La tecnica del Video Feedback dà al partecipante un’opportunità di osservare direttamente il comportamento che egli stesso ha agito nella situazione specifica, favorendo quel cambiamento, che si verifica nei processi di comprensione e di attribuzione, che può realizzarsi nel momento in cui la persona passa da una prospettiva di attore ad una prospettiva di osservatore.
La tecnica del Video Feedback è nata verso la fine del secolo scorso in ambito Psicoanalitico e Gestaltico.
Il video è lo strumento che caratterizza, forse più di ogni altra cosa, la nostra società ed i nostri modelli culturali. Esso può essere strumento della psicoterapia per la sua capacità di mostrare, ad ognuno, se stesso.
Il lavoro psicoterapico mediato dal video rappresenta, quindi, l’articolazione di un procedimento (chiedersi chi si è, come si è, etc.) che è di tutti, e che per tutti ha valore e importanza. La tecnica del Video Feedback dà al partecipante un’opportunità di osservare direttamente il comportamento che egli stesso ha agito nella situazione specifica, favorendo quel cambiamento, che si verifica nei processi di comprensione e di attribuzione, che può realizzarsi nel momento in cui la persona passa da una prospettiva di attore ad una prospettiva di osservatore.
Il Video Feedback nella pratica clinica
Il Video Feedback è definito come una tecnica di osservazione dell’interazione attraverso l’uso di un addestramento assistito (McDonough, 1993). L’ambito applicativo di tale prospettiva è soprattutto quello della psicologia dello sviluppo, della clinica e della ricerca, ambienti in cui si è interessati ai cambiamenti nei comportamenti di cura, al cambiamento più generale delle capacità di auto-valutazione o all’esame dei comportamenti agiti dai bambini “problematici” verso i genitori o gli altri adulti che ne hanno cura (Juffer, Bakermans-Kranenburg e van IJzendoorn, 2005).
L’effetto più drammatico è la reazione che il paziente ha nel momento in cui si osserva nel video, si ottengono dei risultati terapeutici impressionanti. Per questo motivo il video – feedback rappresenta una potente tecnica da usare in terapia o nella ricerca. Infatti, la visione della propria immagine determina rapidi cambiamenti nelle condizioni psicopatologiche, perché indica un maggiore contatto con la realtà.
Vedere se stessi in veste di osservatore, come se ci guardassimo allo specchio, pone maggiore attenzione agli aspetti che giocano un ruolo fondamentale nel comportamento (ad esempio ci concentriamo su quello che consideriamo essere particolarmente bello, brutto o strano).
E’ noto che nella ripresa delle immagini, la destra e la sinistra sono invertite. Questo cambio di posizione gioca un ruolo fondamentale nella propria auto-percezione e nel proprio auto-apprezzamento e può essere vissuto sia come minaccioso sia come piacevole dal paziente, a seconda di come questi ha costruito la sua identità personale. Inoltre, il coinvolgimento legato ad una immagine video può essere trovato nella connessione tra corpo-immagine e concetto di sé. Sentire le sensazioni del proprio corpo e le informazioni propriocettive sono una base importante per la struttura della propria identità.
Con l’utilizzo del Video Feedback, il terapeuta può utilizzare il linguaggio del corpo mostrato per far avere consapevolezza al paziente della risonanza che alcuni gesti possono avere sugli altri, inducendolo a produrre esso stesse delle risposte, quindi per meta-riflettere sui propri stati comportamentali e di conseguenza emotivi.
Tale tecnica offre la rara opportunità di auto-osservarsi per poter riflettere non sulla base di un proprio ricordo, quanto sulle informazioni tratte dalla visione diretta della registrazione del proprio comportamento. Questo processo è guidato e accelerato dagli insight che il terapeuta/ricercatore offre al paziente, portandolo a focalizzare la sua attenzione su alcune sequenze critiche particolarmente informative, accuratamente selezionate per lui. Tale lettura preventiva del materiale facilita e guida il passaggio di ogni partecipante dalla sua originale prospettiva di attore a quella successiva di osservatore e valutatore del proprio comportamento. Ciò al fine di favorire la possibilità di auto-correzione implicita in questa prassi di intervento.
Oltre a tale aspetto di facilitazione delle capacità spontanee di riflessività del paziente, il video-feedback offre anche utili elementi, che il terapeuta/ricercatore può utilizzare per realizzare un’intervista focalizzata. In questa intervista si possono esplorare ad hoc, nel corso del video-feedback stesso, gli elementi più cognitivi e interpretativi del fenomeno che si sta studiando, che possono essere suggeriti direttamente dal paziente (D’Errico, & Leone, 2006).
In sintesi, focalizzandosi sulle sequenze cruciali precedentemente individuate dal terapeuta/ricercatore, e osservando direttamente il comportamento che egli stesso ha messo in atto durante la registrazione, il paziente ha una base di partenza concreta, e non ricostruita o immaginata, per motivare e spiegare il modo in cui ha agito in quella situazione. Il punto critico di questa proposta risiede nella capacità di trasformare il momento dell’osservazione di un comportamento in un’occasione di auto-osservazione per chi ha messo in atto quello stesso comportamento, oggetto di interesse, di studio e approfondimento euristico. Tale passaggio sottolinea, inoltre, il ruolo attivo del paziente, laddove l’interazione con il terapeuta/ricercatore non è un elemento da limitare perchè fonte di disturbo, ma costituisce parte integrante della procedura clinica e sperimentale (Richeson, & Shelton, 2003).
Video Feedback Therapy
Uno degli obiettivi principali della terapia cognitivo-comportamentale è identificare e rimuovere le credenze disfunzionali del paziente, in particolare quelle relative al sé, che costituiscono un ostacolo al cambiamento. Inoltre è fondamentale per il paziente il riconoscimento delle emozioni legate a tali credenze patologiche poiché rivestono un importante ruolo nella genesi e nel mantenimento di molti quadri psicopatologici. Per raggiungere tale obiettivo il paziente deve acquisire un distacco critico e consapevole dal proprio modo di funzionare, deve cioè “osservarsi dal di fuori” per riconoscere le caratteristiche peculiari dei suoi pensieri, in quali situazioni vengono attivati, e come essi siano legati a particolari emozioni e comportamenti.
L’ABC in versione video, rispetto all’ABC tradizionale, è uno strumento molto più efficace per porre in modo diretto il paziente di fronte alle sue credenze autosvalutative “obbligandolo” emotivamente a “fare i conti” con esse: sapere di avere pensieri negativi e autosvalutanti è molto diverso dall’avere l’esperienza tangibile di osservare se stesso nel processo d’interpretare in modo negativo e autosvalutante una determinata situazione. Nel primo caso si ha una presa di coscienza concettuale, nel secondo si ha una presa di coscienza empirica del processo attraverso il quale si valuta se stessi (Parr, Cartwright-Hatton 2009). Allo stesso modo comprendere “intellettualmente”, attraverso un ABC classico, di aver avuto pensieri autosvalutanti in una determinata situazione è molto diverso dall’avere l’esperienza concreta di osservarsi tristi e sentire la propria voce esprimere pensieri negativi e autosvalutanti.
L’osservazione dei propri video feedback inoltre faciliterebbe al paziente anche il riconoscimento delle proprie emozioni manifestate nel setting clinico e non riconosciute nel hic et nunc: il riconoscimento di un proprio stato d’animo non partirebbe da processi autoriflessivi ma sfrutterebbe gli stessi meccanismi della social cognition che normalmente usiamo per comprendere gli stati emotivi altrui. Molti pazienti riescono a comprendere meglio gli stati mentali altrui rispetto ai propri (Rapee & Lim 1992), tali soggetti beneficeranno maggiormente del video feedback poiché la metodologia permette loro di sfruttare la loro capacità di social cognition per vicariare quella autoriflessiva alquanto deficitaria. Non a caso il video feedback è stato ampiamente inserito nei protocolli della CBT al fine di migliorare la percezione di sè nei soggetti affetti da ansia sociale. (Rapee & Hayman, 1996; ).
Quando questi soggetti osservano se stessi in video usano la stessa valutazione come se osservassero un estraneo quindi adottano una valutazione più accurata e precisa. L’osservazione della loro performance crea, quindi, una discrepanza tra la rappresentazione negativa di sé ed il reale comportamento osservato; maggiore è tale bias, maggiore sarà il cambiamento della propria immagine con conseguente riduzione dell’ansia (Orr, Moscovitch 2010).
L’uso del video feedback quindi, all’interno di una CBT, incrementa le capacità metacognitive del paziente (identificazione dei pensieri, degli scopi e dei temi di vita che muovono il proprio comportamento nonché il riconoscimento delle emozioni ad essi legati) in tempi estremamente più brevi e in modo qualitativamente maggiore rispetto alla sola CBT. Ovviamente il video feed back non può sostituire la psicoterapia tradizionale, ma come già riportato da Nilsson e colleghi (2011) ne può amplificare l’efficacia terapeutica.
Neuroni specchio e Self Mirroring Therapy
All’interno del razionale della videofeedback theory, trova spazio una metodologia più ampia e più standardizzata chiamata Self Mirroring Therapy. La self mirroring therapy (SMT), ideata e sviluppata da Piergiuseppe Vinai e Maurizio Speciale, nasce dall’esigenza di trovare un’applicazione psicoterapeutica alle recenti scoperte neurofisiologiche sul sistema dei neuroni specchio.
Se da una lato, infatti, tali scoperte hanno avuto un grande valore esplicativo incominciando a chiarire i meccanismi alla base delle dinamiche emozionali che avvengono durante la relazione paziente-terapeuta, dall’altro non hanno avuto un altrettanto valore applicativo nel facilitare il processo di cambiamento da parte del paziente.
La SMT attraverso una particolare tecnica di videoregistrazione della seduta terapeutica, grazie alla quale il paziente dapprima osserva il filmato di se stesso durante un momento emotivamente significativo (ad esempio mentre rievoca un episodio) e poi osserva il filmato di se stesso mentre guarda il primo filmato, permette di “sfruttare” verso se stessi (e quindi usarli a fini terapeutici) quei meccanismi di risonanza empatica, mediati appunto dal sistema dei neuroni specchio, che normalmente usiamo per comprendere in modo intuitivo, automatico e inconscio le intenzioni e gli stati emotivi degli altri.
Attraverso tale procedura il paziente, osservandosi come se fosse un “personaggio” di un film, riconosce le proprie emozioni non a partire dalle proprie capacità autoriflessive e introspettive (capacità alquanto limitate nella popolazione clinica in generale e, in particolare, nei pazienti alessitimici) ma dalla visione del proprio comportamento non verbale e, in particolare, dalla propria espressione mimico-facciale.
Nel setting, quindi, tale metodologia “sfrutta” come fattore terapeutico oltre che le “parole” soprattutto la visione di se stessi. A tal proposito la ricerca neuroscientifica mostra sempre più chiaramente l’importanza dell’esperienza visiva: essa, attivando il meccanismo dei neuroni specchio, si configura come una processo multimodale che implica l’attivazione di circuiti cerebrali non solo “visivi” ma anche sensori-motori, viscero-motori e affettivi.
Questo meccanismo definito da Vittorio Gallese “simulazione incarnata” (embodied simulation) ci permetterebbe non solo di “vedere” l’espressione emotiva altrui ma anche di “comprenderla” come se fossimo noi stessi a provare quella particolare emozione.
La SMT fa sì che il paziente usi questo “potere” dell’immagine e, in particolare della propria immagine, (che, come confermano recenti studi neuroscientifici, attiverebbe ancor più intensamente il sistema dei neuroni specchio) a fini terapeutici per comprendere in modo più “profondo” le proprie emozioni, le proprie convinzioni e più in generale il proprio modo di funzionare.
L’effetto terapeutico per il paziente è una sorta di insight sulle convinzioni disfunzionali che nel tempo ha sviluppato su di se e sugli altri attivando, conseguentemente, stati emotivi di accudimento, compassione e di “perdono” verso se stesso.