In questo articolo ci soffermiamo sul modello del gioco d’azzardo patologico presentato da Blaszczynski e Nower (2002), che tentano di integrare fattori biologici, di personalità, teorie dell’apprendimento e fattori ambientali.
Gioco d’azzardo: croce e delizia dei tempi moderni
La dipendenza da gioco d’azzardo (non ludopatia come ancora viene erroneamente definita) è una patologia che sta diffondendosi a macchia d’olio in tutto il mondo, a cui non si sta dando la giusta rilevanza al pari delle dipendenze da sostanze stupefacenti. Probabilmente è l’assenza concreta e visibile di un qualcosa di pericoloso per la nostra salute o probabilmente è il termine “gioco” a deviare da quella che è l’effettiva tossicità del gioco d’azzardo.
È per questo motivo che nell’ultimo ventennio molti studiosi specializzati nelle addiction hanno deciso di dedicare le ricerche proprio a tale fenomeno, al fine di dare una maggiore e veritiera conoscenza del gioco in termini patologici, di saperla riconoscere e di fornire strumenti attraverso cui intervenire.
Cosa significa dipendenza?
Per dipendenza si intende “un’alterazione del comportamento che da semplice e comune abitudine diventa una ricerca esagerata del piacere attraverso mezzi, sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica” (DSM 5) o, volendo citare Griffiths (2005), la differenza tra un sano entusiasmo, sebbene eccessivo, e la dipendenza patologica è che i sani entusiasmi arricchiscono la vita mentre le dipendenze la impoveriscono.
Nel caso specifico del gioco d’azzardo, l’American Psychiatric Association (APA) lo riconosce clinicamente come una patologia già nel 1980 inserendolo, infatti, nella terza versione del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) descrivendolo come un comportamento persistente, resistente e maladattivo di gioco che comprende aspetti di vita personali, lavorativi e familiari del soggetto (Goudriaan et al., 2004). Qualche anno più tardi (1992) l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) lo presenta, invece, come un disordine del comportamento e degli impulsi che consiste in frequenti e ripetuti comportamenti di gioco che dominano la vita del soggetto e ne compromettono i vari contesti in cui è coinvolto. Viene introdotto, quindi, il termine “impulso” come se questo comportamento sfuggisse alla volontà e alla razionalità della persona, cosa che non consente di considerarlo una vera e propria dipendenza. In effetti, nella quarta versione del DSM il cosiddetto gioco d’azzardo patologico viene inserito sotto la categoria “Disturbo del Controllo degli Impulsi”, supportato da studi che ne indagano la relazione (Sareri e Gori, 2012) e che introducono anche altri fattori che potrebbero assumere il ruolo di mediatori o moderatori, come evidenziato dallo studio di Chimienti e De Luca (2012), che coinvolgono gli stili di attaccamento e che approfondiscono tale legame col gioco e l’impulsività anche nei familiari dei partecipanti in questione.
Il gioco d’azzardo secondo l’ipotesi eziopatogenetica
È solo con l’entrata in vigore della quinta versione del DSM (2013) che il gioco d’azzardo viene inserito nella macrocategoria dei “Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction”. Viene definito, perciò, un comportamento problematico ricorrente o persistente legato al gioco d’azzardo che comporta un disagio clinicamente significativo.
Affinché si possa diagnosticare un disturbo da dipendenza da gioco d’azzardo è necessario che si verifichino 4 delle 9 condizioni complessive individuate dagli studiosi che hanno redatto il manuale, ovvero:
- la persona è completamente assorbita dal gioco d’azzardo;
- compromissione o perdita di relazioni significative;
- bisogno di aumentare la quantità di denaro;
- irritabilità;
- dopo una perdita, il soggetto ritorna a giocare per recuperare il denaro perso;
- ripetuti tentativi di ridurre il tempo dedicato al gioco;
- prestito di denaro da altri;
- utilizzo del gioco per sfuggire ai problemi;
- il soggetto mente ai familiari.
Tale patologia è stata indagata attraverso vari approcci (soprattutto quello psicodinamico e cognitivo-comportamentale), in questo articolo ci soffermeremo sul modello presentato da Blaszczynski e Nower (2002), che tentano di integrare fattori biologici, di personalità, teorie dell’apprendimento (in particolare il condizionamento operante) e fattori ambientali in una cornice teorica più ampia. Tale modello presuppone l’esistenza di tre vie che possono portare al gioco d’azzardo patologico dalle quali possono nascere tre tipologie di giocatori.
Il modello di Blaszczynski e Nower
Il modello di Blaszczynski e Nower prevede:
- fattori ecologici
- vulnerabilità emotiva
- vulnerabilità ecologica
I fattori ecologici comprendono l’apprendimento attraverso la teoria del condizionamento operante, ovvero, la spiegazione dell’interiorizzazione di un comportamento quando si ottiene una ricompensa dall’esterno subito dopo averlo attuato, o, viceversa, l’estinzione dello stesso a seguito di una punizione (Avanzi, 2022).
Nel caso del giocatore, una vincita può portare alla costruzione di una serie di schemi cognitivi costituiti da quelle che in ambito psicologico vengono definite fallacie (Leonard, C. A., & Williams, R. J., 2016). Per esempio, la fallacia dello scommettitore che implica che due eventi indipendenti vengono considerati legati tra loro; la fallacia dell’esito caldo e della mano calda; la fallacia del giocatore o di Montecarlo, secondo la quale, dopo una serie di eventi negativi ne seguirà uno positivo; le illusioni di controllo.
L’instaurazione di questi schemi cognitivi spiega l’abituazione, ovvero, la ripetuta messa in atto di quelle sequenze comportamentali che, secondo il giocatore, hanno maggiori probabilità di portare ad una vincita.
Il secondo fattore è la vulnerabilità emotiva e, parallelamente, i tratti impulsivi: presenza di disturbi di personalità, disturbi dell’umore, ansia, depressione, ADHD, impulsività, comportamenti antisociali, abuso di sostanze.
Infine, la vulnerabilità biologica, ovvero l’alterazione nei circuiti serotoninergici, dopaminergici e noradrenergici, responsabili del cosiddetto sistema di gratificazione.
Secondo Blaszczynski e Nower, da queste tre vie si distinguerebbero tre tipologie di giocatori:
- Giocatori senza psicopatologia: sono persone senza alcun problema psicologico ma che sviluppano la dipendenza a seguito dell’instaurarsi degli schemi cognitivi precedentemente descritti. Sono presenti sintomi ansiosi e depressivi come conseguenza del gioco e di ciò che di negativo comporta.
- Giocatori emotivamente labili: sono soggetti con tratti ansiosi e depressivi già prima della dipendenza dal gioco che, in seguito ad essa, vengono accentuati. Hanno difficoltà nell’affrontare gli imprevisti e le situazioni stressanti del quotidiano.
- Giocatori con tratti antisociali: oltre ad essere persone con vulnerabilità emotiva e biologica, come nella seconda tipologia, presentano anche tratti antisociali, comportamenti impulsivi e difficoltà di attenzione.
Tale modello può risultare utile in quanto capace di integrare più fattori e dare una visione completa di ciò che significa avere una dipendenza dal gioco d’azzardo. Sicuramente è necessario dare più rilevanza a tale fenomeno, non solo attraverso gli studi che riescono a rilevare l’effettiva disfunzionalità del comportamento e di ciò che esso comporta, anche nell’ambiente circostante al giocatore (famiglia, amici, lavoro), ma soprattutto attraverso provvedimenti legali e giuridici che ne possano ridurre la diffusione.