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Conversazioni con Giovanni Liotti su trauma e dissociazione Volume 2 (2024) – Recensione

Ardovini, La Rosa e Onofri ci propongono un distillato del pensiero di Liotti sulla centralità dell’alleanza nella relazione terapeutica

Di Cristiana Chiej

Pubblicato il 17 Set. 2024

Conversazioni con Giovanni Liotti: tra dialogo terapeutico e alleanza

A poco più di un anno di distanza dal primo, bellissimo volume, Cristiano Ardovini, Cecilia La Rosa e Antonio Onofri hanno portato a compimento la loro seconda fatica: mantenendo lo stile dialogico del primo libro, questa seconda raccolta di scritti, registrazioni, conversazioni più o meno formali con Giovanni Liotti è organizzata intorno ai temi, cruciali nel suo pensiero e molto studiati negli ultimi decenni della sua carriera, del dialogo terapeutico e dell’alleanza, che sono approfonditi e argomentati con la sua caratteristica dialettica e una profondità di pensiero davvero rara.

Per chi ha avuto la fortuna di assistere alle lezioni di Liotti, leggere questo libro evoca ricordi vividi, consente di immergersi ancora una volta nelle riflessioni ampie e profonde di un clinico, un ricercatore e un uomo appassionato di cultura che come pochi sapeva accompagnarci tra i quadri di Caravaggio, la prosa di Dostoevskij e i mondi fantastici di Tolkien per farci scoprire ogni volta qualcosa di prezioso sui nostri pazienti e più in generale sulla natura umana, con grande acutezza clinica ed empatia.

Questo volume, come il primo, è anche un’opportunità inestimabile per coloro che non hanno mai avuto l’occasione di incontrare personalmente Giovanni Liotti. Ricco di spunti e riflessioni, è una sorta di distillato del suo pensiero sulla centralità dell’alleanza nella relazione terapeutica, che sgorga da queste pagine in modo fluido e armonico e che gli autori hanno integrato con numerose note per aiutare i lettori meno esperti a comprendere il discorso illustrando concetti, citazioni e teorie che si susseguono nel testo.

La costruzione dell’alleanza terapeutica secondo Liotti

La prima parte del volume si concentra sulla costruzione dell’alleanza terapeutica che secondo Liotti deve essere l’obiettivo centrale nel lavoro con i pazienti, fin dalle prime battute: esplorare insieme i sintomi portati, evitando accuratamente interventi correttivi sulle teorie interpretative dei pazienti, è il primo utile strumento per la costruzione dell’alleanza terapeutica e di un clima cooperativo, che Liotti definisce “l’alfa e l’omega del cambiamento terapeutico”.

Di fondamentale importanza nel caso di pazienti dissociativi, che provengono da una storia di attaccamento disorganizzato, l’alleanza terapeutica diventa un’esperienza relazionale correttiva fondante e muoversi il più possibile all’interno del sistema motivazionale della cooperazione paritetica consente di attivare il meno possibile il sistema “avvelenato” dell’attaccamento.

L’attaccamento disorganizzato, in cui la figura di attaccamento è allo stesso tempo fonte di paura e minaccia, è stato, infatti, definito da Liotti come il prototipo della dissociazione: è il fallimento della relazionalità in presenza di un’apparente relazione, l’impotenza totale, la “paura senza sbocco”. L’unico modo per evitare che il dialogo terapeutico sia fagocitato dall’attaccamento con questi modelli operativi interni destabilizzanti è dunque mantenerlo all’interno di un clima collaborativo, centrato sull’alleanza terapeutica e sulla pariteticità che fa da cornice agli interventi terapeutici che in una prima fase mirano alla stabilizzazione, come la normalizzazione, la psicoeducazione, il grounding, ecc.

Conversazioni con Giovanni Liotti: il lavoro sulle memorie traumatiche

Ma il lavoro terapeutico, in particolare quello sulle memorie traumatiche, espone l’alleanza a inevitabili rotture, e la seconda parte del volume affronta proprio questo tema: esplorare i ricordi traumatici, al centro della seconda fase del lavoro terapeutico con questi pazienti, riattiva inevitabilmente la sofferenza connessa a quelle memorie e di conseguenza riattiva l’attaccamento, favorendo la comparsa della dissociazione e delle strategie controllanti che minano la relazione con l’altro. Si manifestano le due caratteristiche principali della dissociazione: la fobia della vicinanza insieme alla fobia della perdita (quest’ultima più insidiosa e difficile da individuare).

Osservando il paziente e i nostri stati emotivi possiamo rintracciare gli indizi di queste rotture nell’alleanza terapeutica: a volte sono molto evidenti, come nel caso di attacchi e critiche più o meno espliciti, altre volte, come nel caso delle rotture passive, il lavoro terapeutico gradualmente si blocca, e si percepisce un senso d’inutilità, d’impotenza e demotivazione che crescono finché il problema diventa conclamato.

In questi casi, avverte Liotti, la priorità è sempre il ripristino esplicito dell’accordo cooperativo, senza però dare interpretazioni e senza lavorare sui significati, poiché il paziente in quel frangente è in una condizione che non gli consente di avere accesso alle proprie capacità integrative. Al contrario, dobbiamo recuperare l’assetto cooperativo attraverso l’azione, lavorando direttamente dentro la relazione terapeutica, con interventi che riportino all’interno di un’esplorazione congiunta e condivisa: allora le rotture dell’alleanza non solo possono essere riparate, ma diventano un’occasione preziosa per osservare e conoscere il modo di funzionare del paziente e consentirgli ancora una volta di fare un’esperienza emotiva correttiva.

Proprio sul dialogo terapeutico e sulla sua potenziale valenza di esperienza correttiva verte la terza parte del volume.

Liotti pone l’accento sull’importanza di addestramento ed esercizio costante per costruire e mantenere la “mente disciplinata del terapeuta” (Semerari, 1991), che permetta di spostarsi non solo dal sistema dell’accudimento ma anche da quello di rango (sia nella sua dimensione di sottomissione sia in quella di dominanza) per attivare quello della cooperazione paritetica. 

In questa prospettiva occorre evitare la correzione diretta delle credenze patogene, cosa che non farebbe altro che confermare l’idea negativa di sé del paziente, favorendo il dialogo esplorativo e congiunto, anche con qualche self-disclosure del terapeuta rispetto ai propri errori in quanto essere umano fallibile. 

L’importanza dell’alleanza nel dialogo terapeutico

Nella quarta parte Liotti esamina la potenziale risorsa dei trattamenti paralleli integrati. La presenza di un co-terapeuta nel trattamento di pazienti traumatizzati, infatti, mitiga e regola l’attivazione dell’attaccamento, favorendo l’accesso alla dimensione cooperativa, poiché la relazione col terapeuta secondario è meno organizzata dal sistema dell’attaccamento e permette di esaminare in modo riflessivo le attivazioni che emergono nella relazione col terapeuta principale. 

La co-terapia garantisce anche che il paziente entri in relazione con due terapeuti meno spaventati dalle sue manifestazioni sintomatiche, giacché condividono la responsabilità delle decisioni, evitando così la riattivazione di traumi relazionali precoci.

La co-terapia consente anche al paziente di fare esperienza diretta della collaborazione fra due persone che, pur di fronte a possibili divergenze di opinioni, non perdono stima e rispetto reciproci e mantengono un assetto collaborativo. 

Naturalmente non è sempre facile attivare dei trattamenti paralleli integrati: innanzi tutto perché l’efficacia degli stessi è subordinata alla condivisione dello stesso modello clinico e teorico e alla stima reciproca; in secondo luogo perché il paziente potrebbe non essere in grado di indicare con chiarezza l’obiettivo terapeutico o rifiutare la presenza di un altro specialista. 

In questo caso, suggerisce Liotti, non dobbiamo perdere l’occasione di lavorare comunque sull’alleanza terapeutica, esplorando insieme la proposta di una co-terapia in un dialogo aperto e rispettoso, che indica una possibilità, ha un “dito puntato” (Tomasello, 2019) verso quel tema senza forzature.

Ancora una volta Liotti afferma la centralità degli aspetti relazionali e la priorità assoluta dell’alleanza nel dialogo terapeutico. 

EMDR e metodo conversazionale a confronto

La quinta parte del volume esamina il lavoro sulle memorie traumatiche, trattando dell’EMDR e del metodo conversazionale (Meares, 2014). Liotti evidenzia alcune differenze e similitudini tra questi due approcci, ponendo l’accento sull’importanza di affrontare i frammenti più disturbanti dei ricordi senza attivare eccessivamente l’attaccamento. L’obiettivo è portare il paziente a concentrarsi sul significato che il ricordo assume nel presente, favorendo la consapevolezza che ciò che è accaduto appartiene al passato. Questo processo, noto come presentificazione, permette di esplorare insieme i diversi significati che il frammento di memoria può avere oggi.

Liotti, con la sua vasta cultura, ci guida in questa esplorazione utilizzando e incoraggiandoci a utilizzare storie e suggestioni tratte da arte, letteratura, metafore, disegni, mindfulness e qualsiasi altro strumento che, attivando la creatività del paziente, possa aiutarlo a narrare l’inenarrabile per superare l’impotenza e costruire significati alternativi alla propria sofferenza. Solo in questo modo, dice Liotti, è possibile stimolare la ricomparsa dell’”autore” pirandelliano e distanziarsi dagli stati separati dell’io, riconoscendo che non è l’intera persona a sentirsi in quel modo, ma solo una parte di sé bloccata al tempo del trauma e permettendo così di vivere nel presente e “lasciare il passato nel passato” (Shapiro, 2016).

Ma nella cantina dei ricordi traumatici il paziente non ci entra da solo, entra con qualcuno, il terapeuta, che abbia strumenti e forza necessari ad affrontarli insieme a lui: è questo fare squadra che permette al paziente di non attivare troppo l’attaccamento. Solo all’interno di un registro collaborativo, solo dentro l’alleanza tutto diventa possibile: “in compagnia prese moglie il frate”, come amava citare Liotti.

Fanno da appendice al volume alcuni scritti di terapeuti e ricercatori italiani e internazionali che rendono omaggio alla memoria di Giovanni Liotti con calore, affetto e riconoscenza, testimonianza viva di quanto profonda sia stata la sua influenza professionale e umana su coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e lavorare con lui. 

Il suo rigore teorico unito all’apertura all’esplorazione di nuove e diverse prospettive, al confronto continuo, alla generosità del condividere con allievi e colleghi quanto aveva intuito ed elaborato, è rimasto nel cuore e ha illuminato la mente di molti di noi. 

Questo volume è la testimonianza fattiva, non solo nei contenuti, ma anche nella sua forma di opera collettiva, del lascito culturale e umano di Liotti, dei suoi insegnamenti rispetto al valore imprescindibile e fondamentale della collaborazione nel rapporto fra esseri umani. 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ardovini, C., La Rosa, C. e Onofri, A., a cura di (2024). Conversazioni con Giovanni Liotti. Volume 2. Roma, Edizioni ApertaMente Web.
  • Russell Meares, (2014). Un modello dissociativo del disturbo borderline di personalità. Milano, Raffaello Cortina Editore.
  • Semerari, A. (1991). I processi cognitivi nella relazione terapeutica. Roma, Carrocci Editore. 
  • Shapiro, F. (2016). Lasciare il passato nel passato. Roma, Astrolabio Ubaldini.
  • Tomasello, M. (2019). Diventare umani. Milano, Raffaello Cortina Editore.
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