustra come gli esseri umani siano naturalmente portati a rifuggire il pessimismo.
“Si è tentati di ipotizzare– scrive infatti – che l’ottimismo sia stato selezionato nell’evoluzione proprio perchè le aspettative positive aumentano le probabilità di sopravvivenza. Il fatto che gli ottimisti vivano più a lungo e godano di una salute migliore, Insieme con le ricerche che collegano l’ottimismo a geni specifici, danno un forte sostegno a questa ipotesi”.
Quasi a dire che l’ottimismo funge da velo che protegge l’essere umano dal cogliere sino in fondo la propria condizione, pena l’estinzione.
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In effetti il ragionamento sembra non fare una piega: “Per definizione, gli ottimisti sono persone che hanno aspettative positive per il futuro. Poiché si aspettano di cavarsela meglio e di essere più sani, hanno meno ragioni soggettive per preoccuparsi e disperarsi e di conseguenza sono meno ansiosi e si adattano meglio a fattori di stress”. Questo li aiuta ad essere più pronti alle richieste dell’ambiente, sociale o lavorativo che sia.
Un circolo virtuoso che genera a sua volta condizioni positive che a loro volta consentono alla persona di vivere in modo soddisfacente.
In psicologia, questo circolo virtuoso (che naturalmente può divenire vizioso e sfociare nel suo opposto) ha un nome curioso e suggestivo: “Profezia che si autoavvera”.
Ne fece un uso magistrale Pat Riley, l’allenatore di basket dei Los Angeles Lakers, che dopo aver vinto l’Nba nel 1987, annunciò pochi secondi dopo che la sua squadra avrebbe senz’altro vinto anche l’anno successivo (evento decisamente raro nella storia dell’NBA), innescando così una spirale di motivazioni, impegno e fiducia che effettivamente portò al raggiungimento dell’obiettivo.
Senza scomodare stelle del basket o presidenti americani, anche noi, nel nostro piccolo, possiamo cercare di realizzare le nostre profezie.
Credere in noi stessi aiuta sicuramente a raggiungere gli obiettivi prefissati. Ma, ancor più importante, consente di sopravvivere ad eventi avversi che – in misura maggiore o minore – siamo chiamati ad affrontare. Come a dire che tra le tante risorse di cui l’essere umano dispone, la condanna all’ottimismo è quella che consente di preservare la specie, a dispetto di tutto.
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L’ottimismo neurologico, come dimostrato dalle ricerche della dott.ssa Sharot, porta anche ad una modificazione misurabile della percezione della realtà. Il cervello umano, infatti, adotta dei piccoli trucchi per far apparire la vita migliore di quella che è in realtà.
I lobi frontali del cervello degli ottimisti sembrano elaborare i dati, utilizzati per prevedere il futuro, selezionando solo quelli positivi, e ignorando quelli negativi. In questo modo i lobi frontali inducono gli ottimisti a pronosticare un futuro migliore. I nostri neuroni, dunque, hanno forzato un po’ la mano per consentirci di evolvere.
Tali Sharot si è occupata di analizzare cerebralmente le differenze e i cambiamenti tra “ottimisti” e “pessimisti”, su come l’attività neuronale sia diversa quando si immagina un futuro positivo o negativo.
La corteccia cingolata anteriore e l’amigdala sembrano essere le parti cerebrali più coinvolte dall’ottimismo o dal pessimismo. L’amigdala è un’area molto importante, deputata anche alla processazione delle emozioni. Non stupisce dunque un’ennesima conferma di una stretta interdipendenza tra emozioni, pensieri e decisioni.
L’ottimismo, o pessimismo, infatti orientano il pensiero umano.
“Il cervello e la mente umana sono orientati a non prevedere il peggio, ma questo è comprensibile perché ci vuole davvero tanto ottimismo per vivere. Se guardiamo la vita per quello che è non c’è molto da stare allegri: si nasce, ci si confronta abbastanza presto con i guai e le difficoltà, si corrono rischi di rimanere ammalati, menomati, morire precocemente e poi comunque alla fine la nostra vita finisce”. Parola del Prof. Bottaccioli, docente universitario e presidente della SIPNEI (Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia). E come dargli torto, in fondo.
L’ottimismo sembrerebbe scritto nei nostri geni, abbiamo detto.
Sorge dunque spontanea la domanda: come è possibile, allora, che esistano i Giacomo Leopardi di turno?
Eventi o circostanze esterne (condizione socio economica, organizzazione famigliare etc.) o fasi della vita particolari (adolescenza e vecchiaia, ad esempio) possono minare l’ottimismo innato e spingere i circuiti cerebrali a lavorare più duramente per mantenere una visione rosea del futuro.
E’ probabile che una visione positiva del futuro sia scritta in qualche modo nel nostro codice genetico, ma che tale “diktat” possa essere poi modificato da circostanze esterne, che possono avere un impatto più o meno profondo sul nostro modo di vivere e sentire.
Sembrerebbe quasi che la Natura abbia pensato in fondo al posto nostro, lasciandoci più che altro la libertà di scegliere di quanto discostarci dal nostro ottimismo di fondo.
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BIBLIOGRAFIA:
- Balocco V., 2012, I consigli della neuroscienziata Tali Sharot per essere ottimisti, Marie Claire.
- Camurri E., 2012, Essere ottimisti è un affare, Corriere della Sera
- Sharot T., 2011, How unrealistic optimism is maintained in the face of reality, Nature Neuroscience 14, 1475–1479.
- Sharot T., 2012, Ottimisti di natura. Perché vediamo il bicchiere mezzo pieno, Apogeo.