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Johnny non sparava: le reazioni aggressive nei combattimenti & le alterazioni psicofisiologiche

La fisiologia del combattimento descrive le reazioni neurali in risposta a situazioni ambientali di conflitto, tra cui l’adattamento immediato e il freezing

Di Redazione

Pubblicato il 07 Ott. 2015

Davide Di Vitantonio, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA

 

E’ possibile distinguere fra “aggressione impulsiva” e “aggressione strumentale”; la prima, è definibile come il comportamento manifestatosi in uno stato di rabbia insorto rapidamente in risposta a un determinato stimolo, mentre la seconda come un comportamento organizzato, goal-directed, non emergente da disfunzioni casuali.

L’aggressione

Per gli archeologi, gli storici e gli studiosi della guerra in generale, risulta sempre bizzarro ammettere, al di là di elucubrazioni astratte, che le azioni violente verificatesi sui campi di battaglia di tutto il mondo siano sempre state messe in atto da esseri umani coscienti e pensanti, e non da qualche misteriosa forza negativa che agiva su di loro sopprimendone il libero arbitrio. In realtà, l’atto aggressivo, si manifesta all’interno di una complessa cornice di variabili che richiedono addestramento, condizionamento e motivazione intrinseca, e le conseguenze a lungo termine dell’atto stesso si ripercuotono direttamente sul sistema cognitivo ed emotivo del singolo (Maguen, Lucenko et al. 2010).

Per semplificare, è possibile distinguere fra “aggressione impulsiva” e “aggressione strumentale”; la prima, è definibile come il comportamento manifestatosi in uno stato di rabbia insorto rapidamente in risposta a un determinato stimolo, mentre la seconda come un comportamento organizzato, goal-directed, non emergente da disfunzioni casuali (Pinker, 2002). Ne segue che considerando all’interno della società, un gruppo a cui si richiede specificamente di agire secondo modalità aggressive e violente, bisogna ammettere che la società di appartenenza richiederà al gruppo stesso di essere perfettamente efficiente nel mettere in atto le azioni descritte, di fare dell’ “aggressione strumentale” un vero e proprio skill da apprendere e utilizzare nel momento del bisogno. In tale situazione, gli istinti aggressivi degli individui selezionati, verrebbero considerati un aspetto accettabile e positivo, se ben controllato e incanalato all’interno di parametri sociali legittimi.

Fisiologia del combattimento

La fisiologia del combattimento (Grossman, 1996) si pone come fine la descrizione delle reazioni neurali in risposta a situazioni ambientali di conflitto, reazioni che vanno dall’adattamento immediato, al freezing, a processi di pensiero distorti e irrazionali. Coniugando il lavoro di ricerca del Tenente Colonnello Dave Grossman, e del dr. Siddle (Siddle, 1995), è possibile distinguere cinque diversi stati di arousal fisiologico correlati ad altrettante frequenze di battito cardiaco.

Come si evince dall’osservazione delle diverse condizioni, lo stato di 175 battiti al minuto è quello maggiormente correlato a reazioni negative. Il deterioramento dei processi cognitivi emerge prepotentemente nei resoconti dei soggetti coinvolti, frasi come “non riuscivo a pensare chiaramente” o “avevo la mente annebbiata” lo descrivono perfettamente, e risultano utili nello spiegare determinati comportamenti irrazionali storicamente accertati in situazioni di forte crisi, si pensi agli atteggiamenti descritti a bordo del Titanic o a chi si trovava all’interno delle Torri Gemelle che per sfuggire a morte certa si gettò nel vuoto. Tutti hanno avuto esperienze di dialogo con soggetti fortemente irritati o spaventati, e non è stato difficile notare come a mano a mano che la paura o la rabbia aumentavano, tanto più il pensiero razionale veniva offuscato. Ne segue logicamente che per gli operatori militari o delle forze dell’ordine, si rende fortemente necessario un realistico e costante addestramento al fine di alterare le naturali risposte psicofisiologiche e mantenere il combattente in una condizione compresa fra la GIALLA e la ROSSA, ovvero modalità di attivazione psicofisiologiche che non conducono al deterioramento dei processi cognitivi ma intaccano leggermente le sole abilità motorie volontarie; per questi motivi un addestramento realistico e continuo, permette di immagazzinare una serie di risposte immediate ed automatiche tali da poter essere messe in atto perfino in uno stato di coscienza alterato dal pericolo.

La scelta di combattere

A causa delle normali reazioni psicofisiologiche allo scontro, è naturale assumere che solo una minima parte della popolazione generale prenderebbe volontariamente in considerazione l’ipotesi di accettare un conflitto diretto. Uno studio di Marshall (1978) condotto sui veterani della Seconda Guerra Mondiale, mostrò che solo il 15-20% dei soldati americani sparava volontariamente a un nemico esposto. Dai moderni studi militari emerge chiaramente come la prossimità del nemico, descritta come distanza spaziale dall’osservatore, sia la variabile determinante nella scelta di attaccare o meno.

Keegan (2004), fece notare come soggetti cresciuti in società pastorali apprendessero fin dalla più tenera età le strategie per uccidere animali senza provare rimorso, così da rendere l’atto di uccidere il più naturale possibile. Da tutto ciò si evince come la riluttanza nell’uccidere un membro della propria specie, sia assolutamente comune persino in chi si trovò a prestare servizio armato nel conflitto mondiale; dove nasce dunque la scelta di combattere?

Ogni volta che ci si trova a fronteggiare un’aggressione, le scelte di azione possibili si riducono a quattro:

1. Combattimento
2. Fuga
3. Sottomissione
4. Minaccia

Le azioni elencate non riguardano solo la sfera del comportamento umano, ma sono comuni in diverse specie, e ciò che distingue il soggetto che sceglie di combattere da quello che assume atteggiamenti remissivi e di sottomissione, è rintracciabile in una complessa struttura di variabili bio-psico-sociali che differenziano enormemente non solo il comportamento dei singoli, ma quelle di intere culture e nazioni.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Neurobiologia e aggressività reattiva e strumentale

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Lt. Col. Dave Grossman. (1996) On killing.Back bay Books.
  • Marco Costa. (2010) Psicologia Militare. Franco Angeli editore.
  • Maguen S, Lucenko B, Reger M, Gahm G, Litz B, Seal K, Knight S, Marmar C. (2010) The impact of reported direct and indirect killing on mental health symptoms in Iraq war veterans. Journal of traumatic stress, 23: 86:90.
  • Pinker S. (2002) The blank slate: the modern denial of human nature. Viking.
  • Siddle B.K. (1995) Sharpening the warriors edge: the psychology and science of training. Human factor Res Group.
  • Marshall SLA. (1978) Men against fire: the problem of battle command in future war. Gloucester, Mass.
  • Keegan J. (2004) A history of warfare. Pimlico.
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