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Perché i disturbi d’ansia tendono ad essere persistenti nel corso della vita?

L'identificazione tempestiva dei pazienti con prognosi più grave risulta importante per attenuare il carico e le conseguenze dei disturbi d’ansia

Di Micol Agradi

Pubblicato il 03 Feb. 2023

La revisione di Hovenkamp-Hermelink e colleghi (2021) è la prima a fornire una panoramica completa dei fattori che predicono il decorso persistente dei disturbi d’ansia lungo il ciclo di vita. Vista la notevole prevalenza dei disturbi d’ansia nella popolazione, conoscere i predittori della loro persistenza è essenziale per ottimizzare le strategie di prevenzione e cura di tali disturbi.

 

I disturbi d’ansia

 I disturbi d’ansia sono tra i disturbi psichici più diffusi nella popolazione mondiale, al punto che le ricerche ne stimano la prevalenza lifetime fra il 16-34% e al 20% alla fine dell’adolescenza (Bandelow e Michaelis, 2015; Somers et al., 2006; Rutter et al., 2011). Essi comportano oneri significativi per le persone che ne soffrono, per i loro parenti e per la società (Senaratne et al., 2010; Wittchen et al., 2010; Lèpine, 2002; Baxter et al., 2010), dal momento in cui tendono a causare una compromissione nel funzionamento quotidiano, relazionale, scolastico e lavorativo, anche per tutta la vita (Craske et al., 2017). Il corso naturale di questi disturbi è tipicamente pluriennale, anche se eterogeneo rispetto alle sue traiettorie evolutive: se alcuni pazienti possono manifestare anche un solo episodio ansioso senza recidiva nell’intera esistenza, molti altri tendono a sviluppare un decorso persistente, sia esso cronico o intermittente con ripetute remissioni e ricadute.

Date queste premesse, l’identificazione tempestiva dei pazienti con prognosi più grave risulta molto importante per attenuare il carico e la disabilità che i disturbi d’ansia portano con sé tramite l’ottimizzazione delle strategie di prevenzione e di cura (Hovenkamp-Hermelink, 2021). In questa direzione, conoscere i predittori della persistenza di tali disturbi, e sapere se essi variano fra l’infanzia e l’età adulta, è fondamentale a garantire il suddetto obiettivo.

La revisione sistematica di Hovenkamp-Hermelink e colleghi (2021)

Gli unici studi sull’argomento si sono limitati a considerare solo una o poche variabili predittive contemporaneamente, giungendo a risultati inconcludenti e difficili da comparare. Se ciò ha portato ad avere scarsa comprensione del tipo di fattori che permettono di predire un decorso persistente nei disturbi d’ansia (anche da parte degli stessi professionisti della salute mentale), e quindi a ostacolare le teorie e i processi sottostanti le strategie di prevenzione e cura, la revisione di Hovenkamp-Kermelink e colleghi (2021) è il tentativo più comprensivo per sintetizzare in maniera sistematica tali variabili.

Dopo aver incrociato i dati di 48 studi compiuti tra il 1980 e il 2019 su circa 30 mila pazienti con diagnosi di disturbo d’ansia (senza distinzione fra le specifiche categorie diagnostiche), i risultati ottenuti hanno rivelato un’ampia gamma di fattori in grado di prevedere la persistenza lifespan dei disturbi ansiosi. Quelli dimostratisi più forti sono le caratteristiche psicologiche e cliniche dell’individuo, facilmente comparabili nelle diverse fasi del ciclo di vita.

 Precisamente, le prime includono bassa estroversione, alta sensibilità all’ansia, alta inibizione comportamentale e alto evitamento, associate positivamente alla persistenza della sintomatologia ansiosa lungo in corso della vita. Questo primo corpo di risultati indica che le vulnerabilità psicologiche hanno un ruolo fondamentale nel mantenimento dei disturbi ansiosi, come del resto in tutti i disturbi psichici; esse, infatti, dovrebbero essere considerate degli elementi transdiagnostici altamente informativi per la comprensione e il trattamento della psicopatologia ansiosa (Jeronimus et al., 2016; Vreeke e Muris, 2012; Kotov et al., 2017).

Le seconde, invece, rivelano risultati inconcludenti per quanto concerne l’associazione della persistenza sintomatologica con la gravità dei sintomi ansiosi e la comorbidità con altri disturbi d’ansia, così come esiti contraddittori in merito alla comorbidità con i disturbi depressivi e con la loro gravità. Fra le variabili cliniche che, al contrario, si sono dimostrate fortemente associate alla persistenza dei disturbi ansiosi vi sono la comorbidità con i disturbi di personalità (specialmente con il disturbo borderline di personalità), aver sperimentato molti attacchi di panico nel corso della vita, aver ricercato nell’ultimo anno un percorso d’aiuto psicologico e avere avuto una scarsa risposta al trattamento.

Sorprendentemente, non è stata riscontrata alcuna correlazione significativa fra le caratteristiche sociodemografiche (come lo status socio-economico, il livello di scolarizzazione, il genere e l’età) e la persistenza lifespan dei disturbi d’ansia, anche se esse sono tipicamente associate all’esordio e alla prevalenza dei disturbi ansiosi (Kessler et al., 1994; Moreno-Peral et al., 2014). Anche le associazioni con i fattori biologici non hanno dato risultati definiti: nonostante la vulnerabilità su base biologica sia una delle categorie più coinvolte nello sviluppo dei disturbi d’ansia (Barlow, 2000), il loro ruolo nel predire la persistenza di questi ultimi si è rivelato solo poco significativo.

Alla luce di quanto concluso, le considerazioni che si possono trarre dai risultati di questa revisione fanno riferimento a una serie di predittori psicologici e clinici che, presentandosi in maniera stabile nel corso delle fasi evolutive, possono essere d’aiuto nell’identificare preventivamente i pazienti ansiosi a rischio di prognosi persistente e nell’implementare strategie di cura più informate ed efficaci a livello clinico.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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  • Baxter, A.J., Vos, T., Scott, K.M., Ferrari, A.J., Whiteford, H.A. (2014). The global burden of anxiety disorders in 2010. Psychological Medicine ,44, 2363–74. doi: 10.1017/S0033291713003243.
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