Le dimensioni di un contenitore possono influenzare le abitudini alimentari?
In alcuni contesti sociali e culturali si reputa sia buona educazione non avanzare il cibo nel proprio piatto (Wansink & Sobal, 2006), senza considerare l’impatto che tale norma possa presentare sulle abitudini alimentari. È infatti difficile pensare che una porzione standard proposta a diversi commensali possa essere la quantità perfettamente adatta a tutti o che una singola persona possa misurare il suo senso di sazietà sulla base di quanto resti nel suo piatto, il cui contenuto o dimensione può variare a seconda del contesto. A questo proposito, è ormai noto che all’aumentare della misura di un contenitore, aumenti l’assunzione di alimenti conservati al suo interno, indipendentemente dal fatto che la quantità possa variare da quella normalmente ingerita (Wansink, 1996). Tale pattern si presenta anche tra coloro che hanno l’abitudine di avanzare la metà di quanto viene loro proposto: potrebbero quindi mangiare il doppio di quanto sono soliti fare, se questo costituisce la metà del piatto che viene loro presentato (Schwarz, 1998).
Tra le possibili spiegazioni di natura fisiologica e psicologica a questo fenomeno troviamo la credenza che la porzione proposta possa rappresentare una quantità standard e corretta (Birch et al., 1987). Si tende quindi ad associare la fine di un pasto al raggiungimento di un obiettivo riconoscibile a livello visivo, che sia il cosiddetto “piatto pulito” o la percentuale del totale a cui si è arbitrariamente abituati, senza prestare particolare attenzione al raggiungimento del senso di sazietà. I suddetti target implicano un coinvolgimento attentivo minore, tipico di un’alimentazione distratta da fattori di vario genere che accompagnano il pasto, che possono essere un film, una conversazione o lo svolgimento di un compito (Polivy et al., 1986).
Lo studio di Wansink et al. (2005)
Come anticipato, poiché molte persone spesso consumano i loro pasti in ambienti ricchi di stimoli (basti pensare ai ristoranti o alle mense aziendali), tali ambienti possono distrarle e quindi la loro capacità di monitorare l’assunzione di ciò che mangiano può ridursi (Polivy et al., 1986). Una strategia comunemente adottata è quella di fare totale affidamento su indizi visivi (come può essere il livello di riempimento di un piatto o la sua dimensione) per decidere quando smettere di mangiare. Ciò può portare l’individuo a perdere quella capacità di percezione della fame e della sazietà e la necessità di monitorare tali indici fisiologici e, conseguentemente, a mangiare troppo o troppo poco. Ad esempio, una persona può sottostimare una porzione di cibo in un piatto grande e quindi mangiare di più, mentre può sovrastimare del cibo in un piatto piccolo e mangiare di meno. Inoltre, l’affidamento a tali indizi visivi sulle porzioni può influenzare la stima dell’assunzione di cibo e il senso di sazietà (Rolls et al., 2000): la stima di quanto si è mangiato e di quanto si è sazi può dipendere più da ciò che si crede di aver visto mangiare e meno da quanto si è effettivamente mangiato.
Alcuni ricercatori (Wansink et al., 2005) hanno condotto uno studio al fine di indagare se l’alterazione di un indizio visivo della dimensione delle porzioni di cibo potesse influenzarne l’assunzione e se ciò potesse influenzare anche la stima di consumo e la percezione di sazietà.
I partecipanti dovevano degustare una zuppa, potendone mangiare quanta ne desideravano. Ad ogni sessione, due partecipanti hanno ricevuto una ciotola normale (indizio visivo accurato di una porzione di cibo) e gli altri due una ciotola auto-riempiente (indizio visivo distorto). Le ciotole auto-riempienti erano collegate con un tubo ad una pentola, e in questo modo si riempivano lentamente e impercettibilmente via via che il loro contenuto veniva consumato (definite dai ricercatori “ciotole senza fondo”). La quantità effettiva di zuppa consumata è stata determinata confrontando la zuppa rimasta nel calderone e la zuppa originariamente disponibile. Successivamente, i partecipanti hanno compilato un questionario in cui dovevano indicare quanto pensavano di aver mangiato (in termini di once e calorie), se si ritenevano sazi e quanto erano affamati prima dell’esperimento.
Le dimensioni delle porzioni influenzano il consumo di cibo e il senso di sazietà
Dai risultati di Wansink et al. (2005) emerge che gli individui che hanno mangiato dalle ciotole auto-riempite hanno consumato il 73% di zuppa in più e 113 calorie in più rispetto a coloro che avevano le ciotole normali. Quindi, quando c’era un’indicazione visiva distorta di quanto mangiato, le persone continuavano a mangiare, mentre quando c’era un’indicazione visiva precisa smettevano prima di mangiare. Nonostante il maggior consumo, i partecipanti con la ciotola auto-riempita non ritenevano di aver assunto più quantità e calorie, né si percepivano più sazi. Sebbene i più affamati hanno effettivamente mangiato di più rispetto a quelli che si erano valutati come meno affamati ad inizio esperimento, l’indizio visivo distorto della ciotola ha avuto un effetto significativamente maggiore. Ma non solo, il mangiare in compagnia di altre persone, le quali avrebbero potenzialmente potuto indurli a “continuare a mangiare se gli altri continuano” o a distrarli dall’assunzione di cibo, non ha influenzato significativamente i risultati.
Dunque, le dimensioni delle porzioni di cibo possono influenzarne il consumo: la quantità di cibo in un piatto offre un indizio visivo o una norma di consumo che può influenzare l’effettiva quantità assunta e quanto crediamo di aver consumato, nonché può impattare sulla nostra capacità di monitoraggio e autocontrollo nell’assunzione e sulla capacità di percezione di sazietà. Sembra che le persone usino gli occhi per mangiare al posto dello stomaco: affidarsi ad indizi visivi o a regole come “mangiare fino a quando la ciotola non è vuota” può portare a mangiare eccessivamente.
Un’alimentazione consapevole è più salutare
Sembrerebbe che le dimensioni dei contenitori influenzino significativamente le abitudini alimentari, come dimostrato dallo studio di Wansink et al. (2005). Porzioni più grandi potrebbero indurre un maggiore consumo, poiché le persone tendono a basarsi su indizi visivi piuttosto che sulle sensazioni fisiologiche di sazietà. Questo porta a ingerire più del necessario, poiché la percezione del cibo consumato è distorta. È quindi fondamentale riconoscere l’importanza degli indizi visivi nella regolazione del comportamento alimentare per promuovere scelte più consapevoli e salutari.