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Psicologia dello sport: un approfondimento sulla relazione tra ansia e performance sportive

In che modo gli atleti gestiscono l’ansia derivante dalle competizioni sportive e come questa influenza la performance?

Di Daniele Saccenti

Pubblicato il 19 Set. 2023

L’ansia nello sport

Dai tiri che battono la sirena, ovvero buzzer-beating shots, ai gesti tecnici più complessi, come alley-oop, il mondo del basket professionistico, in particolare quello gestito dalla National Basketball Association (NBA), rappresenta uno spettacolo estremamente emozionante per uno spettatore. Al contempo, tuttavia, i professionisti che vengono schierati in campo dai rispettivi allenatori sono chiamati ad affrontare una pressione tale da suscitare alle volte intensi stati di ansia (Correia & Rosado, 2019). Ogni loro passo viene scrutato da milioni di persone e un passaggio, un tiro o un blocco sbagliato possono avere conseguenze difficili da gestire per l’atleta, come le rappresaglie del pubblico pagante, il malumore espresso dai compagni oppure il richiamo in panchina da parte del head coach. A complicare il quadro vi è il fenomeno del trash talking, ovvero la pratica comune di vantarsi e/o insultare i propri avversari in campo o fuori, che può agire come trigger per l’emissione di comportamenti antisportivi (Yip et al., 2018). Detto ciò, una domanda sorge spontanea: come fanno i cestisti a gestire le emozioni derivanti da una competizione così impegnativa non solo sul piano fisico-muscolare, ma anche cognitivo ed emotivo?

Ansia e Prestazioni Sportive: cosa dice la letteratura scientifica?

Storicamente, le ricerche sul rapporto tra ansia e prestazioni atletiche hanno prodotto risultati contrastanti. Alcuni studi suggeriscono che l’ansia possa danneggiare le prestazioni sportive, mentre altri sottolineano che un certo livello di ansia possa effettivamente aumentare le performance degli atleti (Kleine, 1999).

In uno studio recente condotto da Gruda & Ojo (2023) è stato analizzato un campione di circa 12’000 tweet condivisi dai giocatori che militavano in NBA durante la stagione 2021-2022 allo scopo di verificare se l’ansia pre-partita influenzasse le prestazioni sportive dei cestisti nei giorni successivi. In particolare, è stata impiegata una metodologia di analisi linguistica che consisteva nell’utilizzare alcuni aspetti del linguaggio, come la sintassi e la semantica, per estrapolare delle informazioni rilevanti dal corpo di testo; in questo caso, i tweet postati dai giocatori. In altre parole, si trattava di individuare nel testo elementi linguistici specifici che potessero aiutare i ricercatori durante il processo di text-mining, ovvero nell’estrapolare il significato che si celava dietro alle parole scritte dagli atleti. A tale scopo, è stato applicato un algoritmo in grado di predire potenziali stati di ansia a partire dai tweet pubblicati da 81 giocatori NBA. Parallelamente, è stata rilevata anche la performance di questi ultimi in una serie di partite. I ricercatori osservarono che i livelli di ansia pre-partita influenzavano le prestazioni degli atleti. Nel dettaglio, l’ansia aumentava le prestazioni di questi ultimi a seconda di due fattori: l’esperienza nella lega e il tempo trascorso sul campo di gioco. I veterani, cioè coloro che avevano passato un ampio lasso di tempo sul campo e accumulato anni di esperienza in NBA, sembravano infatti interpretare positivamente gli stati ansiosi che precedevano le partite. Questi stati di ansia venivano sfruttati dai veterani a proprio vantaggio, interpretandoli come un segnale che li spingeva a dare il massimo. Al contrario, i rookie, ovvero i nuovi arrivati, che avevano giocato un numero inferiore di minuti e che avevano meno esperienza nella lega rispetto ai primi, sembravano vivere l’ansia pre-partita come un ostacolo piuttosto che come una spinta alle proprie prestazioni. Non è un caso che le performance migliorassero significativamente solo nel gruppo dei veterani.

Considerazioni finali

Questi risultati suggeriscono pertanto che l’ansia e lo sport, siano profondamente legati tra loro. Inoltre, è opportuno sottolineare che l’ansia non sortisca unicamente un effetto peggiorativo sulle prestazioni degli atleti, bensì possa alle volte aiutare quest’ultimi a essere più performanti durante le gare, soprattutto se si tratta di professionisti esperti. All’interno di questo quadro può essere d’aiuto un richiamo alla legge di Yerkes & Dodson (1908), ovvero un modello di relazione tra stress e prestazioni che postula che la performance migliore venga conseguita da un individuo nel momento in cui quest’ultimo è sottoposto a un livello intermedio di stress. Al contrario, livelli di stress molto bassi o molto elevati porterebbero invece a prestazioni peggiori, dando così vita, sul piano cartesiano, a una sorta di “U rovesciata” che è stata osservata anche negli atleti (Raglin & Turner, 1999).

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