expand_lessAPRI WIDGET

La felicità nella teoria delle emozioni di base e spunti dalle neuroscienze affettive

Come funziona l'emozione della felicità e quali sono i meccanismi neurobiologici sottostanti? Alcune evidenze scientifiche possono aiutare a fare chiarezza

Di Daniele Saccenti

Pubblicato il 11 Lug. 2023

Aggiornato il 13 Lug. 2023 15:48

La teoria delle emozioni di base postula l’esistenza di esperienze ed espressioni universali, innate e a prescindere dalle diverse culture. Tali emozioni vengono definite “primarie” e comprendono: la rabbia, la paura, la gioia o felicità, la tristezza, la sorpresa e il disgusto (Ekman, 1992).

La felicità nella storia della psicologia

Fin dai tempi di Aristotele, la felicità è stata considerata come la somma di due aspetti: l’edonia, ovvero il piacere, e l’eudaimonia, lo scopo di condurre una vita degna di essere vissuta (Annas, 1998). Il legame tra piacere e felicità, in particolare, ha una lunga tradizione nella storia della psicologia. Sigmund Freud, per esempio, sosteneva che gli individui “si sforzano di essere felici; vogliono diventare felici e rimanere tali. Questo sforzo avrebbe due componenti. Da un lato, l’essere umano mira all’assenza di dolore o dispiacere e, dall’altro, a provare forti sentimenti di piacere” (Freud & Riviere, 1930, p. 76). Una prospettiva divergente è che la felicità dipenda unicamente dall’eliminazione del “dolore e del dispiacere” così da consentire all’individuo di perseguire liberamente i propri scopi. Questa visione conferisce infatti un ruolo marginale all’edonia nella generazione della felicità, ma si adatta perfettamente alle parole di William James che, quasi un secolo fa, afferma: “La felicità, ho scoperto di recente, non è un sentimento positivo, bensì una condizione negativa di libertà da una serie di sensazioni restrittive di cui il nostro organismo sembra di solito la sede. Quando queste vengono eliminate, la chiarezza e la limpidezza del contrasto costituiscono la felicità” (James, 1920, p. 158).

Felicità come emozione universale

Nell’ambito delle neuroscienze affettive, le teorie delle emozioni di base si configurano tra quelle maggiormente accreditate da un punto di vista scientifico. Queste ultime postulano l’esistenza di emozioni universali, ovvero esperienze ed espressioni uniche, innate e condivise tra le culture. Tali emozioni vengono definite “primarie” e, in laboratorio, sono state associate a particolari espressioni facciali rintracciabili in individui di generi ed etnie differenti. Le emozioni primarie comprendono: la rabbia, la paura, la gioia (o felicità), la tristezza, la sorpresa e il disgusto (Ekman, 1992). Le teorie delle emozioni di base affondano tuttavia le proprie radici nella prospettiva evoluzionistica introdotta da Charles Darwin, il quale fu il primo a suggerire che le espressioni affettive costituissero delle mere risposte adattive alle situazioni ambientali in cui si trovava l’individuo. Secondo le teorie evoluzionistiche, le emozioni provate dall’essere umano sono state selezionate e conservate nel corso dei secoli, in quanto segnali efficaci nel garantire la sopravvivenza della specie (Plutchik, 1980). In effetti, sia le emozioni positive, per esempio la felicità, che quelle negative, come la tristezza, presentano lampanti funzioni adattive (Nesse, 2004). Per esempio, la felicità ci segnala che abbiamo raggiunto uno scopo e che quindi possiamo concentrarci su altro obiettivo o goderci un momento di meritato riposo. La tristezza ci segnala invece il fallimento di un nostro scopo e ci spinge a riorganizzare il nostro comportamento qualora volessimo continuare a perseguirlo (Castelfranchi, 2022).

Verso le basi neurobiologiche della felicità

Dato il potenziale contributo dell’edonismo alla felicità, è opportuno dedicare uno spazio alla comprensione dei meccanismi cerebrali associati al piacere, i quali sono peraltro presenti e similari nella maggior parte dei cervelli dei mammiferi.

Le evidenze scientifiche sul tema suggeriscono che i circuiti neurali coinvolti nel piacere derivante dalla soddisfazione di bisogni fondamentali, come dal cibo e dal sesso, si sovrappongano a quelli coinvolti nel piacere associato alla soddisfazione di bisogni secondari, per esempio denaro, arte, musica o altruismo (Kringelbach 2010).

All’interno di questi circuiti, un neurotrasmettitore in particolare costituisce la fonte primaria dei segnali di piacere provati dall’organismo: si tratta della dopamina. La via dopaminergica maggiormente coinvolta nei meccanismi di ricompensa è il cosiddetto sistema mesolimbico. Quando facciamo esperienza di stimoli gratificanti, questo circuito si attiva e provoca il rilascio di dopamina (Small et al. 2003; Cameron et al. 2014). Dai piaceri derivanti dall’utilizzo di droghe a quelli associati alla vincita di somme più o meno cospicue di denaro, alla vista di un quadro o all’ascolto di una canzone sembrano tutti coinvolgere i medesimi sistemi cerebrali. È dunque probabile che anche il piacere derivante dalla soddisfazione di bisogni di natura sociale, come trascorrere del tempo in compagnia di altri esseri umani, attinga alle stesse radici neurobiologiche che regolano i piaceri sensoriali.

Questa possibile sovrapposizione tra circuiti neurali offre senz’altro l’opportunità di ipotizzare dei principi cerebrali più ampi del piacere che possano contribuire alla comprensione del fenomeno della felicità.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Annas, J. (1998). La morale della felicità in Aristotele e nei filosofi dell'età ellenistica. Vita e Pensiero.
  • Cameron, C. M., Wightman, R. M., & Carelli, R. M. (2014). Dynamics of rapid dopamine release in the nucleus accumbens during goal-directed behaviors for cocaine versus natural rewards. Neuropharmacology, 86, 319–328.
  • Castelfranchi, C. (2022). Il valore degli scopi: non solo duplice ma ibrido. Sistemi intelligenti, Rivista quadrimestrale di scienze cognitive e di intelligenza artificiale, 3, 471-488.
  • Ekman, P. (1992). An argument for basic emotions. Cognition & emotion, 6(3-4), 169-200.
  • Freud, S. & Riviere, J. (1930). Civilization and Its Discontents. New York: J. Cape and H. Smith.
  • James, W. (1920). To Miss Frances R. Morse. Nanheim, July 10, 1901. In: James H. (Eds). Letters of William James. Boston: Atlantic Monthly Press.
  • Kringelbach, M. L. (2010). The Hedonic Brain: A Functional Neuroanatomy of Human Pleasure. In: Kringelbach, M. L., Berridge, K. C. (Eds). Pleasures of the Brain. Oxford: Oxford University Press. pp. 202–221.
  • Nesse R. M. (2004). Natural selection and the elusiveness of happiness. Philosophical transactions of the Royal Society of London. Series B, Biological sciences, 359(1449), 1333–1347.
  • Plutchik, R. (1980). A general psychoevolutionary theory of emotion. In: R. Plutchik & Henry Kellerman (Eds.) Theories of Emotion. Academic Press.
  • Small, D. M., Jones-Gotman, M., & Dagher, A. (2003). Feeding-induced dopamine release in dorsal striatum correlates with meal pleasantness ratings in healthy human volunteers. NeuroImage, 19(4), 1709–1715.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Felicità: la realizzazione come segreto di una vita appagante
Dalla felicità alla realizzazione: il segreto di una vita appagante

La felicità è un'emozione, quindi destinata a breve durata; desiderare continuamente uno stato di felicità può portare aspettative irrealistiche e delusione

ARTICOLI CORRELATI
Si può vivere senza ansia?

Eliminare l'ansia non è possibile, ma imparare a conviverci sì. Per riuscirci è d'aiuto fare riferimento ad alcune tecniche di psicoterapia

Dipendenza affettiva e ansia da relazione
Ansia da relazione e dipendenza affettiva

Nelle relazioni sentimentali sono diversi i meccanismi disfunzionali che possono instaurarsi, tra questi la dipendenza affettiva e l'ansia da relazione

WordPress Ads
cancel