Dal letto al display
Per decenni, l’ansia da prestazione è stata descritta nella letteratura sessuologica come un disturbo eminentemente situazionale, connesso al momento dell’incontro intimo e caratterizzato dall’anticipazione fallimentare e dalla difficoltà a mantenere un adeguato livello di risposta sessuale (Kaplan, 1974). In questa cornice, la disfunzione erettile, comunemente chiamata impotenza, rappresentava uno degli esiti clinici più frequenti, spesso conseguenza diretta dell’ansia anticipatoria e del circuito vizioso di autocontrollo e fallimento. Nella contemporaneità, tuttavia, la fenomenologia dell’ansia da prestazione appare radicalmente trasformata. Essa non si circoscrive più al contesto della camera da letto, ma si estende all’ambiente digitale, permeando la vita quotidiana attraverso l’esposizione costante ai social media. Questi ultimi hanno convertito il corpo in un dispositivo comunicativo permanente, costantemente soggetto a pratiche di valutazione pubblica quali like, commenti e metriche di engagement. In questo senso, la sessualità si configura non solo come esperienza intima ma anche come costrutto sociale e mediatico (Perloff, 2014).
Corpi performativi e confronto sociale
Il paradigma teorico del confronto sociale elaborato da Festinger (1954) consente di comprendere come gli individui tendano a definire il proprio valore in rapporto agli altri. Nell’ecosistema digitale tale processo risulta esasperato, poiché il confronto non avviene più con un numero limitato di pari significativi, bensì con una moltitudine eterogenea di corpi e di vite idealizzate veicolate dalle piattaforme. In questo quadro, il concetto di body surveillance, inteso come monitoraggio auto-diretto e costante della dimensione corporea in quanto oggetto di osservazione e giudizio, si intensifica (Tiggemann & Slater, 2013). Le conseguenze cliniche includono insoddisfazione corporea, riduzione dell’autostima e difficoltà significative nell’ambito della risposta sessuale. Tale dinamica non coinvolge unicamente le donne, storicamente più esposte a pressioni estetiche, ma riguarda in misura crescente anche gli uomini, sottoposti a modelli normativi di muscolarità, vigore e virilità (Fardouly et al., 2015).
Filtri, editing e corpi impossibili
Un ulteriore elemento di criticità clinica è rappresentato dall’impiego di software di editing e di filtri digitali, che consentono la costruzione di rappresentazioni corporee idealizzate o radicalmente modificate. L’utilizzo diffuso di tali strumenti, inclusa l’intelligenza artificiale generativa, produce un effetto di frattura identitaria tra sé reale e sé virtuale. Gli individui che alterano le proprie immagini rischiano di introiettare lo standard modificato quale parametro identitario, generando alienazione e rifiuto del corpo autentico; parallelamente, coloro che fruiscono di tali contenuti assimilano standard estetici irrealistici. Sul piano clinico, tali dinamiche si correlano all’insorgenza di fenomeni dismorfofobici, cioè a una percezione distorta e patologica del proprio corpo che avvicina al Disturbo da Dismorfismo Corporeo, con conseguenze sessuologiche evidenti: l’ansia legata ai presunti difetti fisici può ostacolare l’eccitazione, inibire l’erezione o condurre a un calo marcato del desiderio. A ciò si sommano difficoltà nella costruzione di intimità reale, poiché la paura del giudizio e il confronto con immagini idealizzate riducono la spontaneità della relazione sessuale e compromettono la possibilità di vivere il piacere (Choukas-Bradley et al., 2019).
Pornografia, realtà aumentata e distorsioni del desiderio
La pressione esercitata dalle piattaforme social si intreccia con l’incremento esponenziale del consumo pornografico online. Le narrazioni pornografiche, caratterizzate da scenari iper-performativi e distanti dalla quotidianità, inducono aspettative disfunzionali e riducono la soddisfazione sessuale percepita all’interno delle relazioni (Kohut et al., 2021). Laddove i corpi filtrati e le performance iperboliche divengono termini di paragone, la sessualità reale appare come un surrogato deficitario. L’avvento di tecnologie immersive, come la realtà virtuale e i dispositivi di intelligenza artificiale erotica, complica ulteriormente il confine già fragile tra fantasia e realtà, accentuando la discrepanza tra idealizzazione mediatica ed esperienza incarnata (Döring et al., 2020).
La nuova ansia da performance
In tale contesto si delinea una forma inedita di ansia da prestazione, non più situazionale, ma persistente. Essa si manifesta come un continuum che accompagna l’individuo durante l’intera giornata, alimentata dalla costante interazione con i media digitali. Non riguarda unicamente la paura di fallire durante l’atto sessuale, ma include la percezione di inadeguatezza rispetto a un pubblico invisibile e onnipresente. Le manifestazioni cliniche includono anorgasmia, eiaculazione ritardata, ipoattività del desiderio e condotte di evitamento sessuale, cui si aggiungono pattern compulsivi quali l’uso ossessivo della pornografia e il ricorso a pratiche di auto-esposizione narcisistica (Grubbs et al., 2019). In questo scenario, la disfunzione erettile rimane un esito clinico di rilievo, ma assume un significato diverso: non più soltanto espressione di un blocco situazionale, bensì sintomo di una pressione costante, generata dall’intreccio tra sessualità reale e aspettative digitali.
Terapia sessuologica e prospettive cliniche
La sessuologia clinica contemporanea è chiamata a fornire strumenti terapeutici in grado di rispondere a questo scenario complesso. Oltre alle tecniche storiche, come il sensate focus di Masters e Johnson, risultano centrali gli interventi di ristrutturazione cognitiva mirati alle distorsioni legate all’immagine corporea e all’interiorizzazione di standard digitali. La psicoeducazione digitale costituisce un passaggio fondamentale per sensibilizzare i pazienti agli effetti dei social e della pornografia. Parallelamente, l’approccio mansionale e le prescrizioni paradossali, con la valorizzazione della sessualità non coitale, offrono la possibilità di disinnescare il circolo vizioso della performance. Un approccio clinico integrato può aiutare anche nei casi di disfunzione erettile di origine psicogena, offrendo un percorso terapeutico che mira non solo alla remissione sintomatologica, ma a una riorganizzazione globale della vita sessuale. Riprendersi l’intimità significa riscoprire il corpo reale, con i suoi limiti e le sue possibilità, e riportare il desiderio in una prospettiva autentica, relazionale e condivisa.