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Chi è la crocerossina: la sindrome di Wendy

Wendy è tutte quelle donne e quegli uomini che, nel gratificare l’altro a discapito dei propri bisogni, si riconoscono nella sindrome da crocerossina

Di Micol Agradi

Pubblicato il 03 Lug. 2023

Nella sindrome di Wendy, anche nota come Sindrome della crocerossina, la persona impronta la sua esistenza sulla cura dell’altro bisognoso. Alla base c’è la credenza di doversi meritare l’amore attraverso il sacrificio, pena l’abbandono e il rifiuto. Spesso, questa sindrome cela una personalità dipendente che dovrebbe essere aiutata ad affrontare la separazione e ad auto-affermarsi.

Perché si chiama Sindrome di Wendy?

 Per conoscere la Sindrome di Wendy può essere utile ripercorrere le origini del nome, quando il termine fu coniato ispirandosi alla favola di J.M. Barrie “Peter Pan”. Nel racconto, Wendy è una bambina di 10 anni che, a causa delle complicate condizioni di vita, è obbligata a diventare adulta prima del previsto, occupandosi dei suoi fratelli e dell’amico d’avventure Peter Pan. Wendy si offre volontariamente e con piacere di conservare l’ombra dell’amico affinché non si sgualcisca, accettando di accompagnarlo nelle peripezie dell’Isola che non c’è e, qui, di diventare la mamma accudente di tutti i bambini sperduti.

Wendy non si lamenta del ruolo da adulta che ha dovuto precocemente assumere e, anzi, è felice di offrire aiuto e di essere riconosciuta dall’altro come una figura di supporto.

Wendy è tutte quelle donne e tutti quegli uomini che, nel proteggere e gratificare l’altro a discapito dei propri bisogni, si riconoscono nella sindrome della crocerossina.

Quali sono le caratteristiche della crocerossina

Anche se le donne tendono ad essere più colpite, gli uomini non ne sono immuni: in ogni caso, si tratta di persone che si mostrano particolarmente accudenti, protettive, premurose e orientate alla soddisfazione dell’altro, senza sentire di pagare il costo di mettere in secondo piano le proprie opinioni ed esigenze.

Che sia nei confronti di genitori, figli, fratelli, amici o partner, tali comportamenti sono intrapresi con assoluta consapevolezza e intenzionalità: la credenza alla base di queste persone è “Esisto fino a che c’è qualcuno da curare”, perché solo attraverso il sacrificio si sentono vive e di valore.

I comportamenti risanatori nei confronti dell’altro appagano la persona con la sindrome della crocerossina che, nel rendersi indispensabile per l’altro, lo tiene a sé escludendo l’eventualità di abbandono o rifiuto. Il circolo vizioso, dunque, vuole che queste condotte assistenziali siano percepite come necessarie affinché la relazione possa andare avanti, pena il venir meno del motivo per cui l’altro può rimanere legato a sé.

Visto che la persona con la sindrome della crocerossina può esistere solo se c’è qualcuno da accudire, non è un caso che queste persone scelgano di costruire delle relazioni affettive con partner bisognosi. Solitamente, i partner soccorsi sono individui un po’ complicati, inafferrabili o problematici che, fin dall’inizio, trasmettono la sensazione che potrà essere difficile stare vicino a loro. Questo tema non fa altro che attivare lo schema protettivo di chi ricopre i panni della crocerossina, che così si sente ingaggiato/a nella sua missione di vita: “Io ti aiuterò e tu starai meglio, così mi sarai riconoscente e mi amerai”.

La psicoterapia per la personalità dipendente

Se dovessimo esplorare le credenze di chi presenta la sindrome della crocerossina, probabilmente queste sarebbero simili alle seguenti (Quadrio, 1982):

“Io sono indispensabile”

“L’amore richiede un certo sacrificio”

“Gli altri intorno a me non devono arrabbiarsi”

“Gli altri vanno protetti”

 Come possibile evincere da queste convinzioni profonde, spesso dietro il ruolo di crocerossina si cela una personalità di tipo dipendente, caratterizzata da un pervasivo ed eccessivo bisogno di essere vicino all’altro, anche a costo di sottomissione. La paura centrale è quella di ritrovarsi soli, senza nessuno a cui badare e, dunque, da cui essere protetto: l’idea che non ci sia nessuno da aiutare spaventa la persona che fa da crocerossina, che impernia l’idea di sé sull’essere utile e indispensabile per qualcuno. L’amore, infatti, non viene vissuto come qualcosa di gratuito e incondizionato, bensì come qualcosa da doversi meritare con azioni di cura.

Le radici di questo funzionamento sono frutto dell’interazione fra molteplici variabili sperimentate dall’infanzia all’oggi di queste persone: il temperamento, i tratti di personalità, l’educazione genitoriale, le esperienze traumatiche, lo stile di vita, i bisogni e le circostanze attuali.

Per poter venire fuori dalla sindrome di Wendy, iniziare un percorso di psicoterapia potrebbe essere una buona soluzione. Per poter essere veramente efficace, però, questo dovrebbe avere specifici obiettivi:

  • Esplorare innanzitutto la storia di vita della persona, cercando di capire quale clima familiare ha respirato e da quali dinamiche relazionali ha imparato che l’amore ha un prezzo che deve essere guadagnato;
  • Comprese le radici della personalità dipendente, il terapeuta potrebbe spingere la persona a guardare più da vicino i propri timori abbandonici e di rifiuto, tentando di ristrutturare la disfunzionalità delle credenze di sé che li sostengono;
  • Aiutare il paziente ad accettare la consapevolezza che gli eventi di separazione sono possibili e tollerabili e, in parallelo, sostenerlo/a nella sua individuazione, incentivando opportunità di auto-affermazione finora inesplorate;
  • Svolgere un cospicuo lavoro sulla bassa autostima del paziente, che dovrebbe essere guidato/a a costruire un’idea di sé di valore centrata sui propri bisogni e non più condizionata dal soddisfacimento di quelli degli altri.
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