expand_lessAPRI WIDGET

Breve storia dell’inquadramento clinico dell’autismo

La pubblicazione del DSM-5 ha comportato un cambiamento nella terminologia legata alla diagnosi di autismo e nei sintomi necessari per porre tale diagnosi

Di Gaia Giglio

Pubblicato il 23 Giu. 2022

Con la pubblicazione del DSM-5 (APA, 2013/2014) il Disturbo Autistico e quello di Asperger vengono accorpati all’interno della stessa etichetta diagnostica, ossia il Disturbo dello Spettro dell’Autismo (ASD), che rientra nella nuova categoria dei Disturbi del Neurosviluppo.

AUTISMO E QUALITÀ DI VITA – (Nr. 1) Breve storia dell’inquadramento clinico dell’autismo

 

I coniatori: Kanner e Asperger

 Dal punto di vista storico, l’utilizzo del termine Autismo nel suo senso clinico trae origine negli Anni ’40, quando Leo Kanner (1943) e Hans Asperger (1944), in maniera totalmente indipendente l’uno dall’altro, definiscono due quadri sintomatologici apparentemente molto simili, ma con alcune differenze sostanziali. Kanner (1943) descrive i bambini da lui osservati e definiti autistici come caratterizzati da ecolalia, paura ossessiva dei cambiamenti ambientali e solitudine autistica, definita come una sorta di chiusura e ritiro, come se stessero felicemente in un guscio, ignorando gli stimoli che giungono loro dall’esterno. Ciò che differenzia la Sindrome osservata da Asperger (1944; la quale prenderà successivamente il suo nome; Wing, 1981), sono i seguenti elementi: un eloquio più scorrevole, una difficoltà nell’eseguire movimenti grossolani, ma non quelli fini, e una diversa capacità di apprendere (Jeffrey e Baker, 2013).

Inquadramento nelle varie edizioni del DSM

L’Autismo è stato poi associato alla schizofrenia fino all’arrivo della terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-III; American Psychiatric Association [APA], 1980/1983), che lo distingue chiaramente da essa e lo classifica per la prima volta come entità nosografica indipendente in qualità di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (Jeffrey e Baker, 2013). Con la pubblicazione del DSM-IV (APA, 1994/1995), sono stati poi aggiunti a questa categoria altri disturbi, tra cui quello di Asperger. Tale distinzione diagnostica tra Disturbo Autistico e Sindrome di Asperger è stata mantenuta nel DSM-IV-TR (APA, 2000/2001) e nella decima edizione dell’International statistical Classification of Diseases and related health problems (ICD-10; World Health Organization [WHO], 2016) e ha a che fare principalmente con il ritardo globale del linguaggio e dello sviluppo cognitivo, necessario per la diagnosi di Autismo ma assente in quella di disturbo/sindrome di Asperger (APA, 1994/1995; 2000/2001; WHO, 2016).

Con la pubblicazione del DSM-5 (APA, 2013/2014) avviene un’altra importante rivoluzione per l’Autismo: la categoria diagnostica dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo viene scomposta e ricostituita diversamente, perdendo il suo nome. Il Disturbo Autistico e quello di Asperger (insieme al Disturbo disintegrativo dell’infanzia e al Disturbo pervasivo dell’infanzia non altrimenti specificato, precedentemente inclusi nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo) vengono accorpati all’interno della stessa etichetta diagnostica, ossia il Disturbo dello Spettro dell’Autismo (ASD), che rientra nella nuova categoria dei Disturbi del Neurosviluppo (Ozonoff, 2012; APA, 2013/2014). Questa classificazione è stata poi mantenuta nella versione Text Revision del DSM-5 (DSM-5-TR, recentemente pubblicata; APA, 2022) e adottata anche dall’ultima edizione dell’ICD (WHO, 2022).

Il passaggio dal DSM-IV al DSM-5: da un disturbo a uno “spettro”

Durante l’evoluzione del DSM dalla sua quarta edizione (APA, 1994/1995) alla quinta (APA, 2013/2014), la diagnosi di Autismo ha subìto notevoli variazioni, a partire dall’etichetta diagnostica. L’espressione “Disturbi dello Spettro Autistico” non è in realtà così recente: già nel 1991, infatti, Happé e Frith avevano suggerito questa denominazione diagnostica per definire i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Questa terminologia, seppur inizialmente ignorata dall’APA, è stata rapidamente adottata dai professionisti e si è diffusa nel linguaggio comune (Ozonoff, 2012). Diversi autori si sono soffermati a studiare la relazione tra Autismo e Asperger e la maggior parte di questi (per esempio, Prior, 1998; Frith, 2004) non ha trovato differenze empiriche significative tra i due disturbi e, quando sono state trovate, si trattava di differenze di tipo quantitativo (es. intensità dei sintomi, grado di compromissione funzionale, cognitiva e linguistica), più che qualitativo (Ozonoff, 2012). Con il tempo, anche l’APA (come citato in Jeffrey e Baker, 2013) ha cominciato a sostenere che Autismo e Asperger rappresentassero due condizioni talmente simili, da costituire parti dello stesso continuum; il DSM-5 (APA, 2013/2014; 2022) recita pertanto: “le manifestazioni del Disturbo [dello Spettro Autistico] variano molto anche in base al livello di gravità della condizione autistica, al livello di sviluppo e all’età cronologica; da qui il termine spettro” (p. 61).

 Il secondo fondamentale cambiamento avvenuto con la pubblicazione del DSM-5 (APA, 2013/2014) concerne i sintomi necessari alla diagnosi, i quali, da tre domini (sociale, comunicativo e dei comportamenti ripetitivi), sono stati riformulati in due: (1) interazione e comunicazione sociale e (2) comportamenti ristretti o ripetitivi. L’unione dei domini “sociale” e “comunicativo” in un unico dominio sintomatologico è avvenuta a causa dello stretto legame empirico che si è dimostrato esserci tra i due e, inoltre, per migliorare la specificità e diminuire la sovrapposizione dei criteri diagnostici (King et al., 2014). Ciò che si è mostrato essere fondamentale per la diagnosi di ASD è la compromissione della componente pragmatica (e quindi sociale) della comunicazione, pertanto è stato aggiunto il deficit nella comunicazione come specificatore opzionale alla diagnosi (King et al., 2014). L’adeguatezza di tale modello, detto bi-fattoriale, è stata confermata da vari studi (es. Guthrie et al., 2013).

Sono stati, inoltre, accorpati i sintomi simili tra loro che costituivano causa di sovrapposizione e sono stati eliminati quelli non specifici dello spettro autistico, rendendo i criteri diagnostici più precisi e coerenti (APA, 2022; Ozonoff, 2012).

Infine, nella quinta edizione del DSM (APA, 2013/2014), sono stati introdotti diversi specificatori, in modo da cogliere meglio la natura del disturbo e le sue variazioni individuali, in termini di intensità dei sintomi, grado di compromissione e sofferenza causata (Ozonoff, 2012).

Tutte queste modifiche sono state apportate al fine di rendere la diagnosi e la definizione di Autismo più chiare, precise e adatte a tutti quei quadri sintomatologici che venivano diagnosticati attraverso diverse etichette categoriali durante gli anni passati, ma che in realtà si presentavano estremamente simili, se non, appunto, per la gravità della compromissione funzionale. La creazione di uno spettro diagnostico che raccolga questi disturbi permette di evitare sovrapposizioni diagnostiche e diagnosi differenti in base all’età del soggetto, alle strategie compensatorie apprese e al clinico che lo osserva. Dovrebbe, inoltre, consentire la diffusione di un linguaggio comune tra le diverse comunità scientifiche, tra i professionisti di ogni tipo e tra le varie associazioni, e permettere l’emissione di servizi più adeguati e l’avanzamento della ricerca nel campo dell’Autismo (Ozonoff, 2012; APA, 2013/2014; 2022).

Attuale definizione dell’ASD: DSM-5 e DSM-5-TR

Il DSM-5 (APA, 2013/2014) e il DSM-5-TR (APA, 2022) definiscono il Disturbo dello Spettro dell’Autismo come un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da “compromissione persistente della comunicazione sociale reciproca e dell’interazione sociale (Criterio A), e pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi (Criterio B)” (APA, 2013/2014, p. 61). I sintomi limitano o compromettono il funzionamento quotidiano in diversi ambiti (Criterio D) e devono essere presenti durante la prima infanzia (Criterio C), ma è possibile che siano mascherati da strategie di compensazione apprese nel tempo o che non si manifestino finché le esigenze sociali non superano le capacità del soggetto. Tali alterazioni non sono altrimenti spiegate da disabilità intellettiva o da ritardo globale dello sviluppo (Criterio E; APA, 2013/2014; 2022).

Sono previsti degli specificatori al fine di una descrizione più completa del caso. Essi riguardano la presenza aggiuntiva di: compromissione intellettiva e/o del linguaggio, di una condizione medica, genetica o ambientale nota, di un altro disturbo mentale o comportamentale, di catatonia. Esistono, inoltre, tre livelli di gravità riferiti a entrambi i domini sintomatologici, che indicano la significatività del supporto necessario nell’area della comunicazione sociale e di quello necessario nell’area dei comportamenti ristretti e ripetitivi (APA, 2013/2014; 2022).

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Autismo e ADHD il gender gap nelle diagnosi di neurodivergenza
Neurodivergenza: tra autismo, ADHD e genere

Autismo e ADHD per lungo tempo sono state considerate diagnosi prettamente riguardanti il genere maschile, ma è effettivamente così?

ARTICOLI CORRELATI
Autismo al lavoro - Report da convegno di Milano con Tony Atwood_
Convegno Autismo al lavoro con Tony Atwood – Report dall’evento di Milano

Quali sono le caratteristiche tipiche dell’Autismo che possono avere un impatto in ambito lavorativo e che devono essere tenute in considerazione? 

Autismo: Report dall’ottavo Convegno Internazionale
8° Convegno Internazionale Autismi – Report dall’evento di Rimini

Viste le sfumature dell'autismo è necessario un approccio clinico specifico in base alle peculiari caratteristiche della persona e la sua famiglia

WordPress Ads
cancel