Una piccola ri-lettura psicologia del romanzo “Di chi è la colpa”
La colpa è di tutti, e di nessuno
Diceva un famoso terapeuta familiare, Carl Whitaker, che vivere in famiglia produce stress. Qualche volta questo stress è positivo e gestibile, altre volte il gioco familiare è troppo duro da giocare e si producono conseguenze sullo stato psichico di genitori e figli.
Noi psicologi sentiamo raccontare di questi stress continuamente fra le mura segrete dei nostri studi, ma la letteratura ci fornisce spunti bellissimi dai quali possiamo attingere per riflettere sulle umane sventure. Se è vero infatti che appiccicare intenzioni psicologiche agli autori suona posticcio e non aggiunge nulla alla magia dello scrivere, è vero anche che si possono interrogare i libri come faremmo con le storie delle persone, ritrovando intrecci, spiegazioni, causalità, dubbi e conferme.
Quando studiavo per diventare psicoterapeuta facevo spesso questo gioco e mi capitava di immaginare come sarebbero state le sedute in terapia con i personaggi dei romanzi che avevo letto.
C’erano un sacco di coppie in crisi, (“Signora Bovary ma anche lei però non è mai contenta di nulla!”; “signor Karenin capisco la sua rabbia, ma un tradimento è il sintomo di una crisi, non la causa” ). C’erano bambini non visti, traumi da curare, lutti da elaborare.
Poi c’era la convocazione della fratria dei Karamazov, drop out sicuro. Capirai, con quel babbo lì, che ci vuoi fare?
La stessa idea mi è tornata in mente quando ho letto “Di chi è la colpa” di Alessandro Piperno, edito da Mondadori. Sappiamo come Piperno sia uno degli autori italiani più efficaci nel raccontare le saghe familiari e ciò che accade quando il tuo nido si trova in quel particolare ramo di quel particolare albero genealogico.
Ma siccome ogni albero alla fine si somiglia un po’, “Di chi è la colpa” parla di una storia unica ma anche di temi che ciascuno di noi ha attraversato o testimoniato nel corso della propria vita.
“Di chi è la colpa”: i temi trattati
Per prima cosa parla, appunto, di colpa.
C’è una coppia che litiga, che litiga tanto. Senza svelare nulla, possiamo dire che litiga troppo. E questa coppia è osservata da un figlio prima bambino poi adolescente, che non comprende a fondo i problemi dei genitori, ma ne coglie pienamente la portata emotiva.
Quando due genitori litigano molto, i figli tendono a venire coinvolti più o meno implicitamente nel conflitto: “di chi è la colpa?” gli si chiede, e lui non sa cosa rispondere. Entra dentro un circuito dal quale è difficile uscire, un conflitto di lealtà che impedisce di prendere una parte, sebbene proprio questo venga richiesto.
Il nostro giovane protagonista, nel romanzo di Piperno, dice chiaramente:
Di colpo mi ritrovai intrappolato in un circolo vizioso: più capivo lei, più comprendevo le sue ragioni e più mi sentivo in colpa. Più mi sentivo in colpa, più la detestavo e più provavo pena per lui. Più provavo pena per lui, più mi vergognavo e più capivo lei. Come uscirne?
Ecco una domanda intelligente: come se ne esce? Piperno racconta benissimo quello che accade spesso nella realtà, dove i figli prendono su di sé il conflitto e se ne fanno portatori:
Forse perché, date le circostanze, era la sola opzione emotiva disponibile, o quanto meno quella più a portata di mano. Incapace di tirarlo giù dal piedistallo, sentivo che era meglio accollare ogni responsabilità a me, e che niente come fustigarsi poteva, se non sanare, almeno lenire il mio disagio. Ma guai a sottovalutare il potere osmotico e dirompente del senso di colpa. Se lo fai corri il rischio di aprire nuovi territori di scontro interiore.
Un altro tema centrale nel romanzo, che è anche un tema centrale per esempio nel mio lavoro, è quello delle questioni economiche.
Mi stupisco del perché nella letteratura di psicologia clinica non ci siano lavori sull’importanza delle crisi economiche nelle famiglie, quando in realtà le persone in terapia riportano spesso racconti di fallimenti e problemi patrimoniali che li hanno condizionati nell’infanzia e nell’adolescenza.
Questo libro parla di matrimonio, ma anche di patrimonio. E il protagonista su questo ribalta la propria situazione economica durante la vita, non traendone però benessere.
Contro l’ideale romantico, Piperno ci dice che l’amore non basta, e che forse i soldi non fanno la felicità, ma possono dare una grande mano.
Nel romanzo, questi due elementi, colpa e crisi, sono tenuti insieme dal segreto familiare, altro must di molte famiglie italiane. Il protagonista è un ragazzino ansioso, cresciuto in un ambiente protettivo, che poi si scoprirà pieno di segreti e non detti. Nella crescita avrà sempre difficoltà a dire le cose, come se mantenere il segreto fosse una modalità di comportamento appresa, l’unica sperimentata e quindi l’unica ripetibile, che però ostacola sia il definirsi che il creare un rapporto stabile con il mondo.
È il racconto di un segreto ansiogeno, il cui disvelamento fa pari con il recupero della storia familiare e quindi della propria identità. Ma la scoperta, invece di dare sicurezza, crea ancora più ombre.
A partire dai segreti e da tutto ciò che della propria storia non sa, il romanzo è il viaggio del protagonista che prova a differenziarsi e trovare se stesso. Ma in psicologia si dice che per differenziarsi bisogna essere appartenuti ed è difficile appartenere a una famiglia che ha un passato così segreto: come ci insegna tutta la letteratura dell’orrore, non ci può essere nulla di buono fra i mostri nascosti in cantina.
Insomma, il libro di Piperno è un gran bel romanzo, e a modo suo parla di psicologia molto più di tanti testi psicologici. C’è il tempo del trauma, onnipresente e che non passa mai, ci sono copioni familiari che si ripetono fra le generazioni, c’è la violenza, c’è la difficoltà a crescere e a diventare se stessi. Un romanzo che ci fa immergere in una storia personale che è anche una saga familiare, appassionata ma anche angosciosa. Piperno, giocando con il tempo come sa ben fare, ci offre l’occasione di perderci nelle vite altrui. Che, come ci insegna la psicologia, sono anche un po’ la nostra.