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Da diversità a neurodivergenza: la sindrome di Asperger esiste ancora?

La Sindrome di Asperger è una forma di neurodivergenza che può presentare limiti e difficoltà, ma anche abilità e interessi unici e funzionali

Di Camilla Chelini, Valeria Giuliani, Nicolò Bianchi

Pubblicato il 16 Feb. 2024

La scomparsa della diagnosi di Sindrome di Asperger

Il 18 febbraio si celebra la Giornata Mondiale della Sindrome di Asperger, un disturbo dello sviluppo ormai ampiamente conosciuto sebbene non più presente all’interno del grande manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5).

La sindrome di Asperger prende il nome dal medico austriaco Hans Asperger, che fu il primo a identificare, studiare e descrivere un gruppo di bambini con comportamenti particolari nell’interazione sociale, negli interessi e nelle modalità comunicative. 

Numerose sono le persone che fino a oggi hanno ricevuto una diagnosi di Asperger; tra queste troviamo anche importanti personaggi famosi come, ad esempio, la giovanissima attivista Greta Thunberg o il noto imprenditore Elon Musk. 

La sindrome di Asperger è stata spesso rappresentata anche sul grande schermo, attraverso rappresentazioni minuziose di personaggi apparentemente bizzarri e dai comportamenti insoliti, ma con spiccate doti intellettive, come nel caso dell’amatissimo Sheldon Cooper in The Big Ben Theory.

Negli ultimi anni, e soprattutto con la pubblicazione nel 2013 del DSM 5 (APA, 2013), si sono registrati numerosi cambiamenti nella concettualizzazione di questa sindrome, la quale è stata eliminata come diagnosi a sé stante per essere inclusa nel più ampio gruppo dei disturbi dello spettro autistico.

L’inquadramento diagnostico della sindrome di Asperger è stato spesso oggetto di revisione nel tempo e tuttora è al centro di numerosi dibattiti all’interno e fuori dalla comunità scientifica. In particolare, le questioni discusse comprendono: eziologia, metodi di classificazione come disturbo conclamato indipendente, inquadramento diagnostico adeguato e il passaggio a “condizione neurodivergente”.

Oltre ad aver acceso il dibattito in campo scientifico, queste numerose novità nella concettualizzazione del disturbo hanno contribuito, in parte, anche a una maggiore confusione in coloro che in passato hanno ricevuto una diagnosi di Asperger e nei loro familiari. 

Sorge infatti spontaneo chiedersi se questa diagnosi esista ancora dal momento che non viene più contemplata dal DSM 5 e se una persona che in passato ha ricevuto questa diagnosi può continuare a riconoscere il proprio funzionamento all’interno di questa concettualizzazione o meno.

Lo stesso Christopher Gillberg, clinico e ricercatore svedese che propose i primi criteri diagnostici per la sindrome di Asperger nel 1989 (cit.), si domandò, di fronte alle novità proposte dall’American Psychiatric Association “Come può una diagnosi, “assegnata” a migliaia di persone provenienti da tanti paesi di tutto il mondo fare capolino per un istante e poi sparire?”. È lo stesso Gillberg a rispondere al quesito, sottolineando come non sia realisticamente possibile pensare che la sindrome di Asperger scompaia dalla realtà clinica, nonostante le ragionevoli motivazioni che possano aver portato il DSM a scegliere questa strada.

Ciò che sembra dunque più plausibile è che, nonostante la mancanza di un esplicito riferimento alla diagnosi di Asperger all’interno dei principali manuali diagnostici, sia comunque doveroso considerare l’enorme patrimonio scientifico che ricercatori e studiosi di tutto il mondo ci hanno fornito fino a oggi e che ha contribuito a una sempre maggiore comprensione dei disturbi dello spettro autistico, nelle loro più svariate sfaccettature, accogliendo dunque il nuovo, senza dover inevitabilmente rinunciare al vecchio.

La sindrome di Asperger oggi

Dalla stesura del DSM-5 del 2013 la Sindrome di Asperger è stata inclusa nei Disturbi dello Spettro Autistico. La specificazione “Sindrome di Asperger” rimane comunque utile nel valutare il livello di funzionamento e la gravità di compromissione del quadro autistico.

Già a partire dai cinque anni, (età in cui nel bambino dovremmo assistere allo sviluppo di competenze di socializzazione man mano più complesse ed organizzate) per il clinico è possibile individuare la specificazione del quadro Asperger sulla più ampia diagnosi di spettro autistico e, grazie a questo, orientarsi verso trattamenti più utili e mirati.  Nell’immaginario collettivo, la persona con condizione Asperger spesso subisce una rappresentazione distorta, che dipinge l’individuo come un solitario insensibile o un genio folle e incompreso. È essenziale comprendere che le persone con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, in cui rientra la sindrome di Asperger, possono possedere livelli di intelligenza, skills individuali, risorse, e fragilità variabili, esattamente come qualsiasi altro individuo. La condizione Asperger rappresenta un modo unico di percepire il mondo, apprendere, interagire e provare emozioni. È una caratteristica intrinseca della persona e non dovrebbe essere etichettata in base a stereotipi limitanti. La sfida è quella di sfatare queste credenze profondamente radicate nella nostra società poiché fin troppe volte le sofferenze non derivano dalla condizione stessa, ma piuttosto dall’ambiente che ci circonda, che spesso manca di comprensione e sostegno adeguato.

La sindrome di Asperger nella storia

Durante il corso della storia, abbiamo assistito a varie interpretazioni e concezioni riguardanti l’autismo e altre condizioni neurodivergenti. È importante riconoscere che spesso sono stati commessi errori significativi sia nella comprensione delle cause di tali condizioni, sia nei modi in cui sono state trattate.

Nell’antichità e nel folklore europeo, ad esempio, si attribuivano le condizioni dello spettro autistico alle fate, credendo che queste sostituissero segretamente i neonati dalle culle delle neomamme. Questa concezione, radicata nella cultura popolare, ha contribuito a una comprensione distorta e superstiziosa che ha lasciato i suoi strascichi fino ai primi anni del novecento.

Successivamente, negli anni cinquanta abbiamo assistito al nascere di teorie che indicavano gli stessi genitori come responsabili diretti dello sviluppo del quadro autistico. Sulla questione, lo psicoanalista austriaco Bruno Bettelheim avanzava l’ipotesi eziologica che individuava l’inadeguatezza delle cure affettive parentali, in particolare quelle materne (madre frigorifero), come principale causa del disturbo. Secondo questa visione, fortunatamente superata, sarebbe l’inadeguatezza della madre come genitore ad impedire il corretto sviluppo dell’IO del bambino. I suoi atteggiamenti, freddi e distaccati, la rendono responsabile della creazione di condizioni favorevoli all’insorgenza della malattia. Da segnalare come questo approccio purtroppo ha portato in molti casi all’allontanamento forzato dei bambini dai genitori (trattamento noto come parentectomia), causando ulteriori sofferenze e divisioni nelle famiglie coinvolte.

Nel 1997, un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista medica Lancet ha invece suggerito un presunto legame tra la vaccinazione trivalente e l’autismo. Questo ha innescato una psicosi sui rischi vaccinali, alimentando movimenti anti-vaccino e causando azioni legali contro i sistemi sanitari. Tuttavia, la ricerca successiva ha dimostrato che l’articolo era basato su dati falsi e fu ritirato, mentre l’autore principale fu radiato dall’ordine dei medici.

Dagli anni 2000, nonostante rimangano incerte le cause della sindrome di Asperger e di altre condizioni dello spettro autistico, alcune ipotesi sembrano suggerire con maggior evidenza scientifica il coinvolgimento di una componente genetica-ereditaria. 

Negli ultimi tempi, ci si è interrogati sul riconoscimento o meno dello spettro autistico (e quindi anche della sindrome di Asperger) come conclamato disturbo. Oggi parliamo di condizione neurodivergente, questo per incentivare un cambio di approccio verso una condizione che non dovrebbe essere di per sé considerata come qualcosa da curare, correggere o combattere. L’Asperger rappresenta una variazione nella modalità di funzionamento della mente, diversa da quella ritenuta tipica secondo gli standard. È importante sottolineare che sull’esperienza dell’Asperger possono sovrapporsi disturbi dell’apprendimento, disabilità cognitive, relazionali o comportamentali, proprio come possono accadere con una mente neurotipica. Tuttavia, in queste circostanze, si parla di disturbi associati a una condizione e, in alcuni casi, può essere opportuno intervenire sui sintomi. È fondamentale distinguere tra disabilità cognitive, dell’apprendimento e neurodivergenze. Mentre queste ultime non richiedono necessariamente interventi correttivi, le prime possono trarre beneficio da interventi mirati per gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita delle persone coinvolte.

Sindrome di Asperger ed educazione alla diversità

In conclusione la Sindrome di Asperger a oggi viene considerata come una forma particolare di autismo che può essere concomitante a difficoltà legate all’interazione sociale, comprensione degli stati emotivi altrui e della loro comunicazione normotipica. Ad oggi le cause che determinano lo Spettro Autistico, tra cui anche la Sindrome di Asperger, sono ancora ignote anche se gli studi più recenti sembrano ipotizzare una base genetico-familiare. È importante che la ricerca su questa specifica condizione continui e vada avanti in tal senso.

La Sindrome di Asperger è una forma di neurodivergenza che può presentare dei limiti e delle difficoltà nella vita di tutti i giorni, ma presenta anche abilità e interessi unici che possono essere utilizzati in modo produttivo e funzionale. La chiave sta nel saper individuare tali capacità e abilità caratteristiche di ogni individuo. É molto importante distinguere tra neurodiversità e patologia, che di per sé è tutta un’altra questione, e va considerato il punto di vista teorico di come viene intesa la neurodiversità in rapporto ad una società che è stata costruita da persone neurotipiche. Hans Asperger (1938) infatti diceva: “non tutto ciò che non è allineato, e dunque anormale, deve essere necessariamente inferiore”

Molti studiosi sottolineano come ancora oggi, purtroppo, siano presenti nella nostra società i retaggi di alcuni stereotipi che decenni di desuete visioni sbagliate hanno contribuito a creare sull’origine e lo sviluppo dell’autismo. La sofferenza che deriva da questa condizione (e non malattia o disturbo) è spesso causata dallo stesso ambiente ostile ed intollerante in cui è inserita. In caso di diagnosi di Sindrome di Asperger si possono incorrere in numerose difficoltà nel rapportarsi e nel vivere di tutti i giorni. Spesso la sfida più grande da parte di chi appartiene allo Spettro Autistico risiede nella società e in come quest’ultima si rapporta nei confronti della diversità. La difficoltà non sta tanto nel vivere da Asperger ma nel vivere in un mondo in cui non c’è un’adeguata educazione alla diversità. Educare alla diversità significa insegnare a vedere che ciò che viene definito “diverso” non è un qualcosa da temere bensì da capire e accogliere. Educare alla diversità favorisce lo sviluppo di intelligenza emotiva, apertura mentale ed empatia. Questo ci aiuterebbe a incoraggiare e a valorizzare ciascuno di noi per la sua unicità indipendentemente da come siamo o da dove veniamo, riducendo episodi di discriminazione, pregiudizio e violenza. Come molte personalità di spicco ci insegnano (es. Greta Thunberg, Susanna Tamaro, Bill Gates, Tim Burton ecc.) la condizione di Asperger, una volta diagnosticata, può essere di aiuto per imparare a valorizzare specifiche abilità e competenze diventando anche leader o personaggi di rilievo non nonostante la Sindrome, ma in ragione di questa. 

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