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Breve storia dell’intelligenza (2024) – Recensione – Psicologia digitale

Con approccio curioso, stimolante ma rigoroso, Bennett ci fa guardare in modo diverso non solo all’intelligenza artificiale in sé ma anche a noi stessi

Di Chiara Cilardo

Pubblicato il 22 Mar. 2024

Aggiornato il 28 Mar. 2024 12:17

I sistemi di intelligenza artificiale

PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 51) Breve storia dell’intelligenza artificiale – Recensione

Max Bennett non è un neuroscienziato né un esperto di robotica. Detiene diversi brevetti, ha fondato società come Bluecore, un’azienda che utilizza l’intelligenza artificiale per creare modelli predittivi e personalizzare le attività di marketing integrando dati sui consumatori, sul loro comportamento e sui prodotti. Oggi Bennett è CEO di un’altra società di marketing technology, Alby; prima ancora ha lavorato come trader presso Goldman Sachs. Insomma, più che scienziato è un esperto di economia e finanza.

Un imprenditore che ha fondato il suo successo sull’utilizzo delle intelligenze artificiali ma che, a un certo punto, si è chiesto cos’è davvero quella che chiamiamo “intelligenza”.

Gli attuali sistemi di intelligenza artificiale solo in parte hanno eguagliato o superato le nostre abilità. E il motivo è che non si può condensare la storia evolutiva, l’impatto dell’ambiente e del contesto sociale, in un robot. Non ancora, almeno.
Non siamo limitati in quanto esseri umani rispetto a delle macchine; è invece il contrario: potranno pure processare quantità di dati in tempi rapidissimi ma non hanno ancora la capacità di comprendere chi sono, cosa fanno e perché lo fanno.

Può un robot caricare una lavastoviglie?

No, non può. Non esiste attualmente un’intelligenza artificiale in grado di replicare un’operazione così semplice. Può battere chiunque in una partita a scacchi ma non riesce a caricare una lavastoviglie.

Può emulare alcuni compiti e riprodurli in maniera più veloce degli esseri umani ma non sa come gli umani arrivano a svolgere quel compito e non ne comprende il significato. Una calcolatrice è in grado di macinare numeri più rapidamente di un essere umano, questo è certo; ma comprende realmente la matematica? Conosce lo scopo per cui si compie quel calcolo?

La creazione di un’intelligenza incredibilmente più abile e veloce di noi in un determinato, specifico compito, non vuol dire riprodurre un’intelligenza di livello umano. Secondo Bennet, il punto è che dovremmo capire davvero la natura dell’intelligenza umana stessa: come funziona, perché funziona in quel modo e come è arrivata a essere quello che è. Per esempio, spesso agiamo in modo irrazionale e controproducente; che senso ha? Una macchina non lo farebbe; un umano sì. Questo perché l’essere umano nella sua storia evolutiva non ha sviluppato solo competenze logico-matematiche; ma anche abilità sociali, legate al contesto, emozioni.

Il Roomba e le tappe evolutive dell’intelligenza

Nel 1990 Rodney Brooks ha cofondato iRobot, la società che nel 2002 ha presentato la prima versione del Roomba, il robot aspirapolvere. Nella prima versione il Roomba si muoveva in modo casuale, era in grado solo di sterzare di fronte ad un ostacolo e rilevare il segnale proveniente dalla stazione di ricarica, dirigendosi verso quest’ultima arrivato ad un certo livello di batteria. Basilare ma in grado di navigare in un ambiente complesso pur senza una comprensione completa o un modello del mondo circostante (i primi Roomba non erano in grado di mappare l’ambiente).

La storia di Brooks e del suo Roomba ci insegna che la strada è ragionare in termini evolutivi: non è una coincidenza che il primo robot domestico di successo avesse un’intelligenza non molto diversa da quella dei primi cervelli.

E qui sta il punto chiave per Bennett: non possiamo ricreare una vera intelligenza artificiale senza capire esattamente quali sono state le tappe evolutive che hanno portato all’intelligenza così come la consideriamo ora. Ed è per questo che le macchine non possono davvero imparare così come possiamo farlo noi, almeno per ora. Finché i sistemi di intelligenza artificiale non replicheranno con successo ogni parte del lungo viaggio del nostro cervello, non riusciranno a mostrare un’intelligenza simile a quella umana. Ci sono voluti miliardi di anni per arrivare al nostro cervello così come lo conosciamo e utilizziamo oggi: ci sono tappe evolutive che non si possono “saltare”.
Nel modellare le intelligenze artificiali si potrebbe seguire il modello evolutivo, partendo da cose semplici e aggiungendo gradualmente complessità. Va scoperta prima la ruota e, solo dopo, si può costruire una macchina.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bennett, M. (2024). Breve storia dell’intelligenza. Dai primi organismi all’AI: le cinque svolte evolutive del cervello. Apogeo.
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