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Psiche: dialoghi sulle zone di confine (2014) di L. Aversa, un omaggio a Mario Trevi – Recensione

Un libro omaggio a Mario Trevi, analista junghiano, prolifico autore di opere incentrate su una possibile riforma della psicologia analitica. 

Di Marco Innamorati

Pubblicato il 04 Ott. 2016

Un meritato omaggio a Mario Trevi e al suo gruppo: un’antologia di scritti apparsi sulla rivista Metaxú (1986-1993).

Che un libro si proponga come omaggio a Mario Trevi, compianto analista junghiano scomparso pochi anni fa, costituisce già un grande titolo di merito. L’opera di Trevi, infatti, pur essendo egli considerato in vita un punto di riferimento fondamentale, teorico e clinico, da parte degli psicologi analisti, non ha ricevuto negli ultimi anni l’attenzione che meritava. Mario Trevi fu tra i fondatori dell’Associazione Italiana per lo studio della Psicologia Analitica e poi del Centro Italiano di Psicologia Analitica (le due associazioni junghiane storiche in Italia). Si tenne invece lontano dal mondo accademico, malgrado fosse stato da giovane assistente di Giovanni Bollea. Fu invece prolifico autore di saggi e libri, tutti incentrati su una possibile riforma della psicologia analitica alla quale dette il nome di junghismo critico (Trevi, 1987; 1988).

 

Mario Trevi e Jung

Trevi era convinto infatti che il più importante contributo di Jung alla psicologia del profondo non fosse costituito dalla concezione dell’inconscio collettivo, alla quale il nome dello psicologo svizzero viene usualmente accostato. Ad avviso di Mario Trevi era piuttosto l’apertura ermeneutica, riconducibile a Tipi psicologici (Jung, 1921), ciò che costituiva il motivo di vera originalità dello psicologo svizzero. Jung (1913) fu il primo ad osare affermare che tanto il modello di Freud, quanto il modello di Adler potessero essere ambedue validi, ognuno in un proprio spazio di applicazione. La spiegazione di questo paradosso era che ogni psicologo teorizza solo la propria personale psicologia, o al massimo quella del proprio tipo.

Nel primo, appena abbozzato, schema di Jung, la psicologia adleriana si riferiva al tipo introverso e quella freudiana al tipo estroverso. Nell’opera successiva, moltiplicandosi il numero dei tipi psicologici possibili, aumentava esponenzialmente anche il numero delle possibili psicologie. Onde Jung poté prevedere (correttamente) il moltiplicarsi delle teorie in ambito psicologico.

Secondo Mario Trevi, l’idea che ogni teoria costituisse nulla più che un modello probabile fondava un atteggiamento nuovo in campo psicoterapeutico e contrastava profondamente con l’aspirazione di Jung a individuare negli archetipi dell’inconscio collettivo una base comune per tutti gli esseri umani. Secondo Trevi, anzi, l’idea di una radice inconscia unica costituiva un elemento di contraddizione rispetto all’istanza tipologica e a un (cauto) relativismo.

Jung aveva costruito una psicologia sostanzialmente contraddittoria e si trattava di scegliere a cosa rinunciare. Era perfettamente legittimo costruire, come Hillman, una psicologia archetipica; ma era altrettanto legittimo proporre uno junghismo che si ispirasse piuttosto all’atteggiamento ermeneuticista. In questo senso, Mario Trevi (1986) proponeva anche la valorizzazione della teoria junghiana del simbolo, che veniva visto come elemento psicologico inesauribile e motore del processo di individuazione umano; dove Freud si limita a interpretazioni obiettivizzanti.

 

Mario Trevi e la rivista Metaxù

L’attività di Mario Trevi si è anche dispiegata nella collaborazione con importanti figure della cultura italiana (era uno degli animatori del Circolo Fenomenologico) e nella formazione di altri analisti. Verso la metà degli anni ottanta del Novecento, proprio un gruppo di analisti junghiani legati a Mario Trevi dette vita sotto la sua guida a un’iniziativa editoriale di durata relativamente breve, ma che ha lasciato una traccia importante nella cultura filosofica e psicologica italiana di fine secolo: la rivista Metaxú.

Si trattava di un tentativo di offrire proprio un contributo allo studio del simbolo, in quanto oggetto sfuggente al confine tra varie discipline, partendo dalla comune matrice junghiana dei redattori ma aprendosi al dialogo con studiosi riferentisi a paradigmi molto diversi. La redazione comprendeva nomi già noti nell’ambiente junghiano o destinati a diventarlo, quali Umberto Galimberti, Luigi Aversa, Enzo Vittorio Trapanese, Paolo Francesco Pieri, Angiola Iapoce, Amedeo Ruberto, Paulo Barone, Mauro La Forgia, Maria Ilena Marozza (oltre naturalmente allo stesso Mario Trevi). Nei primi numeri, nel novero dei redattori era anche Alberto Gaston; negli ultimi anche Vincenzo Caretti. Tutti sono stati autori di contributi importanti alla psicologia analitica e non solo. Alcuni di loro, sotto la direzione di Pieri, hanno contribuito in seguito alla nascita di Atque, altra rivista storica in posizione di dialogo tra filosofia e psicologia.

Molti numeri di Metaxú proponevano, oltre a contributi di membri del gruppo redazionale, dei dialoghi tra il gruppo stesso e un ospite non-junghiano, scelto tra studiosi spesso esterni al campo psicologico ma interessati nella propria disciplina alla tematica del simbolo. I dialoghi hanno avuto, si potrebbe dire ex post, esiti anche molto differenti.

Ad avviso di chi scrive, i due estremi potrebbero essere rappresentati da Paul Ricoeur e Giovanni Jervis. Il primo ha sicuramente manifestato negli scritti successivi all’incontro con il gruppo di Metaxú un interesse del tutto inedito in precedenza per Jung (Innamorati e Pastore, 2015), proprio per la scoperta di quell’elemento ermeneutico che in realtà è assai più coerente con l’opera junghiana (Trevi e Innamorati, 2000) che con quella di Freud (pur essendo stato Ricoeur uno dei più affermati sostenitori di una lettura ermeneutica della psicoanalisi classica). Jervis è invece rimasto completamente disinteressato alla psicologia analitica anche negli ultimi anni di attività, conservandone l’immagine di una disciplina esoterica e non scientifica.

Psiche: dialoghi sulle zone di confine costituisce un’antologia di Metaxú basata in modo pressoché esclusivo su dialoghi della redazione con gli ospiti (contiene però anche un’intervista di Aversa a Trevi apparsa invece su Atque). Da un lato l’operazione è giustificata dalla notorietà dei nomi coinvolti (oltre ai due citati, sono presenti Carlo Sini, Virgilio Melchiorre, Franco Crespi, Carlo Tullio Altan, Pier Aldo Rovatti, Pietro Prini, Renato Tagliacozzo). D’altra parte è abbastanza incomprensibile come si sia scelto di omettere del tutto i contributi di un gruppo culturalmente importante e coeso, la cui originalità non potrà essere certo compresa a partire dalle domande rivolte ai pur illustri personaggi coinvolti.

Il proverbiale bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto può essere un’immagine banale quanto rispondente all’esito di questa selezione: un’iniziativa editoriale meritoria, della quale la casa editrice Fattore Umano va calorosamente ringraziata; iniziativa che però poteva essere sfruttata meglio. A meno che non si pensi di proporre un volume secondo che colmi le lacune del primo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Innamorati, M. e Pastore, L. (2015), Il buon uso dei fantasmi. Ricoeur e la versione ermeneutica della psicoanalisi, oltre Freud e verso Jung
  • Jung, C. G. (1913), Sulla questione dei tipi psicologici, in Id., Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1965-2007, vol. 5.
  • Luigi Aversa (a cura di), Psiche: dialoghi sulle zone di confine, Fattore Umano Edizioni, Roma 2014.
  • Jung, C. G. (1921), Tipi psicologici, ibid.
  • Trevi, M. (1986), Metafore del simbolo, Raffaello Cortina, Milano.
  • Trevi, M. (1987), Per uno junghismo critica, Bompiani, Milano.
  • Trevi, M. (1988), L’altra lettura di Jung, Raffaello Cortina, Milano.
  • Trevi, M. e Innamorati, M. (2000), Riprendere Jung, Bollati Boringhieri, Torino.
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