L’interruzione terapeutica di gravidanza
L’interruzione terapeutica di gravidanza è una pratica medica che interrompe il progredire della gravidanza quando viene rilevato un possibile pericolo per la salute della madre, del feto oppure della gestazione stessa. La letteratura mostra che il lutto perinatale reattivo a un’interruzione terapeutica di gravidanza può avere conseguenze psicologiche non solo sulla donna e sull’uomo, ma anche sulla coppia e sulla famiglia.
L’Interruzione Terapeutica di Gravidanza: l’iter medico
L’Interruzione Terapeutica di Gravidanza – o ITG – è una pratica medica volta a interrompere lo sviluppo della gestazione qualora venga rilevato, durante gli screening perinatali, un pericolo per la salute della donna, del feto oppure della gravidanza (Janiak & Goldberg, 2016); al contrario dell’aborto volontario, in Italia questa pratica può essere effettuata anche oltre i novanta giorni di gestazione, ma comunque entro la fine del secondo trimestre di gestazione (L. 194/78).
Alcuni test diagnostici effettuati durante la gravidanza possono essere invasivi ed essere effettuati in situazioni di rischio – come l’amniocentesi o la villocentesi – mentre altri sono non invasivi, come ad esempio l’ecografia (Palka et al., 2007), la risonanza magnetica, l’analisi del DNA fetale libero attraverso le analisi del sangue della gestante (Collins & Impey, 2012) e i test sequenziali: il bi-test e il tri-test (Palka et al., 2007). Nel momento in cui i test diagnostici rilevano un’anomalia fetale, il medico competente è tenuto a riferire alla coppia tale notizia che spesso rappresenta uno shock per i partner (Atienza-Carrasco et al., 2020), specialmente se la madre è sana e se la gravidanza stava proseguendo senza difficoltà (Lalor, Begley & Galavan, 2009). Inoltre, poiché spesso la coppia affronta l’ecografia non come un test diagnostico, ma come un rito e un’opportunità per vedere il feto, spesso è impreparata a una tale notizia (Lalor & Begley, 2006). La diagnosi pone la coppia di fronte a una “perdita scelta e una perdita di scelte”: da una parte l’assenza dell’esperienza generativa ideale e, dall’altra, una prospettiva di malattia, sofferenza o morte del figlio; quindi, come unica alternativa la decisione di interrompere la gravidanza e non dare alla luce il figlio desiderato (Sandelowski & Barroso, 2005; pag. 314, trad. propria).
La letteratura sottolinea che, nel rivolgersi alla coppia, è importante che i professionisti utilizzino un linguaggio comprensibile, per dare ai partner la possibilità di chiedere ulteriori chiarimenti in un secondo momento (Atienza-Carrasco et al., 2020). Nel caso la coppia decidesse di procedere con l’interruzione di gravidanza è importante che gli operatori sanitari forniscano in anticipo tutte le informazioni sui metodi abortivi disponibili (es. parto indotto o intervento chirurgico) e riferiscano dettagliatamente che cosa comportano, in modo che possano essere considerati i vari aspetti e che la decisione sia cosciente, non affrettata oppure dettata dallo stato emotivo (Fisher & Lafarge, 2015). Inoltre, alla coppia deve essere presentata anche la possibilità di vedere e tenere in braccio il feto dopo l’aborto – pratica del meaning making – e specificato tuttavia in anticipo quale potrebbe essere il suo aspetto, in modo tale da sapere che cose aspettarsi in seguito all’aborto (Hunt et al., 2009).
Il momento dell’Interruzione Terapeutica di Gravidanza viene generalmente percepito come preoccupante ed emotivamente, fisicamente e psicologicamente provante per la donna (Fisher & Lafarge, 2015): alcune optano per l’intervento chirurgico perché consente un distacco emotivo dall’evento e difende sia mentalmente che fisicamente dal dolore (Atienza-Carrasco et al., 2020), che assume un ruolo e un significato, talvolta punitivo (Jones, Baird & Fenwick, 2017); invece, altre donne preferiscono il parto indotto perché vissuto come un’opportunità per ‘chiudere il cerchio’ in maniera naturale, creare alcune memorie del feto (Kerns et al., 2012) e riappacificarsi con l’evento potenzialmente traumatico (Lafarge, Rosman & Ville, 2019).
Le conseguenze psicologiche dell’Interruzione Terapeutica di Gravidanza
Per quanto concerne la sintomatologia psicopatologica reattiva all’evento, si è osservato che nelle donne possono emergere disturbi quali depressione (Sullivan & de Faoite, 2017), ansia e disturbi stress-correlati come disturbi da stress acuto, disturbi alimentari e sintomatologia post-traumatica, che in alcuni casi possono rientrare in maniera naturale nel tempo (Kersting et al., 2009). Inoltre, la donna può sperimentare dei sentimenti di disperazione, spossatezza emotiva, tristezza e solitudine (Asplin et al., 2014), che possono essere correlati all’assenza di riconoscimento sociale della perdita (Atienza‐Carrasco et al., 2020), alla non condivisione dell’accaduto onde evitare lo stigma (France et al., 2013), oppure al volontario evitamento di luoghi frequentati da altre gestanti per evitare dei ricordi legati all’evento (Qin et al., 2019). Inoltre, si è osservato come l’Interruzione Terapeutica di Gravidanza interrompa bruscamente la trasformazione dell’identità materna che aveva iniziato a formarsi, lasciando la donna in uno spazio indefinito in cui contemporaneamente si sente madre, ma al tempo stesso non può esprimere questa nuova identità (McCoyd, 2009), o sentirsi legittimata nel farlo per la scelta di interrompere (Lafarge, Rosman & Ville, 2019).
Invece, per quanto riguarda il vissuto paterno reattivo all’Interruzione Terapeutica di Gravidanza, esso è simile a quello della donna (Obst, Due, Oxlad & Middleton, 2021), ma di intensità qualitativamente inferiore, sebbene vi sia la preoccupazione per la salute della partner e per le possibili complicanze che possono verificarsi durante la procedura abortiva (Kecir et al., 2021). Inoltre, gli uomini tendono a sentirsi isolati e a non vedersi riconosciuto il proprio lutto: in ospedale, essi si sentono maggiormente responsabilizzati sugli aspetti burocratici e trattati meno come ‘pazienti’ rispetto invece alla partner. Essi possono sentire il peso delle aspettative sociali che vedono che l’uomo non esprima il proprio dolore per non dimostrarsi vulnerabile e che sia un supporto forte e stabile per la partner. Di conseguenza, spesso gli uomini mettono in secondo piano i propri bisogni e il proprio dolore (Obst, Due, Oxlad & Middleton, 2021). Infine, se poca è la letteratura sul vissuto dell’uomo, ancora più esigua è quella sugli interventi psicologici che, pertanto, sarebbe importante approfondire.
La perturbazione identitaria non viene percepita solo dalla donna, bensì anche dalla coppia e dal sistema familiare (Bowman, 1999). Dopo la perdita, la coppia può vivere un periodo di crisi a causa dell’intensità del lutto (Kersting & Wagner, 2012), e a causa delle diverse modalità di manifestazione del dolore reattivo alla perdita (Korenromp et al., 2005), le quali possono provocare incomprensioni nella diade, che deve ricercare un rinnovato equilibrio (Nazaré, Fonseca & Canavarro, 2012). Inoltre, l’incompiutezza del piano generativo e lo spazio mentale vacante, precedentemente dedicato al feto, provocano, oltre a un’ambiguità di ruoli, anche un’alterazione nei confini tra gli individui e i sottosistemi del sistema familiare (McCoyd, 2009); perciò, in alcuni casi può verificarsi un avvicinamento – a volte eccessivo – del sistema familiare d’origine, che cerca di prestare supporto, mentre in altri casi può occorrere un allontanamento (Atienza-Carrasco et al., 2020).
Come dare supporto nel processo di Interruzione Terapeutica di Gravidanza
Per la coppia, alla tristezza e al dolore può affiancarsi il senso di colpa (Lafarge, Usher, Mitchell & Fox, 2020), causato dalla consapevolezza di aver scelto l’Interruzione Terapeutica di Gravidanza (Maguire et al., 2015). Per superare il lutto è importante che la coppia ridefinisca la propria identità, attribuisca un senso e un nuovo significato all’evento, in modo da renderlo reale e inserirlo all’interno della propria storia (Romanoff & Terenzio, 1998). Questa pratica può essere facilitata dagli operatori sanitari consentendo alla coppia – nella loro libertà decisionale – di vedere il feto, facendolo tenere loro in braccio oppure creando memorie con lui (Hunt et al., 2009).
Dagli studi effettuati sulle donne che hanno praticato un’Interruzione Terapeutica di Gravidanza è risultato che, per elaborare il vissuto e ricongiungersi con l’evento, oltre alla terapia cognitivo comportamentale (Qin et al., 2019), anche per via telematica (Kersting et al., 2011), sono utili gli interventi di arte-terapia (Talamagka, 2023), oppure quelli basati sulla “costruzione della speranza” (Raphi, Bani, Farvareshi, Hasanpour & Mirghafourvand, 2021), che intendono promuovere la creazione e il raggiungimento di nuovi obiettivi futuri, insegnando strategie per fare fronte ai possibili ostacoli (Snyder, 2002). Un altro tipo di intervento riguarda il modello ACCEPT, che si focalizza sull’accettazione dei vissuti emotivi, sia positivi che negativi, sull’identificazione delle distorsioni cognitive legate all’evento e sulla sua ri-narrazione (Goldblatt Hyatt, 2021).
L’Interruzione Terapeutica di Gravidanza può influenzare la progettualità futura della coppia, la quale può aver paura di intraprendere una nuova gravidanza per il timore di vivere un’esperienza simile (Lafarge, Mitchell, Breeze & Fox, 2017). Il modello Double RAINBOW nasce con l’obiettivo di accompagnare la diade lungo la nuova gravidanza (Goldblatt Hyatt & McCoyd, 2023), dal momento che questa può essere vissuta in maniera stressante, fare da trigger per le memorie traumatiche legate all’Interruzione Terapeutica di Gravidanza (Goldblatt Hyatt, 2021), oppure implicare un distanziamento emotivo verso il feto, come protezione da un eventuale rinnovato dolore (Côté-Arsenault & Donato, 2011). In conclusione, poiché si è osservato che l’Interruzione Terapeutica di Gravidanza ha delle conseguenze anche sul piano familiare, uno studio ha proposto anche utilità di includere l’intero sistema familiare negli interventi per la coppia, in modo da dargli gli strumenti per poter sostenere e supportare la coppia nel lutto e nella ripresa (Sun et al., 2020).