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La “follia morale”. I correlati neurologici della psicopatia

La psicopatia potrebbe essere concettualizzata come disordine del sistema paralimbico che in queste persone presenta un’attività ridotta rispetto al normale

Di Cristina De Dominicis

Pubblicato il 30 Apr. 2021

Quante volte abbiamo sentito parlare di psicopatia, magari in tv, attraverso telegiornali o documentari trasmessi su varie piattaforme?

 

La parola psicopatia è spesso utilizzata nel linguaggio di senso comune, associata a detenuti, autori di crimini violenti o semplicemente per designare una persona che presenta particolari tratti caratteriali.

Ma quali sono le sue origini?

Il termine psicopatia ha radici antiche, la sua etimologia deriva dal greco “psychè”, mente, e “pathos”, sofferenza.

Utilizzato per la prima volta da Teofrasto, allievo di Aristotele, il quale la definì come una caratteristica tipica degli individui privi di scrupolo.

Nel 1801 lo psichiatra francese Philippe Pinel descrisse un pattern di comportamenti devianti, profondamente crudeli e privi di giudizio, presenti in pazienti con chiari disturbi mentali in assenza di un deficit della ragione, della percezione, della memoria o di manifestazioni e segni tipici di un disturbo cognitivo quali allucinazioni, deliri o atti autolesionistici. Definì tale caratteristica: “manie sans dèlire”, appunto follia senza delirio, per classificare questi individui “malati non deliranti”, poiché pur comprendendo la follia del proprio status non erano in grado di inibirne l’azione.

In seguito, la psicopatia come diagnosi clinica, fu affrontata dallo psichiatra americano Hervey M. Cleckley con la pubblicazione del testo: “The Mask of Sanity: An Attempt to Clarify Some Issues About the So-Called Psychopathic Personality” (1941).

Egli fornì la più influente descrizione clinica della psicopatia del XX secolo, tanto che le caratteristiche di base da lui delineate, sono ancora oggi significative.

Secondo l’autore questi individui non presentano elementi peculiari riferibili unicamente all’aspetto comportamentale, ma anche a delle modalità relazionali che includono la vita affettiva.

Essi mostrano una evidente carenza di sentimenti, impulsività, mancanza di scrupoli e senso di colpa rispetto allo sfruttamento delle altrui debolezze congiunte ad una incapacità di avere legami di attaccamento,  quindi sostanzialmente delle profonde anomalie nella gestione delle emozioni.

Il titolo “la maschera della Sanità”, intesa appunto come sanità mentale, sta ad evidenziare come lo psicopatico possa apparire una persona esteriormente perfetta, un’imitazione di un soggetto integro e normalmente funzionante, in grado di abitare all’interno della società, molto spesso presentandosi come una persona sincera, intelligente e persino affascinante, celando il caos di una personalità destrutturata.

Tuttavia tale fascino è superficiale, egli è egocentrico, dimostra un freddo contegno e non possiede la capacità di provare emozioni sincere.

Molti psicopatici sono capaci di fingere le più comuni emozioni umane ma di fatto non sanno comprendere gli stati emotivi delle altre persone, lo possono fare solo a livello puramente intellettuale e non per una costruzione sana di relazioni.

A tal proposito emblematico è “il caso Fritzl” (Austria, 2008), a cui successivamente si è ispirato il film Room (L. Abrahmson, 2015).

Josef Fritzl, ingegnere austriaco, dopo aver progettato un bunker nella cantina dell’abitazione di famiglia, inscenò la fuga di una delle sue cinque figlie, per poi imprigionarla al suo interno per 24 anni (dall’età di 18 a quella di 42 anni). Nel corso di questi anni egli si recava nel bunker ogni tre giorni per portarle cibo e altri rifornimenti ma soprattutto per abusare di lei sessualmente, dalle loro unioni incestuose nascono sette figli.

Fritzl è un uomo all’apparenza perfettamente lucido in grado di condurre una vita “normale” per 24 anni, senza il minimo scrupolo.

Solitamente un soggetto psichicamente sano alla vista di qualcuno in pericolo, istintivamente ne percepisce la sensazione e tende ad aiutarlo, questo non è possibile per uno psicopatico poiché ha un deficit nella mentalizzazione degli stati emotivi altrui.

Ragion per cui, in una conversazione, egli non possiede la capacità di comprendere l’impatto e la risonanza che hanno le sue parole sugli altri o su di sé, piuttosto ha una percezione degli stati emotivi dedotta dal contesto e dall’attivazione degli stati fisiologici di chi gli sta attorno.

Per lo psicopatico dunque, un essere umano ha la stessa importanza di un qualsiasi oggetto e come tale ha un unico scopo: quello di essere strumentalizzato. Egli è inoltre pienamente consapevole delle conseguenze delle proprie azioni, tuttavia l’idea del dolore o della punizione non hanno alcun effetto inibitorio, ragion per cui la detenzione non ha un esito positivo o di carattere rieducativo, la sua condizione è irreversibile.

Lo psicopatico mentendo riesce ad impressionare gli altri camuffando la sua vera natura, mentre lo fa non viene tradito da segnali emotivi di ansia, esitazione, imbarazzo o vergogna, anche di fronte a prove inconfutabili. Tuttavia i suoi racconti appaiono pieni di contraddizioni e incongruenze, ciò accade sia a causa delle sue verità improvvisate sia per la difficoltà ad integrare il racconto con le componenti emotive dello stesso. H. Cleckley attribuisce a questa anomalia il nome di afasia semantica.

Dal punto di vista nosografico descrittivo, si accenna alla psicopatia solo all’interno della sezione III del DSM 5, sotto la nomenclatura: “Modello alternativo del DSM 5 per i disturbi di personalità”, facendo riferimento alla patologia come una variante caratteristica del disturbo antisociale di personalità con cui spesso viene confuso. Lo psicologo R. Fare ha creato la “Hare Psychopathy ChecKlist”, una scala utile a discriminare il disturbo antisociale di personalità dalla psicopatia.

Tale condizione inoltre, molto spesso viene associata anche al disturbo narcisistico di personalità per l’assonanza di alcune caratteristiche come ad esempio l’egocentrismo. In entrambi i casi è preponderante, oltre ad uno spiccato senso di superiorità, anche la prepotenza, l’arroganza, l’idea di essere più intelligenti e più capaci rispetto agli altri senza avere alcun rispetto per le opinioni altrui.

La psicopatia in effetti, si può presentare in concomitanza ad altre condizioni mentali, sebbene la comorbidità sia poco frequente.

Ma quali sono i deficit neurologici?

Sin dai tempi di Lombroso, si è cercato di far risalire le origini di un comportamento deviante ad alterazioni strutturali in aree neurologiche circoscritte; tuttavia non esiste un’area specifica poiché sono implicate più strutture deficitarie.

Un comportamento aggressivo e violento è la conseguenza di un alterato giudizio morale e decisionale, quest’ultimo è modulato da un complesso circuito che include strutture cerebrali corticali e sottocorticali, regolate a loro volta da neurotrasmettitori e sistemi ormonali.

In un’ottica bio-psico-sociale, tale circuito agisce con l’ambiente unitamente alle relazioni ed i rapporti interpersonali del soggetto.

Tornando allo “scompenso” da un punto di vista puramente organico, la psicopatia potrebbe essere concettualizzata come un disordine del sistema paralimbico, che include parti del lobo frontale e di quello temporale, i quali presentano un’attività ridotta rispetto al normale.

Il lobo frontale è la struttura maggiormente coinvolta nella pianificazione e nella regolazione del comportamento, la corteccia frontale è la zona più estesa, costituisce circa 1/3 dell’intera superficie cerebrale. A tal proposito emblematico è il caso di Phineas Gage, largamente discusso da A. Damasio nel suo testo: “L’errore di Cartesio”, all’interno del quale cerca di indagare le basi neurali della ragione. Gage nel 1848, fu vittima di un incidente: una barra metallica gli trapassò la guancia sinistra, perforando la base della scatola cranica, attraversando la parte frontale del cervello per poi uscire dalla sommità della testa, portando con sé parti di tessuto cerebrale. Egli sopravvisse al fatto, tuttavia, una simile lesione ebbe ripercussioni irreversibili dal punto di vista comportamentale ed emotivo. Egli non era più l’uomo che era un tempo ed il problema non era in un difetto di abilità o capacità fisica, ma il suo nuovo carattere (Damasio, 1994).

L’uomo in seguito alla lesione frontale ebbe delle ripercussioni simili a quelle riscontrate nella psicopatia tra cui l’impulsività e un comportamento aggressivo. Il lobo frontale, in effetti, presiede alla regolazione delle cosiddette funzioni esecutive che implicano i processi decisionali, la pianificazione, l’attenzione, la memoria di lavoro e il controllo degli impulsi. Le altre strutture deficitarie sono: la corteccia temporale, presente bilateralmente e delimitata superiormente dalla scissura di Silvio, implicata nella pianificazione e regolazione del comportamento morale (Dizionario di Medicina; 2010), quindi nell’attribuzione di stati mentali e intenzioni; la corteccia occipitale, importante per l’elaborazione degli stimoli visivi, include la corteccia visiva primaria o striata e le aree extra striate; la corteccia parietale, importante in quanto rappresenta la sede delle aree sensoriali.

A determinare il disturbo, non vi è unicamente un deficit nelle strutture corticali ma anche in quelle sottocorticali come: l’amigdala, struttura sottocorticale limbica, che rappresenta il principale centro emotivo fondamentale nella risposta alla paura e ha un ruolo funzionale nel mediare sia le risposte allo stress che l’apprendimento delle emozioni; l’ippocampo, responsabile del rafforzamento della memoria a lungo termine, soprattutto di quei ricordi fortemente caratterizzati da una componente emotiva, della memoria spaziale e dell’inibizione comportamentale (Dizionario di Medicina, 2010); i gangli della base, piccoli agglomerati di sostanza grigia, implicati nella presa di decisione del comportamento da manifestare in un dato momento; ed infine il lobo dell’insula, collocata all’interno del solco laterale; una delle sue funzioni principali è quella di elaborare emozioni e, grazie alla presenza di neuroni mirror, è coinvolta nei processi di empatia, caratteristica palesemente deficitaria nello psicopatico.

Tuttavia le alterazioni neurologiche da sole, non sono in grado di spiegarne la fenomenologia nella sua pienezza.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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