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Neurodivergenza: tra autismo, ADHD e genere

Autismo e ADHD per lungo tempo sono state considerate diagnosi prettamente riguardanti il genere maschile, ma è effettivamente così?

Di Angelica Pipitò

Pubblicato il 29 Mar. 2022

Aggiornato il 01 Apr. 2022 13:47

Perché è presente una diversa incidenza nella frequenza diagnostica di neurodivergenze come Autismo e ADHD così elevata da poter essere definita come un vero e proprio gender gap?

 

Il concetto di neurodiversità (Den Houting, 2019) si sta diffondendo sempre di più non solo all’interno della letteratura scientifica, ma anche nell’attivismo sociale: con neurodiversità si intende la naturale variazione neurologica del funzionamento cerebrale e identifica due grandi sottotipi di funzionamento. Quello più comunemente diffuso è detto neurotipico, mentre quello più raro viene chiamato neurodivergente: in quest’ultima categoria rientrano, ad esempio, il funzionamento autistico e del disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD).

La diagnosi di autismo e di ADHD

Autismo e ADHD per lungo tempo sono state considerate diagnosi prettamente riguardanti il genere maschile: ad esempio, il rapporto maschi/femmine della diagnosi di disturbo dello spettro autistico (ASD) viene identificata come 4:1, ma da tempo ormai si sta affermando l’ipotesi che questa discrepanza dipenda non tanto da una minore incidenza femminile dell’ASD, ma da un miglior camuffamento e masking del genere femminile (Tubío-Fungueiriño, et al., 2021); così come sembra dimostrare anche la simile incidenza diagnostica dell’ADHD tra soggetti adulti di generi differenti, mentre la diagnosi infantile sembra restare ancorata a questa discrepanza (Nussbaum, 2012).

Perché, quindi, è presente questa diversa incidenza nella frequenza diagnostica di neurodivergenze come Autismo e ADHD, così elevata da poter essere definita come un vero e proprio gender gap?

Una delle ragioni riguarda la manifestazione dei sintomi, che si lega di conseguenza alla seconda: la taratura dei criteri diagnostici eseguita con un campione che sembra non considerare a sufficienza le differenze di genere di queste manifestazioni (Haney, 2016). Le persone socializzate secondo il genere femminile sembrano avere manifestazioni più internalizzate rispetto alla loro controparte maschile tanto per l’ADHD quanto per l’ASD.

Come spiegare il gender gap nell’ADHD e nell’autismo?

Per quanto riguarda l’ADHD, le donne tendono ad avere difficoltà più con i sintomi di disattenzione, rispetto a quelli legati all’iperattività e all’impulsività (Lai, et al., 2022) che, quando presenti, comunque tendono a manifestarsi in modalità meno dirompente (ad esempio con comportamenti iper-verbali piuttosto che fisici). In questo modo le donne tendono a ricevere in media una diagnosi in tempi molto più lunghi rispetto agli uomini: se per questi ultimi tende infatti ad arrivare durante l’infanzia, per le donne è molto più frequente in età adulta, spesso con diagnosi errate precedenti (Nussbaum, 2012).

E una situazione molto simile la ritroviamo anche nel caso della seconda neurodivergenza presa in esame oggi, l’ASD: anche se nel DSM-5 è specificato che gli individui di genere femminile potrebbero mostrare manifestazioni diverse, soprattutto per quanto riguarda le difficoltà interpersonali e comunicative, resta ancora predominante il divario nella frequenza della diagnosi di autismo. Infatti, soprattutto nel momento in cui non è presente anche una compromissione cognitiva significativa, le persone di genere femminile tendono a mostrare, all’apparenza, una capacità interpersonale e comunicativa che potremmo definire ‘neurotipica’, almeno all’apparenza più superficiale: questo fenomeno trova una spiegazione nella migliore abilità che le donne tendono a dimostrare nel camuffare, attraverso il masking, queste stesse compromissioni (Tubío-Fungueiriño, et al., 2021). Inoltre, anche per quanto riguarda l’ASD, le donne tendono a mostrare meno aggressività e più manifestazioni e co-occorrenze internalizzate come ansia, disturbi dell’umore e disturbi dell’alimentazione (Haney, 2016).

Queste manifestazioni più internalizzate renderebbero dunque più difficile riconoscere e diagnosticare determinate neurodivergenze nella popolazione femminile, soprattutto perché nel corso del tempo si è sviluppato quello che potremmo definire un vero e proprio bias verso quelle che dovrebbero essere le caratteristiche tipiche dell’ASD e dell’ADHD, basate su un campione prevalentemente maschile con manifestazioni che tendono ad essere più esternalizzate (come aggressività e impulsività). Sia i manuali sia gli strumenti diagnostici sono infatti tarati per rilevare questo secondo tipo di manifestazione in modo più accurato e preciso (Haney, 2016).

Conclusioni

Per riuscire a superare il gender gap nei processi di screening e diagnosi delle neurodivergenze diventa dunque fondamentale riuscire a comprendere da un lato i bias contestuali che influenzano il processo diagnostico e dall’altro come e perché si sviluppano diverse manifestazioni tra i generi, quanto influisce la socializzazione nelle strategie di compensazione e di masking, se e quali sono le influenze ormonali che sottendono queste differenze (Tubío-Fungueiriño, et al., 2021), prendendo in considerazione anche la diversa incidenza delle co-occorrenze più comuni, che si identificano in disturbi d’ansia e dell’umore (Lai, et al., 2022).

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