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Un giorno di ordinaria Psicosi: I Sintomi Psicotici delle persone sane.

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 29 Nov. 2011

I Sintomi Psictici delle persone sane. - © rolffimages - Fotolia.com Un recente articolo pubblicato sul British Journal of Clinical Psychology ci rassicura sul fatto che noi tutti nella vita abbiamo avuto o avremo, con discreta probabilità, sintomi psicotici di lieve o media entità. Sintomi simil-psicotici quali le voci, sensazioni extra-corporee, visioni religiose o allucinazioni d’altro tipo, non sembrano essere così rari tra la popolazione generale.

Si stima infatti che il 10% di tutti noi senta voci che non esistono, mentre solo una piccola minoranza di questo 10% riceve una diagnosi clinica precisa. Si tratta di un problema sotto-diagnosticato o è possibile non sviluppare un patologia conclamata in presenza degli stessi sintomi?

Charles Heriot-Maitland e colleghi si sono proposti di approfondire questo dato, molto carente in letteratura, intervistando 6 pazienti affetti da psicosi e 6 soggetti non-clinici che avevano però riferito esperienze inusuali di questo tipo. I ricercatori hanno poi sottoposto a tutti i partecipanti delle domande aperte per approfondire, ad esempio, le circostanze legate alle loro esperienze ‘bizzarre’, il vissuto personale ed emotivo legato a queste esperienze e come i loro amici e parenti considerassero questo tipo di fenomeni.
Utilizzando il metodo dell’Analisi Fenomenologica Interpretativa hanno identificato alcuni temi ricorrenti nelle risposte dei partecipanti. In entrambi i gruppi, le esperienze bizzarre sono iniziate a seguito di un periodo emotivamente negativo e difficile, spesso accompagnato da sentimenti di isolamento e profonda contemplazione rispetto al significato della vita. Mentre i due gruppi sono risultati diversi nel modo di percepire e rispondere alle proprie esperienze. Il gruppo “sano” ha mostrato un maggiore tendenza a dare interpretazioni non-mediche ai propri sintomi, a considerarli di passaggio e talora desiderabili e le persone che hanno vicino tendono a considerarli nello stesso modo.

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Al contrario, i pazienti hanno rivelato una maggiore tendenza a dare interpretazioni mediche delle loro esperienze e mostrato una ridotta capacità di accettare le loro esperienze bizzarre come normali e di inserirle nella routine di vita, sociale e lavorativa.
Lungi dal trarre conclusioni affrettate, Heriot-Maitland e colleghi affermano la necessità di un approccio più rigoroso allo studio delle psicosi, capace di distinguere tra fattori di rischio e fattori di vulnerabilità clinica, sottolineando tuttavia come dai loro dati emerga il dato forte che “..minore è l’attitudine delle persone a riconoscere la loro transitorietà, piacevolezza e benefici, maggiore sarà la probabilità che abbiano conseguenze cliniche dannose”.

 

Sembra dunque di enorme utilità clinica la conclusione dei ricercatori: “La presenza di queste esperienze bizzarre dovrebbe essere normalizzata e le persone con psicosi dovrebbero essere aiutate a ricollegare il significato delle loro esperienze ‘non-ordinarie’ alle emozioni e preoccupazioni esistenziali che le hanno immediatamente precedute”. Insomma, si tratta di costruire un ABC sulle esperienze psicotiche?

Forse non era nelle intenzioni dei ricercatori, ma il panorama cognitivista offre attualmente protocolli e tecniche validate scientificamente, per la cura e gestione dei sintomi psicotici, e appare interessante come la normalizzazione dell’esperienza vissuta e la validazione emotiva, comunemente utilizzate in clinica, siano considerate mezzi potenti anche per questo tipo di patologie.

La speranza per la ricerca futura è di sperimentare nuove metodologie di trattamento in un ambito spesso lasciato nell’isolamento anche da noi clinici, vittime della “credenza dell’incurabilità” per psicopatologie che appaiono così complesse da sembrare incomprensibili, prima ancora che incurabili.

Concludo con le parole di Stanghellini (2008): “La mia tesi è che le voci siano disturbi della coscienza di sé, i cui caratteri fenomenici e la cui genesi divengono più comprensibili se considerati come un modo particolare di emergere alla coscienza del dialogo interiore. […] Laddove in condizioni normali esso è il medium per la rappresentazione di sé, le ‘voci’ nascono dalla sua oggettivazione morbosa: nel fenomeno allucinatorio, il dialogo interiore emerge dallo sfondo della coscienza al suo proscenio e si manifesta in maniera concreta sotto forma di voci aliene”.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

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