Parte I – DATI DI EFFICACIA

Uno studio condotto presso il Dipartimento di Psicologia del London King’s College e pubblicato sulla rivista Brain nel 2011, si è occupato di esaminare tramite neuroimaging la presenza di cambiamenti significativi nella reattività neuronale a stimoli minacciosi, a seguito di un trattamento cognitivo-comportamentale in pazienti affetti da psicosi.

Dei 56 pazienti affetti da schizofrenia con sintomi positivi residui e persistenti, 28 hanno ricevuto un trattamento cognitivo-comportamentale specifico per le psicosi (CBTp) di 6-8 mesi oltre alla regolare somministrazione di farmaci antipsicotici (TAU), mentre gli altri 28 è stato somministrato il solo trattamento farmacologico (TAU). I due gruppi sono risultati omogenei nel corso della valutazione iniziale, relativamente ai parametri clinici e demografici e alle risposte neurali e comportamentali agli stimoli emotigeni (espressioni facciali neutre o minacciose) somministrati durante lo scanning in risonanza magnetica funzionale. I risultati finali hanno mostrato significative differenze tra i due gruppi sperimentali: a) miglioramento clinico nel gruppo sottoposto a trattamento CBTp + farmaci antipsicotici (TAU), con un mantenimento dei cambiamenti al follow-up (6-8 mesi dopo la fine del trattamento); b) il solo gruppo sottoposto a CBTp ha mostrato una ridotta attivazione della corteccia frontale, dell’insula, del talamo e della corteccia occipitale, in risposta agli stimoli percepiti come minacciosi e questa ipo-reattività si è mantenuta stabile anche al follow-up dopo 6-8 mesi; c) la riduzione di reattività corticale in queste aree alla presentazione di volti arrabbiati è risultata altamente correlata al miglioramento sintomatico riferito dai pazienti.

Si tratta del primo studio pubblicato in ambito neuro scientifico che ha dimostrato gli effetti prodotti dalla terapia cognitivo-comportamentale per le psicosi (CBTp) sull’attività corticale: la CBTp abbinata ad una regolare terapia con antipsicotici sembra dunque in grado di attenuare la reattività corticale a stimoli emotigeni e costituisce un trattamento efficace nella riduzione dei sintomi perché promuove una migliore capacità di elaborare e interpretare gli stimoli minacciosi, facendo loro perdere il potenziale stressante.
Il dato clinico interessante è che il protocollo utilizzato dai ricercatori del King’s College London e validato in alcuni precedenti studi degli stessi autori (Kumari et al., 2010), costituisce uno dei pochi strumenti a disposizione di noi clinici per accostarsi alla cura delle psicosi, tutt’oggi considerate patologie destinate alla cronicizzazione e al progressivo isolamento. Lo stesso stigma che colpisce i pazienti affetti da psicosi, coinvolge spesso anche i clinici, le terapie e i protocolli ideati per la cura e il trattamento di queste patologie. Potrebbe essere proprio questo uno dei motivi della loro scarsa presenza nella letteratura scientifica e nei nostri ambulatori.
LEGGI LA PARTE II – Trattamento
BIBLIOGRAFIA:
- Kumari, V., Fannon, D., Peters, E.R., Ffytche, D.H., Sumich, A.L., Premkumar, P., Anilkumar, A.P., Andrew, C., Phillips, M.L., Williams, S.C.R., Kuipers, E. (2011). Neural changes following cognitive behaviour therapy for psychosis: a longitudinal study. Frontiers in Behavioural Neuroscience 4:4, 1-15.
- Kumari, V., Antonova, E., Fannon, D., Peters, E.R., Ffytche, D.H., Premkumar, P., Raveendran, V., Andrew, C., Johns, L.C., McGuire, P.A., Williams, S.C.R., Kuipers, E. (2010). Beyond dopamine: functional MRI predictors of responsiveness to cognitive behaviour therapy for psychosis. Brain, 134, 2396–2407.