
Lo sviluppo del web e dei social media ha ampliato la possibilità di mantenere stabili contatti e facilitato lo scambio di informazioni, ivi incluse le fake news o le notizie che possono incutere paura e preoccupazione.
Disinformazione e fake news
Il tema della disinformazione è da tempo oggetto di attenzione in ambito politico-militare poiché è noto che l’opinione pubblica possa essere manipolata (Nelson et Taneja, 2018), al fine di promuovere confusione, panico e indurre comportamenti incontrollabili. Negli ultimi anni il proliferare di notizie false ha riguardato anche il settore sanitario con particolare riferimento a tematiche importanti come ad esempio il cancro (Chen et al, 2018), i virus Zika (Lyons et al, 2019) ed Ebola (Sell et al, 2020) nonché la sicurezza alimentare e dei vaccini antinfluenzali (Oh et Lee, 2019 – Bode et Vraga, 2018) o di quello morbillo-parotite-rosolia (Carrieri et al, 2019). Tale scenario ai nostri giorni ha, inevitabilmente, un forte impatto sullo stato di salute e di benessere psicofisico (Pan et al, 2021 – Lazer et al, 2018) poiché in particolari condizioni le credenze false limitano l’accesso alle cure, la sopravvivenza (ANSA (a.), 2021) e la capacità di gestione dei fattori di stress (Kwong et al, 2020 – Taquet et al, 2020 – Huang et al, 2021), rendono più inclini ad avere una percezione negativa del futuro (Trzebiński et al, 2020) e inducono a scegliere strategie di coping meno adattive (Sharif et al, 2022 – Schäfer et al, 2020), causando un progressivo logoramento della resilienza (Hao et al, 2021) e l’incremento delle diagnosi di alcuni disturbi psichiatrici (Gutentag et Asterhan, 2022 – Celmece et Menekay, 2020 – Nenov-Matt et al, 2020 – Liu et al, 2020 – Taylor et al, 2020) fra cui l’ansia (Pappa et al, 2020 – Rossi et al, 2020).
Il termine fake news ha accresciuto la propria notorietà a livello mondiale nel corso della pandemia di COVID 19. Si tratta, infatti, di un periodo storico in cui le persone hanno dovuto imparare a convivere ed a affrontare un nemico nuovo e imprevedibile (Cohen-Louck et Levy, 2021), hanno subito lunghe esperienze di isolamento (Wilder-Smith et Freedman, 2020 – Druss, 2020 – Smith et Lim, 2020), hanno sofferto la solitudine (Lim et al, 2022 – Peplau et Perlman, 1982) ed hanno vissuto una condizione di precarietà socio economica (The New England Journal of Medicine, 2020 – Shechory Bitton et Laufer, 2021). Tale complessa situazione, coniugata ad un scenario caratterizzato da una grande incertezza (Reizer et al, 2020), ha generato un terremoto di forte magnitudo a cui è seguito uno tsunami che ha inondato il pianeta con una quantità eccessiva di notizie di cui molto spesso non è stato possibile rintracciare e vagliare con accuratezza la fonte (WHO, 2022). Ad esempio, è stato verificato che in Italia nei primi mesi del 2020 gli articoli contenenti informazioni non veritiere sono stati condivisi 2.352.585 volte (Moscardelli et al, 2020) e che gli “infodemic monikers” (informazioni errate che possono dare origine a errori interpretativi) hanno avuto una diffusione capillare su tutto territorio nazionale (Rovetta et Bhagavathula, 2020). La pandemia è stata, quindi, affiancata da una infodemia (Zarocostas, 2020 – Hua et Shaw, 2020) che ha permesso la diffusione di idee o credenze che hanno indotto una parte della popolazione a diffidare dei vaccini (Biasio et al, 2021) ed a manifestare reazioni emotive di sfiducia nei confronti dei provvedimenti adottati per far fronte all’emergenza sanitaria (Biasio et al, 2018 – ANSA (b.), 2021 – ANSA (c.), 2021).
Le fake news hanno una particolare capacità di diffusione poiché risultano facilmente credibili. Tali notizie, infatti, sono costruite in modo tale da intercettare e mantenere una coerenza con un bacino di dati scientifici reali e sono alimentate dalla paura di morire oltre che dalla necessità di ricercare chiarezza, coerenza e soluzioni che consentano di superare situazioni di crisi o di pericolo anche potenziale. In tali circostanze, la preoccupazione, una delle componenti tipiche dell’ansia, facilita la concatenazione di pensieri persistenti e ripetitivi che spingono l’individuo a cercare rassicurazioni, nuove informazioni o distrazioni che impediscono il normale processo di autocontrollo (Luo et al, 2021) e continuano ad alimentare la paura, il panico o il senso di incertezza, favorendo la formazione di convincimenti o comportamenti irrazionali (Fernández-Luque et Bau, 2015).
La paura è essa stessa uno stato emotivo “contagioso”. La necessità di sopravvivere ha permesso di sviluppare nel corso dell’evoluzione un complesso circuito neuronale che permette alla corteccia cingolata anteriore di trasferire all’amigdala basolaterale gli stati emotivi colti durante le interazioni sociali (Smth et al, 2021) e consente la trasmissione di segnali di pericolo da una persona all’altra. Lo sviluppo del web e dei social media ha ampliato la possibilità di mantenere stabili contatti e facilitato lo scambio di informazioni (ivi incluse quelle false o che possono incutere paura o preoccupazione) al punto che internet è, ormai, considerato una delle fonti primarie di conoscenza oltre che una comunità globale che offre libero accesso ad informazioni o consigli anche su problematiche attinenti alla salute (Monzani et al, 2021 – Zhang et al, 2020). Si pensi, ad esempio, che in Cina nell’ultimo trimestre del 2020 l’applicazione WeChat ha raccolto 1,2 miliardi utenti attivi al mese e che altre applicazioni hanno riportato giornalmente 224 milioni di presenze (Statista, 2020) mentre in Europa un cittadino su due di età compresa fra i 16 ed i 74 anni cerca online informazioni relative alla salute (Eurostat, 2020).
La ricerca su internet è, tuttavia, resa possibile attraverso algoritmi in grado di rilanciare informazioni pubblicizzate e/o di riproporre argomenti affini a quelli precedentemente richiesti, fornendo un output quantitativo importante di cui è difficile verificare la qualità. In questo mare magnum è possibile che gli utenti possano essere indotti a credere a informazioni errate a causa del “bias di conferma” (Kahneman, 2011) e del “bias di negatività” (Rozin et Royzman, 2001). Il primo è definito come la tendenza a visualizzare in modo preferenziale informazioni coerenti con le proprie opinioni o pregresse conoscenze mentre il secondo descrive la propensione ad accettare notizie coerenti con la propria situazione emotiva.
Il ricorso alle tecniche di neuroimaging consente di comprendere meglio il ruolo della paura nella diffusione delle fake news. Al riguardo, è stato verificato (VanElzakker et al, 2018) che, durante la rievocazione di situazioni di pericolo, l’amigdala può risultare iperattiva e causare un comportamento stimolo risposta anomalo, le strutture della corteccia prefrontale, che normalmente antagonizzano l’amigdala, possono risultare poco reattive e quindi incapaci di reprimere lo stimolo della paura, l’ippocampo può avere un funzionamento anormale e causare fenomeni di ipermnesia (Desmedt et al, 2015) ovvero di un abnorme aumento della capacità di rievocare scenari potenzialmente negativi e di amnesia contestuale (Al Abed et al, 2020). Ciò riduce la capacità di identificare contesti sicuri e di ricondurre la paura alla causa che l’ha ingenerata, rendendo frequente la scelta di ricorrere a stili di coping maladattivi. Inoltre, in situazioni ritenute di pericolo o di emergenza i network cerebrali preposti ad attività cognitive di ordine superiore risultano depotenziati (Vartanian et al, 2020), al fine di garantire la vigilanza e la reattività comportamentale necessarie alla sopravvivenza (Hermans et al, 2014).
In sintesi, la congruenza emotiva (Na et al, 2018) e informativa di una fake news coniugate all’anomalo funzionamento di alcuni network cerebrali hanno un impatto significativo sul processo decisionale di un individuo poiché in situazioni di pericolo (anche potenziale) limitano le risorse impiegabili per la valutazione della veridicità delle informazioni (Zou et Tang, 2020) e per la gestione delle emozioni da esse generate. Ciò predispone ad una sorta di “solidarietà cibernetica” che, seppur rivolta ad accrescere le possibilità di difesa dalla minaccia, facilita la diffusione delle fake news nel web (Williams, 2020) e la loro condivisione da più fonti (“l’effetto dell’esposizione ripetuta”) aumentando il senso di familiarità (Pennycook et al, 2019) e l’attendibilità loro attribuita (Shen et al, 2019).
Il ruolo della paura nella diffusione di fake news
Nel periodo marzo-maggio 2022 l’autore del presente articolo ha predisposto un questionario online utilizzando la piattaforma Google.it che è stato proposto per la compilazione in modo del tutto anonima e su base volontaria attraverso i social media (principalmente Facebook e LinkedInd). A tale iniziativa hanno aderito 174 persone. Dai dati raccolti, pur dovendo tenere conto di alcune limitazioni (ad esempio la dimensione del campione, un eventuale “bis di selezione”, ecc.) è emerso che il 49,4% dei partecipanti ha segnalato di essere preoccupato per la propria salute (il 32% associa questo timore al periodo storico in atto) mentre il 51,1% ritiene probabile che possa ammalarsi nel corso del prossimo anno. La paura di ammalarsi è confermata indirettamente dal giudizio espresso sul sistema sanitario Italiano, ritenuto in prevalenza non efficiente o non attagliato alle necessità (con particolare riferimento alle aree del centro sud ed in quelle insulari del Paese). Il COVID 19 (30,5%), le difficoltà economiche o lavorative (24,7%), la carenza di sonno o l’alimentazione (12%) e la crisi fra Ucraina e Russia (4%) sono stati indicati come i principali fattori di rischio per la salute.
La preoccupazione per la propria salute e per quella dei propri familiari (51,1%), il bisogno di supporto, aiuto o informazioni (19,5%) e la necessità di ritrovare serenità (12,1%) rappresentano le principali motivazioni che inducono a ricercare informazioni sanitarie. Il 77,6% dei partecipanti riesce sempre a trovare notizie sulla salute che confermano le proprie idee o che giustificano il proprio stato d’animo (bias di conferma e negatività). Tali informazioni sono attinte attraverso il ricorso ad internet o ai mass media (36,2%), il consulto di un medico (16,1%) e il ricorso al supporto del nucleo familiare o al parere di un sanitario (43,7%), ricercando, tuttavia, conferme su internet, libri e mass media. Il 41,4% dei partecipanti si sofferma sulle notizie che ritiene di poter comprendere o che siano più adatte alle propria condizione, il 16,7% esamina quelle più popolari mentre il 34,5% dichiara di prendere in esame solo quelle accreditate. Coloro che focalizzano la propria attenzione sulle informazioni più popolari sono inclusi nella fascia d’età 18-40 anni ed hanno prevalentemente un livello d’istruzione medio basso (scuola secondaria di primo o secondo grado). Diversamente, le persone interessate alle notizie accreditate hanno in gran parte un livello d’istruzione di rango universitario o post universitario ed una fascia d’età compresa fra i 30 ed i 60 anni.
L’85,6% dei partecipati pensa che sia giusto condividere una informazione sanitaria, in particolare modo se sono giudicate utili per gli altri (47,7%). La notizia appresa viene messa in pratica e condivisa sui social media dal 42% dei partecipanti, la restante parte del campione ne parla con persone di fiducia (36%), mentre una parte residuale (20%) si limita a metterle in pratica.
Messaggio pubblicitario I risultati esposti confermano che anche in Italia la preoccupazione e la paura sono associate ad una maggiore vulnerabilità alle fake news e ad una maggiore propensione alla condivisione delle informazioni sanitarie. Al riguardo, è interessante evidenziare che le minacce a cui un individuo può essere sottoposto ai nostri giorni sono sempre più complesse poiché multidimensionali e multideterminate. L’esperienza del COVID 19, ad esempio, ha insegnato che la paura causata dalla percezione di un rischio risente anche di variabili sociodemografiche (istruzione, situazione finanziaria, lavoro, ecc.), che le persone rispondono in modo diverso ad una situazione pericolosa (Pyszczynski, et al, 2021) e che un coping inefficace può causare reazioni non controllabili, limitare il benessere psicosociale (Guo et al, 2020 – Song et al, 2020) oltre che aumentare la percezione della paura nella comunità (Tzur Bitan et al, 2020). In un simile scenario è stato rilevato che la scelta di condividere pubblicamente i numerosi dibattiti nell’ambito della comunità medica, il rincorrere una maggiore popolarità, il tentativo di affermarsi pubblicamente e la continua ricerca di scoop da parte dei media sono fattori che hanno probabilmente contribuito a disorientare il pubblico, ad accrescerne il senso d’insicurezza (ANSA (d.), 2022) e la diffidenza nei confronti dei provvedimenti governativi introdotti per limitare la diffusione del virus, facilitando la disinformazione e l’assunzione di atteggiamenti pericolosi per la salute pubblica (Tagliabue et al, 2020).
In una situazione di pericolo sanitario è, dunque, estremamente importante riuscire a identificarne la dimensione sociale e i possibili fattori di rischio, onde poter avviare iniziative che, attraverso interventi integrati e multilivello, rendano più agevole l’individuazione di gruppi potenzialmente problematici e il rinforzo delle capacità necessarie al mantenimento di un adeguato livello di benessere biopsicosociale anche in situazioni di forte stress e minacce improvvise. Pertanto, la scelta di strategie che consentano di sostenere la fiducia nelle istituzioni, l’ottimismo e la resilienza individuale, di migliorare le modalità con cui i mass media gestiscono le informazioni sullo stato di salute pubblica e di accrescere la qualità dell’educazione digitale possono risultare determinanti per limitare la vulnerabilità dei cittadini e depotenziare l’efficacia delle fake news.
In particolare, concreti interventi di social support finalizzati a tutelare il livello di occupazione e la condizione socio-economica, ad ampliare la conoscenza delle reti territoriali in grado di fornire supporto in situazioni particolari (es. isolamento sociale) e a rendere più agevole l’accesso ai servizi sanitari sono utili a sostenere le persone nei momenti di difficoltà e a rinforzare i fattori di protezione necessari ad antagonizzare i meccanismi d’azione della preoccupazione legata al proprio stato di salute. In tale quadro, risultano auspicabili iniziative che consentano di abbattere pregiudizi e di diffondere il convincimento che la salute psicologica è un diritto da salvaguardare attraverso il tempestivo avvio degli interventi e delle attività di follow up di volta in volta ritenuti necessari. Ad esempio, è stato rilevato che il ricorso alla mindfulness (Světlák et al, 2021) e alle tecniche di scrittura positiva (Reiter et Wilz, 2016) sono risultati utili ad un campione di studenti per comprendere come cogliere le emozioni positive (Iovino et al, 2021) correlate agli eventi della vita e come rivolgere l’attenzione consapevole alle proprie sensazioni, accettandole per quelle che sono. Ciò facilita la rivalutazione cognitiva positiva delle esperienze vissute, aumentando la gratitudine, il benessere biopsicosociale e la capacità di affrontare nuove sfide (Işık et Ergüner-Tekinalp, 2017). In tale prospettiva, anche la capacità di utilizzare meccanismi di coping adattivi in situazioni ambientali difficili risultano utili per promuovere l’ottimismo (Santos et al, 2022) oltre che per migliorare la percezione che si ha del futuro ed il convincimento di poter continuare a perseguire gli obiettivi prefissati o di poter realizzare i propri desideri nonostante permangano condizioni di incertezza.
È certamente auspicabile l’avvio di strategie condivise in ambito internazionale che consentano di migliorare la gestione delle informazioni durante eventi critici, al fine di prevenire e ridurre il contagio emotivo che, nell’era della globalizzazione, può indurre una persona ad assumere comportamenti pericolosi per la salute. In questa prospettiva, è opportuno pensare a programmi di formazione per giornalisti e professionisti della salute mentale che consentano di ampliare le occasioni di collaborazione (D’Urso, 2022) e di valorizzarne il loro ruolo di “attori della salute pubblica” (Notredame et al, 2015).
Il ricorso a strategie basate sul prebunking sono risultate, invece, efficaci per aumentare la capacità di riconoscere le informazioni false (van der Linden et al, 2020) e per ridurre l’influenza che esse esercitano sull’opinione pubblica (Ecker et al, 2011). Ciò richiede preventivi avvertimenti che consentano di mettere in guardia i cittadini sui rischi correlati a possibili campagne di disinformazione e interventi che, attraverso la confutazione, consentano di ridurre la credibilità delle informazioni false.
Infine, il controllo del dominio cyber e una solida educazione digitale (Nguyen et al, 2020) che insegni ai giovani a ragionare in modo analitico rappresentano un serio investimento per limitare la diffusione di fake news e smantellare la falsa narrazione della realtà sulla quale si fondano la disinformazione e la paura, rendendo più agevole la gestione di problematiche di salute pubblica.
In conclusione, i risultati confermano che anche in Italia la preoccupazione e la paura sono associate ad una maggiore vulnerabilità alle fake news e ad una maggiore propensione alla condivisione delle informazioni sanitarie. Per questo motivo, è auspicabile la definizione di interventi integrati e multilivello che consentano di sostenere la fiducia nelle istituzioni, l’ottimismo e la resilienza individuale, di migliorare le modalità con cui i mass media gestiscono le informazioni sullo stato di salute pubblica e di accrescere la qualità dell’educazione digitale, al fine di limitare la vulnerabilità dei cittadini, di antagonizzare i meccanismi d’azione della preoccupazione e di depotenziare l’efficacia delle fake news.
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