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Cinematerapia & Fondamenti Psicoanalitici

Cinematerapia & Fondamenti Psicoanalitici. Il cinema costituisce un regno tra la realtà che frustra i desideri e il mondo della fantasia che li appaga.

Di Nicola Velotti

Pubblicato il 23 Apr. 2013

Aggiornato il 02 Lug. 2019 12:57

 

 

Cinematerapia & Fondamenti Psicoanalitici. - Immagine: © Yahia LOUKKAL - Fotolia.comCinematerapia & Fondamenti Psicoanalitici. Il cinema costituisce un regno tra la realtà che frustra i desideri e il mondo della fantasia che li appaga.

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Grazie a  Freud e a suoi studi sul significato dell’arte possiamo affermare che il cinema costituisce un regno intermedio tra la realtà che frustra i desideri e il mondo della fantasia che li appaga, un dominio in cui sono ancora sopravvissute le aspirazioni all’onnipotenza dell’umanità primitiva.

Freud non vede nell’arte del cinema, proprio per il suo valore innovatore, una soluzione di compromesso, che invece riscontra nel sogno e nel sintomo nevrotico. Egli non approfondisce la natura di questa particolare attività dello spirito umano, ma grazie alla sua elaborazione degli istinti di vita e di morte, pone le basi per un sua validità terapeutica.

Il fatto che l’arte e in particolare il cinema, inteso come atto di vita, abbia uno stretto rapporto con la morte e con l’esperienza del lutto è un’ipotesi antica, evidenziata dalle origini funerarie e apotropaiche dell’arte. Partendo da questa premessa è, a mio avviso, decisivo l’apporto di  Melanie Klein. Parafrasando la Klein possiamo sostenere  che il mondo del cinema, mondo di “finzione”, si presta alla ricostruzione dell’oggetto perduto estrinsecando un’onnipotenza creativa, insieme illusoria e realistica, proprio perché, attraverso esso, si passa dalla realtà naturale della perdita alla realtà culturale del processo di simbolizzazione.

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La creazione filmica può far rivivere ciò che è morto di una vita del tutto singolare. I singoli fotogrammi, senza struttura formale, sono come lettera morta, ma inseriti nel contesto della struttura filmica diventano creazione, oggetto d’amore privilegiato, e si tramandano da cultura a cultura, da generazione a generazione come trionfo sulla morte.

Il passaggio dal caos al cosmos, tipico di ogni film, contiene in sé una connotazione creativa, cioè il passaggio dalla morte alla vita. Il cinema avrebbe, in modo specifico, la prerogativa di prestarsi ad elaborare la pulsione di morte, proprio perché dà al regista la possibilità di esprimere, in una particolare area di realtà, che è insieme illusoria e reale, la sua creatività.

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Per comprendere, esprimere e superare la sua depressione, elaborarla in un atto creativo, il regista deve, non solo riconoscere, ma anche sopportare l’istinto di morte nei suoi aspetti aggressivi ed autodistruttivi, mostrandosi capace di accettare la realtà della morte, per il suo mondo e per gli oggetti esterni. Prendendo a prestito i contributi di Kris (Kris, 1967; Kris & Kurz, 1980) possiamo sostenere inoltre che il regista  pone, nell’atto della creazione, se stesso al posto del suo pubblico, e si identifica col suo Io e Super-Io.

Il regista non rappresenta la natura, né la imita, ma la crea di nuovo. Con il suo film egli domina la realtà. Rivolgendosi alla situazione che egli intende creare, la fruga con lo sguardo, finché non ne è in pieno possesso; il significato inconscio di questo processo è il bisogno di dominare le cose, a costo di distruggerle. La distruzione della realtà si fonda sulla costruzione della sua immagine: indipendentemente dal grado di somiglianza, la natura è ricreata.

 Come nel regista, anche nel pubblico, si attuano spostamenti di livelli psichici. Lo spostamento procede dalla coscienza, dalla percezione del film, verso l’elaborazione preconscia e le risonanze dell’Es. In una prima fase, l’Io diminuisce il controllo, vale a dire: apre la strada ad un’integrazione dell’Es. Questa fase è principalmente passiva: il film domina il pubblico. Nella risposta del pubblico, c’è inizialmente lo stadio più semplice e meno ambiguo, che può essere chiamato riconoscimento. La situazione ci è nota e la mettiamo in relazione con una traccia mnestica, sia pure leggera; può accadere che si cerchi, prima in modo impercettibile e poi consapevole, di reagire col proprio corpo; oppure può anche accadere che la reazione rimanga inconscia.

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In uno stadio successivo, il pubblico passa da una fase passiva ad una attiva, l’Io afferma la sua posizione nell’atto della ricreazione, il film viene ricreato e la possibilità di rendere consapevoli conflitti inconsci del pubblico è di per se curativa.

Grazie alla rielaborazione dei contributi degli psicoanalisti, da me citati in questo articolo, possiamo attribuire alla cinematerapia una valenza terapeutica. Attraverso l’immaginario filmico gli spettatori entrano in contatto profondo con le proprie emozioni e rielaborano positivamente conflitti interiori.

Consolidano il proprio Io e rendono meno rigido il proprio Super-Io, ottenendo benefici che spaziano dalla sfera affettiva alla sfera individuale ed esistenziale.

 

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BIBLIOGRAFIA:

 

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