La DBT: una co-terapia per gestire le emozioni
Non basta solo la terapia individuale con un terapeuta ma dovrò anche frequentare dei gruppi in cui mi insegneranno delle abilità ?
Sì, si tratta della Dialectical Behavior Therapy (DBT), che le evidenze scientifiche e le linee guida internazionali ci indicano essere molto efficace per il trattamento di alcuni disturbi complessi, quali ad esempio, ma non solo, il disturbo di personalità borderline.
La DBT dunque è una coterapia, ovvero una modalità di lavoro definita, strutturata, validata scientificamente che integra l’intervento su più livelli: la terapia individuale con il proprio psicoterapeuta e un intervento di gruppo il cui obiettivo è l’apprendimento e il potenziamento di specifiche abilità (skills training) per gestire le emozioni e le relazioni interpersonali.
Intervista al Prof. Cesare Maffei: alla scoperta della DBT
Ma andiamo per gradi, il Professor Cesare Maffei, Professore emerito di Psicologia Clinica e docente presso la Sigmund Freud University, socio fondatore e past president della Società Italiana DBT ci guida alla scoperta di questo modello terapeutico.
La DBT è un modello di trattamento psicoterapico ideato da Marsha Linehan a Seattle, tra gli anni 80 e 90, rivolto a pazienti con grave disregolazione emotiva e comportamentale, ovvero con episodi di autolesionismo, tentativi di suicidio, comportamenti rischiosi, uso di alcool e sostanze, sintomi alimentari, e altri comportamenti disfunzionali.
Secondo Linehan i comportamenti disfunzionali sono tentativi di regolare emozioni profondamente disregolate, che divengono vere e proprie crisi emotive e comportamentali poiché la persona non è in grado di utilizzare (o non le ha mai apprese) modalità più sane e adattive di calmare, affrontare e tollerare emozioni negative che vive in modo molto intenso. Quindi, i comportamenti disfunzionali si attivano per regolare transitoriamente e abbassare nell’immediato gli stati emotivi disregolati.
Certo che i comportamenti disfunzionali sono dannosi per l’individuo e non andrebbero messi in atto (si accompagnano a inevitabili conseguenze negative per l’individuo nel breve, medio e lungo termine), ma il modello della DBT ci spinge oltre il confine del giudizio (“non si dovrebbe fare”) e ci porta verso un orizzonte di spiegazione, ci spinge a interrogarci su quale funzione hanno questi comportamenti. Nella loro disfunzionalità, a che cosa servono al paziente e perché li continua ad attuare? Quali modalità e strategie possono essere messe in campo per ridurli e per far in modo che il paziente apprenda e rafforzi modalità alternative per regolare le emozioni disregolate?
Il prof. Maffei evidenzia che oggi il trattamento DBT è il più diffuso al mondo per il disturbo borderline di personalità. Quindi, non sono solo teorie, ma si tratta di teorie cliniche ampiamente comprovate da solide basi di ricerca empirica.
Nel corso degli anni, il modello ha visto ulteriori adattamenti, ad esempio per il trattamento di adolescenti multiproblematici, per le dipendenze (alcol e sostanze) e per i disturbi del comportamento alimentare.
Il Prof. Maffei sulla DBT per gli adolescenti
Il Prof. Cesarei Maffei, nella sua intervista, ci illustra in maniera chiara ed esaustiva l’applicazione della DBT per gli adolescenti con comportamenti problematici.
La DBT è indicata per adolescenti multiproblematici dal punto di vista comportamentale, adolescenti che presentano comportamenti problematici, in primis quello dell’autolesionismo (es. tagliarsi, bruciarsi, procurarsi dolore fisico). Nel momento in cui l’autolesionismo si configura come un fenomeno ripetitivo, usuale e stabile diventa una condizione preoccupante. Il Prof. Maffei ricorda infatti che l’autolesionismo cronico predice il tentato suicidio e che il suicidio è la terza causa di morte nell’adolescente. Nell’adolescente mutliproblematico possono verificarsi inoltre altre tipologie di comportamenti disfunzionali che si accompagnano all’autolesionismo, quali ad esempio, uso di sostanze e alcol, sintomi alimentari, la tendenza al ritiro ed evitamento della vita sociale e scolastica. L’adolescente può avere difficoltà con il gruppo dei pari e trova nella chiusura e nel ritiro in casa una via di fuga alle emozioni negative; tuttavia, non è così, poiché, l’adolescente solo spesso rimugina e rumina, prova stati emotivi negativi e di disagio (sono solo, non vado a scuola e mi sento che rimango indietro, mi sento in colpa, sono escluso, etc). Ed è qui che in alcuni casi scattano i comportamenti disfunzionali per spegnere l’intensa emotività negativa e la sofferenza. Ma si innescano circoli viziosi poiché la situazione problematica non si risolve, l’emozione negativa si riduce solo transitoriamente, ne conseguono ulteriori stati negativi.
Il Prof. Cesare Maffei spiega poi come la DBT preveda dei passi chiari per delineare un percorso terapeutico di aiuto efficace.
Con gli adolescenti, così come per gli adulti, il piano terapeutico prevede anzitutto una fase di pretrattamento in cui si effettuano valutazioni diagnostiche e approfondimenti specifici, con attenzione agli aspetti di vulnerabilità emotiva e disregolazione emozionale.
Una volta conclusa questa fase di pretrattamento, ove indicato, si attiva un itinerario terapeutico che vede la combinazione di sedute psicoterapiche settimanali individuali molto concrete e incentrate su obiettivi specifici: la seduta è guidata dalla compilazione di una scheda settimanale precisa, che partendo dalle situazioni problematiche, identifica cosa genera la sofferenza emozionale, cosa fa si che si inneschino comportamenti disfunzionali e lavora sulle abilità e strategie alternative adattive per regolare gli stati interni.
In parallelo, ai ragazzi viene richiesto di frequentare settimanalmente incontri di gruppo finalizzati all’apprendimento di abilità specifiche inerenti la regolazione emozionale, l’efficacia interpersonale, la tolleranza della sofferenza, abilità fondamentali per mettere in atto modalità alternative ai comportamenti disfunzionali.
Si chiamano in gergo “gruppi di skills training” ed è importante la stretta collaborazione tra chi conduce i gruppi di skills training e il terapeuta individuale: anche il terapeuta individuale nelle sue sedute aiuta il ragazzo a mettere in atto le abilità apprese nei gruppi di skills training e a generalizzarle nelle situazioni della vita quotidiana.
Esistono anche gruppi di skills training rivolti ai genitori degli adolescenti per comprendere i comportamenti disfunzionali, non giudicarli e apprendere strategie per poterli affrontare e gestire in modo più efficace.
Comprendere i comportamenti disfunzionali e non giudicarli, non significa rassegnarsi accettando che vadano bene: viceversa, significa far sentire all’adolescente che non viene giudicato né punito per quello che fa, ma che tentiamo di comprendere; è importante che l’adolescente senta che qualcuno possa aiutarlo a capire perché si attivano questi comportamenti disfunzionali e a poterli ridurre.
GUARDA L’INTERVISTA COMPLETA AL PROFESSOR MAFFEI: