Il sonno condiviso tra evoluzione e cultura
Le scelte che i genitori fanno su come far dormire il proprio neonato non sono mai neutrali: riflettono idee personali, valori culturali e aspettative sociali. Tra le opzioni possibili, il cosleeping – cioè, dormire vicini, sulla stessa superficie o nella stessa stanza – è una delle pratiche più discusse. Si tratta di modalità diverse, ma accomunate da una forte prossimità fisica, che permette al neonato e al genitore di mantenere un contatto sensoriale continuo, fatto di suoni, odori, movimento e calore.
Nonostante numerose ricerche abbiano messo in luce i benefici del sonno condiviso – sia per l’allattamento, sia per la relazione affettiva – questa pratica è spesso guardata con sospetto. A pesare è soprattutto la paura legata alla sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS – Sudden Infant Death Syndrome), con cui in passato sono stati associati alcuni casi inspiegabili di decesso avvenuti durante il sonno (McKenna & McDade, 2005). Tuttavia, gli studi più recenti hanno permesso di chiarire meglio i reali fattori di rischio e distinguere tra situazioni sicure e condizioni che invece possono effettivamente risultare pericolose.
Secondo una prospettiva evoluzionistica, condividere il sonno con il proprio bambino è una pratica profondamente radicata nella nostra specie: per secoli è stata una strategia fondamentale per garantire la sopravvivenza dei piccoli. Il neonato umano nasce, infatti, con un cervello ancora immaturo – appena il 25% del volume adulto – e necessita di una vicinanza costante per regolare funzioni vitali come la temperatura, la respirazione e il ritmo sonno-veglia (McKenna, 2007).
Eppure, nelle società occidentali contemporanee, ideali come l’autonomia e l’indipendenza personale hanno portato a preferire il sonno separato, considerato più “educativo” o funzionale alla crescita in autonomia. In questo contesto, molti genitori si sentono giudicati se decidono di dormire accanto al proprio figlio e, spesso, evitano di parlarne apertamente, nonostante il bedsharing – la condivisione della stessa superficie per dormire – sia molto diffuso, soprattutto tra chi allatta al seno (Gettler & McKenna, 2010).
Al contrario, in molte culture asiatiche come quelle di Giappone, India e Cina, il cosleeping è ampiamente praticato e incoraggiato. In queste società, il dormire insieme viene visto come un modo naturale per rafforzare il legame tra genitori e figli, trasmettendo valori come la connessione relazionale e l’armonia del gruppo (McKenna, 1993).
Il cosleeping e l’equilibrio familiare nei primi mesi di vita
Diventare genitori è un cambiamento profondo e spesso destabilizzante. Durante i primi mesi di vita del neonato, la coppia si trova a riorganizzare abitudini, ruoli e spazi, cercando un nuovo equilibrio che tenga conto non solo dei bisogni del bambino, ma anche del benessere della relazione coniugale. In questo delicato contesto, decidere come organizzare il sonno del piccolo – se nella stessa stanza, nello stesso letto o in una culla separata – diventa una questione centrale nella vita familiare. Una scelta che non si gioca solo sul piano pratico, ma che è intrisa di significati culturali, credenze personali e aspettative sociali.
Uno studio interessante condotto da Germo e colleghi (2007) ha messo in luce quanto sia importante l’accordo tra i genitori in merito alle pratiche del sonno. I risultati hanno mostrato che, quando il cosleeping viene adottato in modo “reattivo” – cioè, come soluzione utilizzato dopo un tentativo fallito di far dormire il bambino da solo – si osservano livelli più alti di insoddisfazione all’interno della coppia. Questo sembra accadere soprattutto quando la decisione non è condivisa e genera tensioni o disaccordi tra i partner.
Al contrario, quando il sonno condiviso è frutto di una scelta consapevole e concordata, soprattutto da parte della madre, si riscontra un maggiore senso di benessere nella relazione. Questo effetto positivo è probabilmente legato alla sensazione di essere sostenuti e coinvolti dal proprio compagno nella gestione della nuova quotidianità familiare.
Questi dati suggeriscono che il modo in cui viene gestito il sonno del neonato non riguarda solo il bambino, ma investe l’intero equilibrio relazionale. Per questo, sarebbe utile che le coppie affrontassero insieme questo tema, valutando non solo la sicurezza e il comfort del piccolo, ma anche il modo in cui certe scelte si inseriscono nel loro modo di vivere la genitorialità (Germo, Chang, Keller & Goldberg, 2007).
Quando il sonno incide sull’equilibrio della coppia
Il cosleeping, come molte scelte nella prima fase della genitorialità, non incide solo sulla relazione tra genitori e bambino, ma anche sull’equilibrio della coppia. Diversi studi hanno mostrato come la relazione tra sonno condiviso e benessere coniugale sia bidirezionale: dormire insieme al neonato può essere tanto una causa di tensione, quanto una conseguenza di un clima familiare già stressato (Andre, Lovallo & Spencer, 2021).
Le convinzioni culturali e sociali dei genitori su cosa sia “giusto” fare con il proprio bambino, soprattutto di notte, influenzano profondamente il modo in cui queste pratiche vengono vissute. Ad esempio, in famiglie dove il cosleeping non è socialmente approvato, la scelta di dormire con il neonato può generare disaccordi e malessere, specie se i genitori non sono d’accordo su come gestire la notte. Alcune madri, in assenza di un supporto percepito dal partner, tendono a passare più tempo con il proprio bambino, anche durante il sonno, nel tentativo – forse inconscio – di compensare un vuoto relazionale (Teti et al., 2016).
Altri elementi possono contribuire a questo quadro complesso. La stanchezza cronica, tipica delle prime settimane dopo la nascita, può compromettere il tono dell’umore e la disponibilità all’ascolto e al supporto reciproco. La vita sessuale, spesso messa temporaneamente da parte, può risentire della presenza del bambino nel letto, diventando una fonte di frustrazione o distanza nella coppia. Alcuni genitori descrivono il bedsharing come un ostacolo alla propria intimità, altri lo vivono con naturalezza, senza che incida negativamente sulla relazione (Messmer, Miller & Yu, 2012).
D’altra parte, quando la coppia mantiene buoni livelli di intimità e dialogo, anche il sonno condiviso viene vissuto con maggiore serenità, rafforzando la percezione di collaborazione genitoriale e benessere familiare. È un circolo che può diventare virtuoso o vizioso, in base alla qualità della relazione preesistente.
Questa interdipendenza è stata definita effetto spill-over: i disturbi del sonno del bambino possono interferire con la relazione coniugale, e viceversa, le tensioni nella coppia possono riflettersi sul sonno del piccolo. Al contrario, costruire rituali sereni e prevedibili per la notte – come l’addormentamento condiviso – aiuta il bambino a sentirsi sicuro, favorendo il suo benessere psicologico (Jahng & Kim, 2022).
Parlare di questi aspetti in coppia è importante: parlare del cosleeping con consapevolezza può aiutare a prendere decisioni calate sulle esigenze attuali del nucleo famigliare. La chiave, come sempre, è nella comunicazione tra i partner: ascoltare i bisogni reciproci, mettere sul tavolo dubbi e desideri, trovare soluzioni condivise. Non esistono ricette universali, ma una certezza sì: quando i genitori si sentono parte di una squadra, anche le notti più difficili diventano più leggere (McKenna, 2007).
Alcune indicazioni pratiche
Per tutti i motivi sopracitati, è importante che i genitori parlino apertamente delle scelte legate al sonno del neonato, immaginando insieme i diversi scenari possibili e concordando strategie condivise. Allo stesso tempo, è essenziale mantenere una certa flessibilità, sapendo che le soluzioni adottate non sono definitive: le abitudini possono cambiare con la crescita del bambino e con l’evolversi dei bisogni della famiglia.
È utile ricordare che all’interno della coppia possono emergere punti di vista differenti, e che la cosa più importante non è pensarla allo stesso modo, ma ascoltarsi con rispetto e accogliere l’opinione dell’altro. Scontrarsi senza cercare di comprendere l’altro non porta beneficio; può invece aiutare provare a cogliere le motivazioni profonde che stanno dietro a ciascuna posizione.
Quando le notti diventano difficili e la stanchezza si accumula, è facile che venga trascurato il legame di coppia. Proprio in questi momenti è importante ritagliarsi piccoli spazi di attenzione reciproca, per preservare l’intimità e la connessione affettiva, anche solo attraverso gesti semplici, che mantengano viva la sensazione di essere “una squadra”.
Infine, per affrontare con maggiore serenità questa fase, è fondamentale affidarsi a fonti scientifiche e a professionisti qualificati, evitando così confusione, sensi di colpa o allarmismi legati alle proprie scelte educative.
Cosleeping e relazione di coppia: l’importanza di una scelta condivisa
È importante ricordare che ogni famiglia è unica, e non esiste un modo “giusto” o “sbagliato” di gestire il sonno del neonato. Piuttosto, ciò che davvero fa la differenza è trovare una soluzione calibrata sul proprio contesto familiare, costruita attraverso il dialogo e la condivisione tra i partner.
La letteratura è chiara su questo punto: quando il cosleeping è frutto di una scelta intenzionale e condivisa, può rafforzare l’alleanza di coppia e promuovere un senso di unità genitoriale. Al contrario, quando viene adottato in modo reattivo o forzato, rischia di diventare il sintomo di una difficoltà relazionale più profonda, spesso non riconosciuta.
Infine, fattori come la stanchezza cronica, la diminuzione dell’intimità e la pressione sociale possono incidere negativamente sulle scelte sul sonno e sulla qualità della relazione. Pertanto, parlare, ascoltarsi e scegliere insieme resta la chiave per affrontare questa fase con maggiore consapevolezza e serenità.