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Il mismatch evoluzionistico: quando biologia e cultura fanno a botte

Nonostante l'aumento di pubblicazioni sul tema dell’evoluzione si parla ancora poco di mismatch evoluzionistico e dei suoi effetti sulla salute

Di Alberto Fistarollo

Pubblicato il 07 Ott. 2022

Il contesto in cui viviamo si è modificato più velocemente di quanto possa aver fatto la nostra biologia, attraverso la selezione naturale; l’esito di tale discrepanza, definito mismatch evoluzionistico (o “ritardo del genoma”) ha reso il mondo in cui viviamo non sempre così “comodo” per le nostre caratteristiche consolidatesi nel corso dell’evoluzione.

 

Tendenze antiche, effetti moderni

Quando facciamo psicoeducazione con i nostri pazienti, spesso spieghiamo loro che le emozioni che provano non sono patologiche ma funzionali. La paura, ad esempio, serve a difendersi dai pericoli e a rimanere quindi in vita.

Se fosse davvero così, però, dovremmo temere ciò che davvero ci uccide: considerato che la principale causa di morte nei paesi industrializzati sono le cardiopatie, favorite da abitudini disfunzionali come la sedentarietà, il fumo, l’obesità e lo stress, oggi dovremmo spaventarci terribilmente di fronte a uno spritz con le patatine, fuggire a gambe levate di fronte a un pacchetto di sigarette, inorridire al solo pensiero di lavorare per ore seduti a una scrivania. Eppure, di fronte a questi elementi, letali per l’esistenza, la nostra fisiologia rimane silente, non percepiamo alcuna sensazione di allarme e di certo non si scatena in noi una reazione di attacco/fuga.

Dunque, ciò che raccontiamo ai pazienti è una sorta di favola ben confezionata?

No, affatto! Il nostro antico modo di reagire a un mondo un tempo più pericoloso, ma con dinamiche estremamente più semplici di quello attuale, perdura anche oggi: ci spaventiamo per un’auto che ci viene incontro, esattamente come avremmo fatto con una tigre dai denti a sciabola; ci disperiamo per una figuraccia e continuiamo a soffrire la solitudine esattamente come l’esclusione dal gruppo metteva a repentaglio la nostra vita centinaia di migliaia di anni fa; tendiamo a essere cooperativi con il nostro gruppo di appartenenza e un po’ più competitivi e timorosi con gli altri gruppi; sobbalziamo quando sentiamo un forte rumore o ci immobilizziamo di fronte a una fune che di primo acchito ci era parsa un serpente. Antichi retaggi della nostra specie continuano a vivere in noi, pur senza averne consapevolezza, e tali retaggi si manifestano in un mondo ben diverso da quello in cui sono emersi. Tendenze ancestrali che nel mondo odierno possono risultare inutili o talvolta dannose.

I nostri geni sono, in qualche misura, burattinai che ci fanno desiderare cose che a volte sono positive per loro ma negative per noi (come le relazioni extraconiugali o il prestigio acquistato a spese della felicità) (Haidt, 2020).

Scimmie culturali

Per milioni di anni, le specie si sono evolute adattandosi, “a rimorchio”, a un ambiente in lento cambiamento. Gli organismi che manifestavano mutazioni genetiche casualmente più adatte sono sopravvissuti e si sono riprodotti. Cambia l’ambiente, cambia la biologia. Ad un certo punto, però, questo equilibrio si è alterato: l’ambiente ha iniziato a modificarsi molto più rapidamente dei ritmi della selezione naturale, e la causa di questo cambio di passo è stato proprio l’essere umano. Infatti, il contesto in cui viviamo si è modificato, attraverso la cultura, più velocemente di quanto possa aver fatto la nostra biologia, attraverso la selezione naturale; l’esito di tale discrepanza, definito mismatch evoluzionistico (o “ritardo del genoma”) ha reso il mondo in cui viviamo non sempre così “comodo” per le nostre caratteristiche consolidatesi nel corso dell’evoluzione (Fistarollo e Faggian, 2022). Siamo pur sempre degli animali, per quanto particolari, che per il 99% del loro percorso evoluzionistico hanno vissuto come cacciatori-raccoglitori, evolvendosi lentamente in un ambiente, definito Environment of Evolutionary Adaptedness (EEA), il quale ha proposto pressoché le medesime pressioni evoluzionistiche relative all’acquisizione di cibo, all’evitamento dei predatori, ai requisiti di accoppiamento, alla cura della prole e ad altre sfide di sopravvivenza (Tooby e Cosmides, 2008).

La cultura umana, però, ha lo straordinario e unico potere di trasformare l’ambiente, e di conseguenza lo stile di vita degli umani stessi. Il primo enorme cambiamento è avvenuto all’incirca 10.000 anni fa, con la Rivoluzione Agricola: l’Homo Sapiens ha smesso i panni del nomade per iniziare una vita stanziale, basata perlopiù sull’agricoltura e sull’allevamento. Sono nati villaggi, paesi, città. Sono cambiati i ruoli, è iniziata un’organizzazione gerarchica della società. L’uomo ha iniziato a imprimere un’impronta ben visibile sull’ambiente. Ha modificato la propria alimentazione, il rapporto con alcune specie animali, lo stile di vita, la percezione del mondo. “Con l’avvento dell’agricoltura, le preoccupazioni circa il futuro iniziarono a ricoprire un ruolo di primo piano nel teatro della mente umana” (Harari, 2011).

Il secondo cambiamento, decisivo, è avvenuto con la Rivoluzione Industriale. In maniera estremamente rapida, gli esseri umani hanno iniziato a intrattenere un rapporto, costante e intimo, con le macchine. I ritmi della quotidianità si sono adattati a quelli del lavoro, nuove gerarchie e ruoli si sono ulteriormente definiti. È nato il cibo spazzatura, prodotto industrialmente. È esplosa la sedentarietà, le condizioni di lavoro disagevoli. La popolazione mondiale è aumentata a dismisura. È emerso il grave problema dell’igiene, con una nuova consapevolezza. Il contatto con la natura si è progressivamente estinto, fino a oggi. L’essere umano ha scoperto la solitudine; a proposito, ancora Harari (2011), “Milioni di anni di evoluzione ci hanno modellato a vivere e a pensare come membri di una comunità. Nel giro di appena due secoli, siamo diventati individui alienati. Non c’è niente che testimoni meglio di ciò l’incredibile potere della cultura”.

Per dare l’idea di quanto i cambiamenti apportati dalla Rivoluzione Industriale siano recenti, immaginiamo di collocare tutta l’evoluzione umana in una classica giornata di lavoro, dalle 9:00 alle 17:00; ebbene, la Rivoluzione Industriale sarebbe avvenuta all’incirca alle 16:59 e 58 secondi! Lo stile di vita odierno è dunque una recentissima eccezione nel nostro percorso evoluzionistico, a cui non siamo totalmente adatti. “È come se le persone del mondo attuale facessero girare software del ventunesimo secolo su un hardware vecchio di 50.000 anni” (Wright, 2004). Siamo una sorta di ibrido tra animali che lottavano per la sopravvivenza nella savana e animali culturali che sgomitano per un salto di carriera in aziende multinazionali. “Biologicamente, siamo più o meno lo stesso animale che vagava nelle savane del pleistocene: una scimmia africana cacciatrice, da branco. Culturalmente, però, siamo irriconoscibili” (Stewart-Williams, 2018). Abbiamo tendenze antiche collocate in ambienti ipertecnologici. “Viviamo in città e periferie, guardiamo la tv e beviamo birra, mentre siamo spinti da impulsi progettati per diffondere i nostri geni in una piccola popolazione di cacciatori-raccoglitori” (Wright, 1994).

Nuovi modi di stare male

Quali sono gli effetti del mismatch evoluzionistico sulla salute degli esseri umani? Quando assieme alla collega Silvia Faggian abbiamo posto questa domanda agli allievi di Studi Cognitivi, le loro risposte sono state estremamente calzanti! Una volta acquisito il concetto di mismatch, infatti, basta guardarsi attorno per notare come molto del disagio psico-fisico della nostra epoca sia da ricollegarsi al contesto ambientale e allo stile di vita moderno. Ormai da qualche decennio è infatti risaputo che “le malattie da civiltà” generano il 75% di tutte le morti nelle nazioni occidentali, malattie che sono rare tra le persone il cui stile di vita riflette quello dei nostri antenati pre-agricoltura (Eaton et al., 1988) e che una delle ragioni principali per le quali ci ammaliamo è proprio che “i nostri organismi sono impreparati a far fronte agli ambienti moderni” (Nesse, 2020).

Uno degli esempi più evidenti di mismatch evoluzionistico riguarda la grave epidemia di obesità e sovrappeso che, secondo proiezioni della World Obesity Federation, entro il 2025 dovrebbe coinvolgere un terzo della popolazione mondiale e rappresenta un fattore di vulnerabilità per un vasto numero di patologie (quali diabete, demenza, disturbi cardiaci, ecc; Blüher, 2019).

Perché stiamo diventando sempre più grassi?

La risposta è proprio nel mismatch evoluzionistico: centinaia di migliaia di anni fa il nostro meccanismo adattivo ci portava a cercare energia in un ambiente in cui era raramente possibile imbattersi in cibi dolci e ricchi di grasso. L’evoluzione ci ha così portati a percepire tali alimenti come estremamente palatabili e desiderabili, poiché ancestralmente rappresentavano una preziosa fonte di energia. Oggi, la medesima spinta agisce in un ambiente che offre un’estrema disponibilità di dolci industriali, cibi ad alto contenuto di grassi e bevande zuccherate.

Un meccanismo evoluto nel tempo, che aveva una funzione per la sopravvivenza (“mangia qualsiasi roba dolce ti passi sotto mano, non avrai molte occasioni!”), oggi si rivela disfunzionale in un ambiente cambiato troppo rapidamente (zuccheri disponibili ovunque) per consentirne la modifica (Fistarollo e Faggian, 2022).

Mismatch! Senza contare che gli uomini arcaici si muovevano molto più di noi (secondo alcune stime, percorrevano 8-12km al giorno), mentre oggi alcuni professionisti percorrono quotidianamente più strada con le dita sulla tastiera di quanto facciano a piedi (Cregan-Reid, 2018)!

Guardare indietro per guardare avanti

Nonostante siano in aumento le pubblicazioni sul tema dell’Evoluzione, si parla ancora poco di mismatch evoluzionistico (con una punta di orgoglio, il nostro “Come pesci fuor d’acqua” è il primo testo italiano a occuparsene). Come sostenevano gli psicologi evoluzionistici Cosmides e Tooby (1992), “Sebbene la maggior parte degli psicologi fosse vagamente consapevole che gli ominidi avessero vissuto per milioni di anni come cacciatori-raccoglitori, non si resero conto che ciò aveva implicazioni teoriche per il loro lavoro”. E invece le implicazioni ci sono, eccome!

Moltissime forme di sofferenza umana odierna sono esiti di tendenze ancestrali che collidono con la società moderna che abbiamo creato.

Dovremmo dunque tornare nelle caverne?

Rispondiamo con decisione: no!

Dobbiamo invece utilizzare la tecnologia, la conoscenza e il sapere psicologico per promuovere un nuovo equilibrio che ci consenta di godere dei frutti del progresso senza pagarne un prezzo eccessivo.

Da dove iniziare?

Probabilmente ricordandoci che nella nostra storia evolutiva si sono scolpiti dei bisogni ai quali non possiamo voltare le spalle: movimento, contatto con la natura, affrontare avversità, vita di gruppo, senso di appartenenza, ecc. Elementi che da sempre hanno contraddistinto, e continuano a farlo, il nostro benessere.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Blüher, M., (2019), Obesity: global epidemiology and pathogenesis, Nat Rev Endocrinol, 15, 288–298
  • Cosmides, L., Tooby, J., (1992), Cognitive adaptations for social exchange. In J. H. Barkow, L. Cosmides, & J. Tooby (Eds.), The adapted mind: Evolutionary psychology and the generation of culture (pp. 163–228), Oxford University Press.
  • Cregan-Reid, V., (2018), Il corpo dell’antropocene, Codice Edizioni, Torino
  • Eaton, S. B., Konner, M., & Shostak, M., (1988), Stone agers in the fast lane: chronic degenerative diseases in evolutionary perspective, The American Journal of Medicine, 84(4): 739–749
  • Fistarollo A., Faggian S., (2022), “Come pesci fuor d’acqua. Perché il mismatch evoluzionistico ci ha reso inadatti al mondo che abbiamo creato”, Franco Angeli Editore, Milano
  • Haidt, J., (2020), Felicità: un’ipotesi, Codice Edizioni, Torino
  • Harari Y.N., (2011), Sapiens. Da animali a dèi, Giunti Editore S.p.A./Bompiani, Firenze, Milano
  • Nesse R., (2020), Buone ragioni per stare male. La nuova frontiera della psichiatria evoluzionistica, Bollati Boringhieri Editore, Torino
  • Stewart-Williams S., (2020), La scimmia che ha capito l’universo, Espress edizioni, Torino
  • Tooby, J., & Cosmides, L., (2008), The evolutionary psychology of the emotions and their relationship to internal regulatory variables. In M. Lewis, J. M. Haviland-Jones, & L. F. Barrett (Eds.), Handbook of Emotions (pp. 114–137), The Guilford Press
  • Wright R., (2004), A short history of progress, New York: Carroll and Graf
  • Wright, R., (1994), The moral animal: the new science of evolutionary psychology, Vintage Books, New York
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